Mikel Azurmendi

Con la lampada accesa

L’omelia di Javier Prades ai funerali di Mikel Azurmendi, celebrati lo scorso 9 agosto: «Essere preparati nella vita è l’atteggiamento di chi vive compiendo un cammino di continuo apprendimento, di continua disponibilità»
Javier Prades

Il Libro del Siracide dice che «un uomo si conosce veramente alla fine» (Sir 11,28). Per capire il valore della vita di Mikel dobbiamo tener conto di tutto il suo percorso: dalla sua infanzia, che molti dei presenti hanno condiviso con lui, ai suoi ultimi anni, che gli hanno regalato anche molte amicizie. Ora possiamo guardare tutta la sua vita, tenendo conto della sua fine, in modo tale che i suoi ultimi anni illuminino la sua vita precedente. Non possiamo abbracciare tutte le sfaccettature di una storia così intensa: il suo impegno sociale, culturale, politico, accademico..., e il quadro della sua vita potrebbe essere ricomposto solo se potessimo sommare le prospettive e i punti di vista che tutti conoscevano di Mikel, come si combinano le pietre di un mosaico. Nessun essere umano può spiegare fino in fondo la vita di un altro uomo. In realtà, solo Dio Padre, che è il Signore della storia, può vedere tutti i fattori assieme e dare il senso ultimo della vita di ogni persona. Anche questo ci dà pace.

Mikel ha avuto una lunga storia di difesa dei suoi ideali di giustizia, libertà, verità e bontà. Si è impegnato in essi, ha rischiato per loro e molte volte ha pagato un prezzo molto alto per le scelte che aveva fatto, con i suoi successi e i suoi errori, con le sue rettifiche e i suoi cambiamenti. Ha scritto molto, brillantemente, sulla sua terra e la sua storia, sulla sua stessa biografia; rimando ai suoi libri per trovare la migliore interpretazione di ciò per cui ha lavorato e sofferto.
Per i bambini della mia generazione il Monte Igueldo era sinonimo di attrazioni e divertimento. Negli ultimi anni, la sua casa di Igueldo è diventata per molti di noi un luogo di speranza, di vita e di amicizia. Per quale motivo? Sicuramente dobbiamo risalire a un episodio decisivo, di 7-8 anni fa, quando, essendo molto malato, stava per gettare la spugna e abbandonarsi volontariamente alla morte; però ha capito che c’era qualcosa di meglio che lasciarsi andare, ha capito che mancava ancora qualcosa di buono da fare per le persone più vicine a lui e per gli altri, e per riconciliarsi con tutti. Ha fatto la sua parte – come l’ha fatta l’équipe medica, alla quale è sempre stato molto grato – per rimanere in vita, perché la vita era la condizione per fare il bene. Da quel momento di decisione e dalla sua scelta per la vita e per il bene è dipeso il fatto che molti di noi l’abbiano incontrato o ri-incontrato.

Le letture che abbiamo ascoltato nella liturgia sono quelle proprie della festa di oggi, che fa memoria di una grande pensatrice europea, monaca carmelitana e martire, Edith Stein; sono state scelte dalla moglie Irene. Il Vangelo si conclude con questo invito: «Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora» e la parabola delle vergini ci esorta a essere preparati nella vita, a tenere la lampada accesa e ad avere abbastanza olio nel nostro vaso. Chi ha la lampada accesa e una sufficiente scorta di olio può aspettare lo sposo. Possiamo capire che la lampada accesa è la fede, la fiamma della fede, l’apertura a Dio con un cuore semplice, come ha avuto Mikel. Allora cosa significa essere pronti, avere l’olio pronto per la lampada? La cosa più comune – forse perché ce l’hanno insegnato – è pensare che essere preparati sia qualcosa come essere irreprensibili, non fare mai errori, come se Dio fosse lì ad aspettare di “beccarci” in fallo. Vivremmo sempre nel timore. Ma Gesù non vuole instillare in noi il timore. Credo, piuttosto, che essere preparati nella vita, guardando al Destino finale, sia l’atteggiamento di chi vive compiendo un cammino di continuo apprendimento, di continua disponibilità per imparare ogni giorno e cambiare, o, usando una grande espressione cristiana, per continuare a convertirsi.

Se guardiamo la vita di Mikel – come io l’ho conosciuta – troviamo più di un indizio del fatto che lui ha vissuto questi anni con la lampada accesa e con una buona scorta di olio. Ne indicherò alcuni.
Era un uomo che, a quasi ottant’anni, trasmetteva la sensazione di avere più vita verso il futuro che verso il passato. Non perché non avesse scritto molto sul suo passato e su quello della sua patria, recente e antico. Inoltre, nei suoi libri e saggi racconta le tremende esperienze che ha dovuto vivere e che avrebbero avvelenato il cuore di chiunque. Tuttavia, non viveva guardando indietro, ma al presente e al futuro, anzi, alla vita eterna. Nessun risentimento, nessuna amarezza, nessuna nostalgia. Non era ferito dal rancore. Era ferito solo dalla bellezza, dal bene, dalle amicizie che gli venivano donate. Un giorno mi disse: «Mi chiedo perché ci ho messo così tanto a trovare questa vita che avrei voluto condurre fin da giovane. Ma sai cosa ti dico: non mi importa, perché ora sono così felice…». Era un uomo felice, che condivideva con gli altri la gioia di vivere.
Era un uomo riconciliato, che sapeva di essere stato perdonato per il male che aveva fatto (e che riconosceva), e perciò voleva perdonare. Qualche giorno fa, commentando la presentazione di un libro a cui aveva partecipato insieme ad alcune importanti personalità, mi diceva al telefono: «Nel presentare il libro con tutte quelle persone che hanno fatto così tanto per il cristianesimo, mi chiedevo: cosa ci sto io a fare in mezzo a loro; e mi sono reso conto che ero tra loro come uno che è stato perdonato. Ecco il mio contributo».

Era anche un uomo in cui prevaleva l’ammirazione e la sorpresa per ciò che incontrava e per coloro che incontrava. Ricordava come fosse rimasto colpito guardando una frase appesa al muro di una scuola: «Mi stupisce che si possa dire ai bambini: “Tu sei un dono”. Che meraviglia!». Tutti noi siamo quel bambino, lui si è riconosciuto come tale e ha aiutato noialtri a capire che siamo quel dono. Solo così possiamo andare oltre la misura ridotta in cui ci rinchiudiamo così spesso. Molti dei suoi studenti ricordano che grande insegnante fosse Mikel e come li avesse aiutati in modo decisivo nella loro vita.

Era senza dubbio un uomo irrequieto, e suppongo che molte volte non fosse un tipo facile. Ma decisamente sempre con il desiderio di imparare e crescere, con una preparazione intellettuale molto alta e con un’apertura nella ricerca della verità che onorava il suo costante esercizio della ragione. Non era insolito sentirlo dire: «Mi chiedo i motivi, cerco spiegazioni che siano vere». Di fronte alle cose che ha visto, non ha ceduto al pregiudizio. Ha cercato la differenza tra il toccare la terra della conoscenza della realtà e l’essere avvolti dalle ombre della falsità di un approccio ideologico.

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Ma soprattutto, era un uomo capace di abbracciare. Ci ha abbracciato così tanto… e così tanti… che è diventato il padre di una famiglia molto grande. Non è un caso che il suo recente libro si chiami L’abbraccio. E così ci ha spinto ad abbracciare, a comunicare la nostra esperienza di vita, ad assumere in prima persona la verità dell’incontro che abbiamo fatto e proporla alle persone che incontriamo. Vince chi abbraccia il più forte.
Mikel ha vissuto molti esili di tipi diversi e per diversi motivi. In questi anni, grazie a Dio, ha potuto tornare alla sua terra, alla sua casa, e soprattutto ha potuto tornare alla Chiesa come una compagnia viva e concreta, attraverso il movimento di Comunione e Liberazione. L’incontro della fede lo ha aperto a una storia particolare che anticipa la pienezza ora e per sempre. Curiosamente, tornando alla Chiesa, ha trasmesso la gioia di appartenervi a noi che già eravamo nella Chiesa.
Sperava nella vita eterna, grazie alla fede in Gesù Cristo che aveva riscoperto. Dice alla fine della sua preziosa intervista con il giornalista Fernando de Haro: «Sappiamo che c’è la resurrezione. È risorto e ci ha detto che risorgeremo». Non possiamo che accogliere queste sue affermazioni.

Alla luce di queste indicazioni, è molto ragionevole concludere che Mikel era un uomo che viveva con la lampada della fede accesa e che aveva molta riserva di olio nel suo vaso, che vegliava e pregava; perciò non l’ha sorpreso il giorno e l’ora. Non sapeva quando sarebbe accaduto, ma era preparato.
Abbiamo affidato la sua vita alla Vergine di Aránzazu, alla quale avevamo programmato di andare in pellegrinaggio quando si fosse ripreso dall’operazione. Preghiamo specialmente per Irene, per Nahiko e per tutta la famiglia. Che il Signore conceda anche a noi di vivere preparati, con la lampada accesa e la scorta di olio, per continuare a imparare attraverso le circostanze, e che ci conceda di continuare a farlo insieme.

Vorrei trasmettere a tutti i presenti il saluto che mi ha inviato Mons. José Ignacio Munilla, vescovo di San Sebastián, che si unisce a questa celebrazione liturgica nella preghiera e nel ringraziamento per la vita di Mikel Azurmendi.