Il Donacibo e l'effetto boomerang

Erano 350mila gli studenti che hanno partecipato all'iniziativa che i Banchi di solidarietà hanno proposto in 3.000 scuole italiane. E, quest'anno, i più colpiti sono stati gli insegnanti...
Maurizio Vitali

Come si è allentata la morsa del lockdown, il Donacibo è tornato quest’anno gagliardamente in tante scuole di tutta la Penisola su iniziativa di 130 Banchi di solidarietà. La scorsa settimana, terza di Quaresima, 350mila studenti di 3.000 scuole, con le loro famiglie, gli insegnanti e il personale Ata, sono stati coinvolti in un’esperienza che, attraverso la raccolta di alimenti per i bisognosi, vuole essere di educazione alla carità.

Nel Donacibo e nei Banchi di solidarietà la carità non è intesa riduttivamente come “buona azione” che compio e che mi fa sentire a posto. «Nelle nostre assemblee – spiega Andrea Franchi (Branco), presidente della Federazione Banchi di solidarietà – emerge sempre più che la caritativa è un segno della novità che ci ha investiti nell’incontro con Cristo». Perciò al centro c’è l’attenzione a cogliere «ciò che potrebbe essere di aiuto a me, alla mia vita, a quella dei miei amici», la scoperta della vera natura e della profondità del bisogno, proprio e altrui; la riscoperta continua – dice ancora Branco – che da Gesù io sono amato, abbracciato e voluto nella mia giornata, e questo è ciò che rende la mia vita goduta. Se è così, non si può non avere la voglia di testimoniarlo a tutti: «Comunicare, condividere questo, è la grande utilità del nostro gesto».

Branco ha 53 anni e la sua prima esperienza di caritativa risale a trentacinque anni fa. Il tempo fa maturare e approfondire la coscienza, ma la sostanza può scoppiare dentro al cuore al primo incontro. Un esempio preclaro viene, per esempio, da una sedicenne studentessa di L’Aquila: «Prof, pensavo che il mio vero bisogno fosse di trovare un ragazzo; ora ho capito che il mio bisogno è più grande, e ciò che vi risponde è più del ragazzo, anche se può passare attraverso di lui». Alessandra ha capito questo in fretta, con il Donacibo e con il dialogo al “raggio” degli studenti di GS, con l’amica prof Grazia, insegnante di matematica e fisica al Classico.

Sorprendente, eh? Ma non è finita qui. Più sorprendente ancora è “l’effetto boomerang” su Grazia stessa: «Io seguo questa ragazza di sedici anni perché è un aiuto grande alla mia vita». E quindi: «Il Donacibo l’ho fatto per gli alunni, per gli altri – confida – ma mi è tornato addosso come un boomerang che educa me e mi fa guardare i ragazzi in un altro modo, ed emerge l’esperienza che vivo».

Grazia è al suo primo Donacibo. Ha conosciuto questa iniziativa l’anno scorso, ma le sembrava adatta ai bambini, non agli studenti del Classico. Nell’estate si dedica a preparare un progetto da sottoporre alla scuola, “L’altro è un bene per me”, che non durasse una settimana ma fosse più continuativo perché «ho visto che lockdown e didattica a distanza avevano creato separazione tre i ragazzi». Il progetto è di fatto una proposta di caritativa rivolta ai colleghi, perché a differenza di altre attività integrative non prevede il becco di un quattrino di compenso extra. Esso prevede: una tavola rotonda coi ragazzi, la Colletta alimentare nazionale a novembre, tre raccolte di alimenti, a Natale, in Quaresima (a favore degli Ucraini) e a Pasqua. Il progetto viene approvato dal Collegio docenti.

«Comunicare la nostra esperienza genera fatti imprevisti – aggiunge Grazia – per esempio il coinvolgimento del collega di religione e di tutto il suo dipartimento; o l’iniziativa di un ragazzo di 18 anni, che ha deciso di fare lui il Donacibo con i suoi compagni semplicemente dopo aver visto per caso una e-mail arrivata al fratello che riguardava questa iniziativa. Anche solo raccontare genera qualcosa di più grande del mio saper fare».
Importante è stata per Grazia e i suoi ragazzi conoscere l’esperienza di GS di Boston, che fanno caritativa con dei senza-tetto. Anzi, che «hanno fatto esperienza di Gesù nei senza-tetto». Soprattutto in uno di costoro, che è un poeta e alla domanda «di che cosa hai bisogno?» risponde «tutto è dono e non mi manca niente, se non qualcuno con cui condividere». Ecco, osserva la nostra prof abruzzese, «non è Gesù che non si manifesta, siamo noi che dobbiamo guardare».

Dal Banco di Solidarietà di Bologna – stiamo sempre pescando qualche esempio tra i mille che si potrebbero fare – ci arrivano molte testimonianze di ragazzi. Uno: «È stata l’avventura di scoprire che non c’è la categoria dei bisognosi, ma volti e storie, bisognosi ciascuno, come me, di essere amati da qualcuno». Un altro: «Venire ad aiutare il sabato mattina e incontrare gli altri – alcuni simpatici, altri mica tanto – mi fa rendere conto di com’è il mondo e mi fa più felice». Un terzo ragazzo: «Percepisco e imparo uno sguardo buono su di loro, ed è un bisogno che ho anch’io». «Mi piace aiutare, ci metto tutto il cuore e sono contenta». Sono tutti indizi, nella loro semplicità, di un sobbollimento umano.

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Che non riguarda solo i ragazzi, ma gli adulti, i colleghi insegnanti. Qui una protagonista del Donacibo è Lorena, docente in un Istituto tecnico professionale.
«Prima delle cose da fare – racconta – ha valore l’incontro con le persone, che siano ragazzi o colleghi, che ti fa ridire a te stesso, e comunicare loro, le ragioni della tua mossa, chi sei, da dove vieni, si capisce? Non dobbiamo certo ridurci a fare la parte del volontario che parla della fame».

Così Lorena percepisce «il respiro della bontà» (magari con la B maiuscola); dedica del tempo «per gratitudine, perché la vita è un dono e qualcosa di questa sovrabbondanza ti viene da restituirlo». Si è creato un gruppetto che il Donacibo lo fa con trasporto. Poi le cose, se devono accadere, accadono anche oltre il perimetro pianificato. Quest’anno hanno fatto il Donacibo trenta scuole «senza che noi bussassimo alle loro porte, semplicemente l’hanno saputo da internet o dal passaparola».
«E nel mio stesso Istituto – racconta Lorena – cinquanta classi in un casermone impersonale, salta fuori la grazia imprevista di una ex collega, ora pensionata, che si è offerta di fare la referente per tutto quanto “perché per me è un bene che viene prima, ne sono certa e mi prendo ogni responsabilità”».
Non è garantito che non rispuntino in qualche modo diffidenze, sfiducia, ma...
Metti all’alberghiero di Abano. Racconta Lorena che qui sono saltati su i genitori a chiedere come mai non sia stato fatto il Donacibo. «E io che mi ero fatto l’idea che... tanto lì se ne fregano tutti...».