Un momento della giornata di fine anno di GS di Rimini

Sorpresi dalla nostra umanità

La festa di fine anno dei giessini di Rimini e Cesena. Amici vecchi e nuovi, i giochi, la testimonianza di un universitario... Un'insegnante racconta lo stupore per «qualcosa di eccezionale dentro qualcosa di sorprendentemente umano»
Anna Garuffi

Siamo ancora nel parcheggio a controllare che tutti siano arrivati e per me già accade il primo motivo di stupore, il primo fra i tanti della giornata. Mi si avvicina la mamma di un’alunna che non aveva mai partecipato a iniziative di Gioventù Studentesca: «Professoressa, la volevo ringraziare, perché mia figlia Pamela (tutti i nomi sono di fantasia) ha capito quanto ci tenesse a lei. Mi ha detto: “Mamma, prima ancora che lo dicesse a tutta la classe mi ha mandato un sms i giorni prima e poi mi ha cercata nei corridoi. Ci teneva ad invitarmi guardandomi in faccia”. Grazie».
A pensarci bene qualcosa è accaduto fra noi ben prima della gita di fine anno di domenica 5 giugno. È l’amicizia nata con la comunità di GS di Cesena, con cui abbiamo condiviso il Venerdì Santo. Da quel giorno non ci siamo più mollati. Da qui l’idea di festeggiare insieme la fine della scuola, andando in gita. Con 170 ragazzi accompagnati da noi prof, ci diamo appuntamento a San Leo nell’entroterra riminese. Una giornata fatta di giochi, canti, convivenza fra noi, la testimonianza di un universitario, la visita alla pieve e la messa. Per certi versi ingredienti ordinari, ma la straordinarietà si vede dagli sguardi luminosi di ognuno, anzi è la presenza stessa di ogni singola persona.

Storie particolari e uniche si sono incrociate e mostrate ai nostri occhi. Greta, 17 anni, racconta: «Mi ha sorpreso come tutto abbia preso un gusto diverso semplicemente perché sono stata davanti a quello che c’era. Sono perfino riuscita a godermi i giochi, che per me sono sempre stati un incubo: non è servita nessuna qualità, che non ho, è bastato avere l’accortezza di chiedere il nome a tutti i miei compagni di squadra, molti dei quali non conoscevo, perché in quel momento c’erano loro lì con me. E più tardi mi sono ritrovata, ad esempio, a conoscere una ragazza della comunità “Amici di Gigi”. Non ero andata a cercarla, me la sono ritrovata di fianco per caso, eppure in lei ho scoperto un’amica».

Lorena mi racconta, invece, di Aiko, una ragazza giapponese in Italia per un progetto di scambio culturale. Lei dice di non avere religione, ma si è incuriosita al cristianesimo dopo che ha cominciato a seguire GS, invitata da un suo insegnante, prima a Roma dal Papa e poi alla Via Crucis a Rimini: è rimasta così stupita nel vedere ragazzi che pregano Dio, che stanno insieme per Dio, che in lei è nato il desiderio di imitarli. Chissà come il Signore, al suo ritorno in Giappone, la vorrà accompagnare per questa nuova strada?
Alla gita ho portato con me vari ragazzi della mia scuola, che non hanno mai partecipato a iniziative del genere. Eppure, dal primo momento, sono tutti coinvolti e presi, come se con gli altri ragazzi si conoscessero da sempre. In particolare rimango sorpresa dalla presenza di Debora, la più discreta e silenziosa della classe. Tre mesi di assenza durante l’anno, fatti di lunghi silenzi e paure, ogni cosa vissuta come un pericolo, dal possibile contagio al rapporto con i compagni, il timore di deludere le aspettative o di non farcela... Eppure decide di essere lì, in un luogo nuovo e con gente mai vista prima, tranne me che l’ho invitata dicendole: «Stiamo insieme, fidati!». E nell’incredulità dei genitori con i quali deve pure insistere perché la lascino partecipare, si butta in questa strana amicizia cantando e ballando. Ma che grandezza abita il cuore di una ragazza che sfida tutto pur di attaccarsi dove vede un bene per sé!

Mi stupisce ogni storia, spesso fatta di ferite e traumi, ogni piccolo o grande bisogno che ha portato ciascuno lì. Ci sono i sette ragazzi di un centro di accoglienza per adolescenti che non riescono a dire nulla, ma ti abbracciano e ringraziano con lo sguardo. C’è Yazid, musulmano, alunno di Arianna qualche anno prima in un istituto tecnico. Lei se lo ritrova qui invitato dagli amici di Portofranco. Non sa se sarà ammesso all’esame, se lo passerà, se troverà un lavoro che gli consenta di mantenersi, visto che il padre è morto l’anno scorso. Ma è qui, anche lui raggiunto da quello sguardo, e in tutta l’incertezza che caratterizza il suo futuro lo vediamo accettare di vivere il presente.

E poi ci sono Nazar e Ruslan, due ragazzi ucraini. È Veronica, giovane insegnante di lettere, a raccontarmi di loro. «Sono arrivata in gita anch’io con le mie fatiche e la mia umanità così bisognosa e “guarda caso” il titolo della giornata era: “Sorpresi dalla nostra umanità”. Quando abbiamo giocato insieme mi sono accorta che c’erano due ragazzi che restavano sempre un po’ in disparte, allora sono andata a conoscerli e mi sono resa conto che non parlavano italiano. Un’amica mi spiega che sono ucraini, fuggiti dalla guerra, e che il padre di uno dei due è stato ucciso al fronte pochi giorni prima. Subito mi è nata una gran tenerezza nel cuore, perché quel ragazzo avendo capito a malapena le regole del gioco, senza poter comunicare con gli altri, se non con questa mia amica che parla russo, era lì che giocava con il sorriso, godendosi tutto e continuando a fare domande per capire che cosa stesse accadendo. Lui mi è diventato compagno quella mattina, perché mi ha mostrato che c’era qualcosa in quel giocare insieme che dialogava con il suo cuore, che c’entrava anche con la morte del padre. La possibilità che ho visto in lui è stata una porta spalancata per me per il resto della giornata».

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Nonostante il caldo e le dimensioni piccole della stanza, non si perde un colpo della testimonianza di Luca (detto Cuca), secondo anno di Statistica a Bologna: «Sono un ragazzo normale, cresciuto in una famiglia del movimento. Ma anch’io ho dovuto incontrare uno sguardo di bene che abbracciava tutto il mio umano per accorgermi di chi sono. Di fronte a questo sguardo, che di me stimava tutto, mi sono scoperto, mi sono accorto di essere Luca. Io sono questo bisogno di essere amato e di essere felice. E questa scoperta non posso più cancellarla dalla mia vita». Dopo la testimonianza, Filippo commenterà: «Io nella mia vita voglio essere libero. Voglio essere libero nel giocare, nel voler bene ad una ragazza, nel cantare, nel parlare con un amico. A me è sembrato che Luca vivesse così. Se l’incontro con Cristo significa questa libertà, a me interessa».

Durante la messa si prega per il papà del ragazzo ucraino e, quando don Claudio ne dà la notizia (pochi ne erano a conoscenza fino a quel momento), l’assemblea è attraversata da un fremito. Ma è evidente, per quanto misterioso, che questo dolore non stride con la gioia che ha palpitato in noi in questa giornata. Tutti portano negli occhi e nel cuore qualcosa di eccezionale, per cui qualunque pezzo dell’umano che uno si trova a vivere, qualunque incertezza, paura, dolore, non è più nemico, perché abbracciato da Qualcuno che bussa alla porta del tuo cuore per stare con te. Qualcosa di eccezionale dentro qualcosa di sorprendentemente umano. Io torno con la mente alle parole dette poco prima: «Se sei qua, così come sei, anche tu hai incontrato qualcuno che ti ha detto che sei un regalo. Non mollate mai chi vi guarda così». Con questi pensieri, ma soprattutto con questi fatti negli occhi, la fine dell’anno ha tutto il sapore di un inizio. «Allora prof, se posso, io verrei in campeggio con lei e i suoi amici questa estate…».