“La pace si può. Cominciamola noi”

La storia di Raymond in Uganda. Quelle di Yulia e Vira in Ucraina e in Italia. Il racconto di tutti i progetti di AVSI sostenuti dalla Campagna Tende 2022
Maria Acqua Simi

Raymond ha vent’anni, trascorsi per la maggior parte nei bassifondi di Kireka, uno dei quartieri di Kampala (Uganda). La sua storia però inizia nel Nord del Paese, nel distretto di Pader, dove nasce in una famiglia numerosa e inizialmente unita. Non è facile per una giovane coppia crescere dei figli piccoli in un’area così complicata, sotto la costante minaccia degli attacchi dei terroristi del Lord Resistance Army, il famigerato movimento armato fondato da Joseph Kony. La paura dei saccheggi, dei rapimenti, il timore che i bambini potessero essere reclutati forzatamente come soldati spinge i due genitori, John Bosco Owona e Rose Ataro, a lasciare la propria casa per cercare qualcosa di meglio nella capitale. A Kampala però le cose non vanno secondo i piani: trovare lavoro è difficile, far studiare tutti i figli ancora di più. Nel 2011, un macigno: John e Rose contraggono entrambi l’Hiv. Sconfortato e fisicamente indebolito dal virus, il padre decide di lasciare la famiglia e tornare al villaggio. Rose rimane da sola a crescere i ragazzi, ma la situazione finanziaria è disastrosa e l’accesso alle scuole impossibile. La malattia avanza e con lei la disperazione per non sapere come dare un futuro ai figli. «È stato allora che la mamma sentì parlare del Meeting Point International. Decise di partecipare a un incontro per capire di cosa si trattasse e da allora le nostre vite non sono state più le stesse», racconta Raymond. «La mamma ha iniziato ad aspettare con impazienza gli incontri con le altre donne del centro, noi siamo riusciti a studiare e in tanti, comprese delle assistenti sociali, si sono presi cura di noi assicurandosi che stessimo tutti bene».
Entrano infatti a far parte della grande famiglia del Mpi e dei progetti di Fondazione Avsi, che nel Paese opera dal 1984 con particolare attenzione all’educazione, alle donne malate, al supporto alle famiglie sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista sociale-sanitario. Raymond studia, la mamma si cura e lavora, e intanto le ferite dell’animo si rimarginano.

«Durante le vacanze abbiamo avuto modo di tornare al nostro villaggio per incontrare nostro padre», racconta ancora il figlio di Rose e John. Il cambiamento non è solo in quel rapporto forse ritrovato, ma anche nelle piccole cose quotidiane. «Qui abbiamo imparato che non siamo definiti dai nostri problemi. Un giorno il direttore del centro è venuto alla nostra scuola e ci ha ricordato una cosa importante: bisogna sempre trovare qualcosa di positivo in mezzo a tutti i momenti brutti. Che sia una lezione o qualcos’altro per cui essere grati». Raymond rimugina a lungo quella frase. Poi arriva il covid e la sua vita viene stravolta nuovamente. «Mentre le scuole erano chiuse a causa della pandemia, ho ripensato a quelle parole e ho capito che dovevo usare bene il mio tempo. Così mi sono messo a studiare Biologia, Chimica e Matematica, che per me erano molto difficili. Ho letto molto, la mia famiglia mi ha incoraggiato, gli insegnanti non ci hanno lasciati soli e alla fine sono riuscito a eccellere negli esami», racconta. Sogna di diventare un insegnante o un chirurgo, Raymond, «perché voglio migliorare la vita della gente intorno a me. Posso solo dire grazie a Dio, alla mia famiglia, ai miei amici e al Meeting Point International per avermi accompagnato fin qui».

Il tono entusiasta di questo giovane ugandese è diverso da quello, più riflessivo e addolorato, di Yulia. Fuggita dall’Ucraina insieme al figlio adolescente, ha attraversato l’Ungheria e l’Austria prima di arrivare a Roma. Per qualche tempo i due sono ospiti di una conoscente ucraina, poi si trasferiscono a Como dove alcune famiglie hanno aperto la propria casa ai profughi in fuga dalla guerra. «Quando siamo arrivati a Como non avevamo letteralmente niente. Ci servivano acqua, cibo, vestiti, soldi, una casa. E questa famiglia ci ha accolto dandoci tutto. Mi mancano Kharkiv, il mio lavoro di contabile in un centro automobilistico, i miei amici e i famigliari che sono rimasti là. Ho deciso però di darmi da fare e sono stata aiutata ad entrare in un programma di lavoro, mentre contemporaneamente studio l’italiano. Ho trovato un buon impiego, i colleghi sono tutti disponibilissimi con me e man mano riusciamo a capirci. Non so quando potrò tornare nel mio Paese, le difficoltà qui sono ancora tante perché giustamente la famiglia che ci ospita non potrà farlo per sempre e trovare un appartamento in affitto non è facile. Ma grazie a tutto il bene che abbiamo ricevuto fino ad oggi, so che tutto si aggiusterà».



Poi c’è Vira, che l’Ucraina non l’ha mai lasciata. Quando i bombardamenti russi sono iniziati pensa subito ad allontanarsi con le figlie. Con sé porta solo una borsa con un ricambio e i farmaci anti-tumorali. Il cancro la sta divorando, stava seguendo le cure ma la guerra ha fermato tutto. Quando incontra i volontari di AVSI a Leopoli, dove ha trovato riparo, si schermisce: «Un tempo ero bella, ma la malattia e questa guerra mi hanno ridotto così». Per essere sicura che le credano, tira fuori un documento di identità con una foto che la ritrae ancora in salute, bellissima, con i capelli lunghi curati. Quando a Vira viene chiesto di cosa abbia bisogno, però, non inizia un lungo elenco fatto di medicine, vestiario o denaro. No. «La pace, desidero solo pace».

A Raymond, Vira e Yulia è dedicata la Campagna Tende di quest’anno, intitolata “La pace si può. Cominciamola noi”, incentrata sull’aiuto alle realtà di Avsi in Italia, Ucraina, Uganda, Perù, Burundi, Libano e Tunisia. In Uganda, ad esempio, è presente in diversi settori (salute, istruzione, supporto finanziario, sviluppo delle competenze, infrastrutture) mettendo al centro di ogni progetto la persona, con particolare attenzione alle donne malate di Hiv e alle loro famiglie. In Ucraina, come ci racconta Elga Contardi, AVSI era già presente ben prima della guerra grazie al sostegno all’ONG locale Emmaus. Oggi si occupa di aiutare gli sfollati interni fornendo generi di prima necessità (acqua, cibo, medicine, coperte) con un’attenzione ai più piccoli e alla loro educazione. “Ci occupiamo di piccole ristrutturazioni nelle scuole danneggiate, abbiamo messo a disposizione psicologi e insegnanti per le attività ricreative e facciamo training per gli insegnanti alle prese con la didattica a distanza”, più che mai necessaria nelle zone più colpite dal conflitto. Anche in Perù l’attenzione verso i minori è una delle peculiarità della Fondazione: qui gli operatori di Avsi sono presenti nei quartieri marginali di Lima e nelle comunità rurali più isolate e povere con progetti di educazione, formazione e agricoltura, mentre attraverso il sostegno a distanza vengono aiutati oltre 200 bambini. Per il Burundi l'obiettivo di questa campagna è fornire a 1.500 persone vulnerabili le competenze tecniche e professionali necessarie per l'accesso al lavoro o per l'avvio di attività generatrici di reddito e responsabilizzandole come attori del cambiamento e costruttori di pace che sostengono la coesione sociale nella loro comunità. In Tunisia e Libano – altri due Paesi al centro della Campagna Tende – Avsi è impegnata invece nella formazione professionale, nell’educazione e nel reinserimento dei “migranti di ritorno” (Tunisia), nella protezione dei rifugiati, nel fornire programmi scolastici o di sostegno all’autonomia delle giovani donne (Libano). Ma Avsi, che quest’anno compie 50 anni, è presente anche e soprattutto nel Paese dove è nata: l’Italia. Lo fa con un’attenzione alle famiglie più fragili, ai ragazzi in difficoltà con lo studio e da qualche mese sostenendo 200 rifugiati ucraini con servizi di accoglienza, corsi di lingua, assistenza documentale, orientamento al lavoro, grazie all’hub #HelpUkraine di Milano.