Forlì, al lavoro dopo l'alluvione (Foto Silvia Camporesi)

«Non mi è stato portato via ciò che conta»

Da Tracce di Giugno, alcuni scatti dell'artista forlivese Silvia Camporesi sui luoghi colpiti dall’alluvione e l’omelia di don Leonardo Poli, parroco a Lugo, pronunciata nei primi giorni dell’emergenza
Leonardo Poli*

San Paolo va all’Areopago e annuncia che il Dio ignoto si è svelato, ha preso un volto umano, un volto che libera dalla paura. Perché se Dio fosse ignoto - considerando che noi dell’ignoto abbiamo paura - avremmo paura di Dio.

E quando la paura ci domina è perché non guardiamo a Gesù. Abbiamo come riferimento un’altra faccia, semmai la nostra, piena di limiti, o la faccia della natura che - in questi giorni ci è evidente - non ci è assolutamente madre: è una povera creatura ferita come noi e che fa paura. Ma è anch’essa segnata dalla redenzione. E davanti a Gesù uno non ha più paura di vivere: hai la libertà di vivere tutto. Il bello e il brutto.

Stamattina mi sono commosso fino alle lacrime, quando sono andato a trovare il babbo del nostro amico Gianni, che - come tutti sapete, perché Lugo è praticamente un paese, e attraverso i social le cose non arrivano a succedere che già si sanno - abitava a San Lorenzo e la sua casa è stata sventrata. Lui non era in casa, era già andato da suo figlio. E stamattina sono andato a salutarlo lì e a portargli la Comunione. Lui, che ha 92 anni, mi diceva con un volto sereno: «Le cose importanti della vita, neanche l’alluvione me le può portare via. Mi han portato via la casa, ma non mi è stato portato via ciò che conta».

Forlì (Foto Silvia Camporesi)

Allora, di fronte a queste circostanze, ci dobbiamo schierare come la folla davanti a Paolo nell’Areopago: alcuni lo deridono, alcuni si mettono a discutere, alcuni credono. Paolo non converte nessuno. Ha solo il potere di provocare alla conversione. E neanche Dio ti converte, se tu non hai chiaro che cosa vuoi. Perciò anche in queste circostanze puoi starci ribellandoti, discutendo (andando a cercare solo tutte le cose sui social, ci ubriachiamo di queste cose), o mettendoti in atteggiamento di mendicanza.

Che senso ha questa circostanza? Io non lo so, però sicuramente so per che cosa può essere accaduto: perché tu possa ridecidere a che cosa ti vuoi convertire, se all’angoscia, alla rassegnazione, se al lamento, se alla divulgazione dei social, nella speranza di essere il primo a postare qualche cosa… oppure: Signore, vieni.

Ieri sera, prima di dormire, mi è arrivato un messaggio, era un video, che avrete visto, di una situazione di Cesena o di Forlì, dove l’acqua era arrivata al terzo piano. Non c’era luce e da tutte le case, da tutte le finestre, uscivano voci: «Aiuto! Aiuto!». Lì mi sono detto: stanotte non si può dormire, stanotte bisogna vegliare, pregare. E allora, praticamente, tutta la notte l’ho passata ad alternare dei Rosari e a leggere Ciò che non muore mai. Il cammino di un uomo, che è l’autobiografia di Takashi Nagai. Questo scienziato giapponese convertito attraverso l’incontro con colei che diventerà sua moglie, andrà per due volte in guerra come medico e poi si ammalerà di leucemia a causa delle radiografie fatte a migliaia di persone, finché arriverà la bomba atomica e lì perderà tutto. Non perderà i due figli, perché in quel momento non erano a Nagasaki. Perderà la moglie, la casa, tutto… Lui, per la leucemia, morirà di lì a pochi mesi. Ma prima di morire ha voluto scrivere la sua autobiografia.

Mi sono commosso pensando che durante la pandemia ci è stato dato di leggere la vita del cardinale Van Thuan e adesso, proprio in questo periodo, la vita di Nagai. L’ho proprio percepito come una grandissima tenerezza di Dio. Nagai conclude il racconto della sua vita con questa pagina: «Ciò che doveva perire, era perito. Ciò che doveva morire, era morto. Il frutto di tutto ciò che avevo costruito e conseguito nel corso degli anni era ridotto a un mucchio di cenere, perché di una natura che era destinata a morire», perché la natura è destinata a passare dalla scena di questa terra. «Quando mi resi conto che avevo lavorato tutta la vita per qualcosa che era destinato a diventare cenere, rimasi sconvolto. Tutta una vita per la cenere! Non potevo sopportare una vita senza senso! Dovevo trovare ciò che non perisce. Dovevo aggrapparmi a ciò che non muore mai. Il tempo passa, lo spazio svanisce, gli esseri viventi muoiono, ma noi dobbiamo vivere la vita in modo che rimanga ciò che non può perire, ciò che non muore. “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”. Avevo compreso che ciò che oltrepassa il tempo e lo spazio è la Parola di Gesù Cristo che è Dio. La vita nella Sua Parola, la vita con la Sua Parola, la vita che ama Dio ed è amata da Dio, la vita soprannaturale, la vita dello spirito: è questa la vera vita che un uomo deve vivere. Avevo perso tutto. Ma stavo entrando nella nuova vita, nella ricerca di ciò che mai avrei potuto perdere. In una piccola capanna nel mezzo della landa atomica spazzata dal vento, con due bambini piccoli tra le braccia e il corpo che non posso più muovere come vorrei, ora conduco la mia vita nel fulgore».

Forlì (Foto Silvia Camporesi)

Guareschi fa dire a don Camillo, dopo l’alluvione: «“Signore, se è questo ciò che accadrà, cosa possiamo fare noi?”. E Cristo sorrise e gli disse: “Ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà, e il sole l’asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme potrà gettarlo sulla terra resa ancora più fertile dal limo del fiume e il seme fruttificherà. E le spighe turgide e dorate daranno agli uomini pane, vita e speranza. Bisogna salvare il seme, cioè la fede. Don Camillo, bisogna aiutare chi possiede ancora la fede e mantenerla intatta”». Questo è il nostro compito. Questa è la nostra ora.

*Parroco a Lugo (Ravenna)