Dopo un bombardamento a Odessa, Ucraina (Foto Ansa-Zumapress)

Milano. Semi di umanità e di pace

All'auditorium dell'Istituto dei Tumori, una serata organizzata da alcune realtà milanesi e dedicata al racconto dei tanti conflitti che si combattono nel mondo, a partire da quello ucraino. Il video e la cronaca dell'incontro
Giorgio Paolucci

Mentre la guerra tra Ucraina e Russia non conosce sosta, la pace può sembrare utopia. Eppure c’è chi prova a costruirla, mettendo mattoni per un edificio così fragile e così necessario. Erano in tanti ad ascoltare quattro “costruttori” invitati a portare la loro testimonianza in un luogo dove la sofferenza e la speranza sono di casa, l’auditorium dell’Istituto nazionale dei Tumori di Milano. Promotrici dell’iniziativa, quattro realtà che da tempo lavorano per tessere rapporti di amicizia e proporre occasioni di dialogo: Associazione Charles Péguy, Circolo Feltre, Club in uscita e Associazione Famiglia Martin.

Anche se gli echi (e le conseguenze) degli scontri in Ucraina sono quelli che arrivano più distintamente a noi, allargando lo sguardo scopriamo che sono 59 i conflitti combattuti nella «terza guerra mondiale a pezzi» più volte evocata da Papa Francesco: guerre tra Stati, guerre asimmetriche tra i detentori del potere e formazioni armate che li contrastano, o tra etnie e fazioni rivali. Gli operatori di Avsi ne sono testimoni in molti luoghi, e vedono con i loro occhi quanto siano profetiche le parole scritte da Paolo VI nell’enciclica Populorum progressio, anno 1967: «Lo sviluppo è il nuovo nome della pace». Il segretario generale Giampaolo Silvestri racconta in tutta la sua drammaticità la situazione di Haiti, un Paese destabilizzato, più volte colpito da eventi naturali catastrofici e dove Avsi da 26 anni è presente con progetti in campo agricolo e educativo, nel segno di un accompagnamento alle persone che è il tesoro più prezioso per chi abita una terra caduta nel dimenticatoio del mondo. Lo stesso accade per la Siria, dove c’è voluto il terremoto per riaccendere i riflettori dei media, e dove il progetto “Ospedali aperti” che mette a disposizione assistenza sanitaria gratuita in tre strutture cattoliche è diventato un importante fattore di coesione sociale e di costruzione di convivenza pacifica dentro un contesto segnato dalla contrapposizione etnica e religiosa.



Da Leopoli, città passata da 700mila a 1 milione 300mila abitanti per l’arrivo massiccio di profughi dalle regioni invase, interviene Igor Boyko, rettore del seminario greco-cattolico: «Il nostro popolo desidera la pace, ma chiediamo il rispetto di alcune priorità: il ritiro delle truppe russe dai territori invasi, la liberazione dei bambini e dei prigionieri deportati, la riparazione dei danni compiuti, un tribunale internazionale che giudichi sui crimini commessi. Le guerre hanno portato solo male, e il male deve essere fermato. Perdonare è difficile in queste condizioni, chiediamo a Dio di darci il coraggio necessario per saperlo fare. E a voi di non dimenticare il nostro popolo».

Riccardo Bonacina, fondatore del settimanale Vita, racconta i percorsi di pace intrapresi da Mean, Movimento Europeo di Azione non violenta, che raggruppa 30 associazioni impegnate in un lavoro che mette insieme controinformazione, invio di aiuti umanitari, gemellaggi tra Comuni italiani e ucraini e la costruzione di luoghi che accendano luci di speranza. Come il Peace Village, che mette a disposizione spazi per il gioco dei bambini, per il ritrovo degli anziani e per il coworking.

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Elena Mazzola, dopo essere scappata da Kharkiv insieme ai ragazzi orfani e disabili dell’associazione Emmaus di cui è presidente, vive con loro a Milano in attesa di poter rientrare in Ucraina: «Desideriamo la pace ma viviamo nella guerra, e in questo oceano di dolore vediamo accadere fatti che testimoniano il desiderio di bene che abita nel cuore dell’uomo». Come è accaduto a Yuri, che dopo un’infanzia segnata dalla fragilità era stato accolto per brevi periodi da una famiglia italiana, poi in Ucraina aveva vissuto momenti difficili segnati anche dall’alcolismo, fino a venire accolto tra i ragazzi di Emmaus. Da qui se n’era andato per arruolarsi nell’esercito ucraino, diventando testimone di violenze indicibili. Un giorno dalle finestre del rifugio in cui si era nascosto insieme ad altri commilitoni, vede i soldati russi che portano via una donna lasciando la figlia che era con lei in lacrime per la strada. «Non possiamo aiutare la bambina, se usciamo dal rifugio ci ammazzano», dicono i compagni di Yuri. Ma lui non ce la fa a girare la faccia dall’altra parte, d’impeto esce e porta la piccola nel rifugio. «Ora devi imparare a memoria questa storia: tu sei mia sorella, papà e mamma sono morti, io ti sto portando a casa della nonna». Si procura abiti civili, e superando i controlli accaniti dei posti di blocco dove i due raccontano la stessa storia, riesce a portare in salvo la bambina. Yuri nella famiglia italiana che lo aveva ospitato e poi nella comunità di Emmaus aveva conosciuto cos’è l’amore ed aveva imparato ad amare, fino a rischiare la vita per una sconosciuta. Nel cuore dell’inferno della guerra, un seme di umanità che nessun male riesce a cancellare.