L'umanità "aumentata" frutto dell'educazione
A Roma, la presentazione del terzo volume della collana Bur dedicata al Fondatore di CL nel centenario della nascita. A dialogare su "don Giussani educatore" monsignor Paolo Pezzi, Giorgio Chiosso e Carmine Di Martino (video e cronaca)Una sveglia che fa tic toc, tic toc. Un bambino rimasto solo in casa, con la sorella più grande che però è in un’altra stanza a leggere. Il bambino si mette a smontare la sveglia per capire com’è fatta e il segreto di quel rumore, di quelle lancette e di quella precisione. Ma la storia non finisce bene. E neppure la sveglia, smontata in mille pezzi che sono finiti ovunque, sul tavolo e per terra. Il bambino adesso piange perché non la sa più rimontare e non ci capisce più niente… È monsignor Paolo Pezzi, Arcivescovo Metropolita della Madre di Dio a Mosca, a far suonare (metaforicamente) la sveglia di un apologo caro a don Luigi Giussani: «È facile disfare tutto», dice monsignor Pezzi: «Ma poi la realtà non ci lascia in pace. Per costruire occorre invece un significato, diceva Giussani».
La serata è quella organizzata dal Centro Internazionale di Comunione e Liberazione di Roma e nella metafora la sveglia è la realtà. Il titolo, infatti, ricalca il libro che viene presentato nell’occasione: Introduzione alla realtà totale. Saggi sul pensiero pedagogico e sociale di Luigi Giussani, appena pubblicato da Bur Rizzoli. Introdotti da don Andrea D’Auria, responsabile del Centro Internazionale, partecipano il già citato monsignor Pezzi, il professor Giorgio Chiosso, professore emerito di Pedagogia dell’Università di Torino e Carmine Di Martino, professore anche lui, di Filosofia Morale all’Università di Milano, e curatore del libro (di questo e dei primi due, sempre dedicati al pensiero di Giussani). Al centro dei tre interventi, l’insegnamento del sacerdote lombardo, che fu un maestro vero per migliaia di giovani, ma che ragionò anche teoricamente sull’educazione, lasciando un pensiero ben strutturato sul tema.
Monsignor Pezzi, per tornare all’apologo iniziale, sviluppa il primo punto del suo intervento: «La ragione, diceva don Giussani, per comprendere la realtà ha bisogno di un punto di fuga che la ecceda. Ha bisogno di un significato. Ma qual è il problema del significato? Il problema del significato è che non te lo dai da solo. È qualcosa che devi scoprire, o meglio qualcosa che ti deve essere comunicato». Il secondo punto della descrizione proposta da Pezzi riguarda il concetto di sintesi. E qui si rifà all’esperienza del Raggio e alla famosa sintesi finale che don Giussani chiedeva sempre a chi conduceva l’incontro: «Diceva che occorreva rischiare, perché se non arrivi a una conclusione, anche rabberciata, partendo dall’esperienza che tu hai vissuto, non porti a casa niente, non porti a casa letteralmente niente». L’educazione non è anzitutto l’accumulazione di nozioni, idee, opinioni ma un’esperienza significativa. Ed ecco il terzo passaggio della esposizione: con Giussani ci si immergeva nella realtà, quasi in un corpo a corpo, senza escludere nulla. Prende forma, allora, la definizione sintetica del gesuita austriaco, consulente del Concilio Vaticano II, Josef Andreas Jungmann, tanto cara al prete di Desio e titolo del libro: «L’educazione è l’introduzione alla realtà totale». Pezzi fa un’annotazione personale: «Questa introduzione è una comunione, cioè un rapporto amoroso, oserei dire quasi un rapporto sponsale. Il riverbero in me dell’avventura educativa, nell’impatto che io ho avuto con don Giussani, è questo aspetto affettivo, relazionale, sponsale, del rapporto col reale dell’essere».
Il professor Giorgio Chiosso, trattenuto da problemi di salute nella sua città, si collega da Torino e offre un’analisi lucida de Il rischio educativo, di cui apprezza la visione in un mondo che sta riducendo l’educazione a training. Dice Chiosso: «Una vera educazione produce idealità, dinamismo, impegno, volontà di cambiamento, apertura agli altri temi. Le convinzioni di Giussani, maturate oltre mezzo secolo or sono, restano, a mio giudizio, di stringente attualità». L’educazione per don Giussani, spiega poi Chiosso, è aiutare l’uomo «a scoprire attraverso la coltivazione del cuore l’umano che è in sé e, conseguentemente, a sperimentare una libertà come via maestra per entrare in una totalità nella quale siamo immersi e che l’uomo è chiamato a identificare». Un «viaggio educativo» che il pedagogista torinese descrive come «un quadrilatero» segnato da alcune tappe: «La realtà nella quale si cresce, l’esperienza con cui essa è vissuta, il contesto fornito dalla tradizione e dal maestro che la rappresenta e che prospetta un primo significato con cui confrontarsi e la libera scelta compiuta dal giovane». È una proposta, quella di Giussani, che prende le distanze dai due principali modelli educativi che oggi vediamo prevalere nella società, spiega ancora Chiosso: «Se il primo riduce l’umano entro i confini di una pianificazione esistenziale che assicuri benessere, alta capacità produttiva e ordine sociale», il secondo riferisce a «un processo fatto dall’accatastamento di una molteplicità di esperienze all’interno delle quali contano soprattutto le sperimentazioni auto educative senza bisogno degli adulti», accompagnandosi «fatalmente al nichilismo». Due percorsi che sembrano essere inevitabili in un pensiero moderno che tende a escludere «tutto ciò che trascende l’umano, natura o Dio», per cui «l’esperienza umana è priva di ogni appoggio», conclude Chiosso: «Senza la percezione e il riconoscimento del Mistero che si cela in noi e negli altri non c’è infatti esperienza dell’umano e non sono neppure posti i presupposti della libertà».
A concludere la serata è Carmine Di Martino. La sua partenza tocca subito il nervo centrale: «Quello che vorrei sottolineare è che alla radice della pedagogia giussaniana vi è l’intuizione del Fatto cristiano come realtà presente qui e ora, la concezione del cristianesimo come avvenimento, che accade e ci sorprende oggi con il volto della compagnia che da Cristo è nata ed è arrivata sino a noi, la Chiesa, Suo corpo, modalità della sua presenza oggi, fatta di persone in carne e ossa, guidata dal Vescovo di Roma». Ora, sottolinea Di Martino, «è questa riproposizione chiara e decisa del nucleo essenziale del cristianesimo che diventa in Giussani metodo di educazione alla fede, genialità pedagogica, arte dei passi». Infatti, prosegue: «Se si rimane fedeli ai connotati originali dell’annuncio - Dio si è reso avvenimento nella storia -, ciò che è accaduto duemila anni fa, il cammino umano e di fede degli apostoli con Gesù, non è solo una esperienza del passato, ma una esperienza possibile nel presente: la stessa esperienza, la stessa pedagogia, gli stessi passi». Quando invece il cristianesimo non è riproposto in questa sua originalità, «tutto diventa metaforico o interioristico: la presenza, l’incontro, lo stupore, il seguire… e la pedagogia alla fede non può adeguatamente svilupparsi, non può essere la stessa di duemila anni fa, e si riduce facilmente, per esempio, in senso dottrinaristico o moralistico, oppure ricalca i modelli socio-pedagogici e psicologici in voga».
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Dopo questo incipit “essenziale”, Di Martino svolge altri passaggi. L’ultimo, ma non meno importante, è il seguente. Cita una frase di Giussani, da Dall’utopia alla presenza: «Tutto ciò che è umano è frutto di un’educazione». Che cosa motiva una frase così forte, si chiede? «Il fatto che l’umano è al tempo stesso un presupposto e un esito, che emerge nella misura della provocazione che riceve». Non è indifferente allora l’educazione di cui godiamo, «il tipo di incontri che accompagnano l’emergenza dell’umano in noi». Qual è la provocazione che mette massimamente in azione la nostra umanità? «È l’incontro con la sua origine e destinazione incarnata, cioè con l’avvenimento di Cristo, come realtà presente qui e ora». Perciò, conclude, «l’imbattersi in una umanità “aumentata” da quella provocazione è ciò che può far scoprire o riscoprire oggi, in modo persuasivo e vitale, il cristianesimo. Può far girare lo sguardo verso di esso».