Le manifestazioni anti-governative dei giovani in Kenya (Ansa/Epa/Daniel Iringu)

Kenya. Le rivolte e il bene che cerchiamo

Le proteste dei giovani, il desiderio di libertà e di giustizia. E il paragone con l'ottavo capitolo de Il senso religioso. Alcuni amici da Nairobi raccontano cosa li sostiene mentre il Paese è nel caos
Maria Acqua Simi

Dal 18 giugno il Kenya è scosso da gigantesche proteste, diffuse in almeno 40 delle 47 province del Paese, e culminate con la morte di una ventina di manifestanti (ma per alcuni quotidiani locali sarebbero oltre 50 le vittime) e gli arresti di decine di civili. A scendere in piazza contro la finanziaria voluta dal controverso presidente William Ruto, una misura prontamente ritirata e che avrebbe colpito le fasce più deboli della popolazione, sono stati i giovani. «Non si era mai visto un movimento simile, manifestazioni inizialmente pacifiche, coordinate tramite tam-tam sui social, portate avanti da ragazzi e ragazze di tutto il Kenya», racconta Antonino Masuri, direttore di Fondazione AVSI a Nairobi.

«Qualcosa però è andato storto e, forse per delle infiltrazioni o non si sa bene come, sono degenerate in scontri con l’esercito. Noi stessi abbiamo vissuto momenti di grande tensione nelle strade vicino a dove viviamo e lavoriamo. La preoccupazione per il nostro staff, per i ragazzi che stiamo ospitando come volontari e per la nostra gente è forte, ma questa situazione rappresenta anche una grande sfida: cosa desideriamo davvero? Cosa ci è caro? Non ho risposte pronte, posso solo rimettere queste domande a Dio. Per questo vado ogni mattina a Messa, recito il Rosario per la pace e poi mi metto a lavorare. Sono certo che Gesù ha vinto, altrimenti nulla potrebbe reggere. È possibile essere liberi anche in questo casino, perché Dio ci ha dato un luogo bello, che è l’Africa, e una compagnia di amici con cui condividere tutto. Mi colpisce sempre l’intelligenza di don Giussani, che ci ricorda che la libertà vera è l’esperienza di verità di sé stessi».

Gli fa eco Peter Matenghe, responsabile di CL nel Paese.

«I disordini ci hanno preso alla sprovvista perché nessuno tra noi immaginava cosa agitasse il cuore dei nostri giovani. Sono rimasto impressionato dalla folla enorme che è apparsa per le strade. La determinazione assoluta, l’energia e la coordinazione erano fantastiche. All’improvviso, i giovani, soprattutto la GenZ - come loro stessi si definiscono -, hanno mostrato grande interesse per questioni a cui prima erano estranei. Perfino mia figlia adolescente, solitamente riservata sebbene curiosa, è diventata d'un tratto molto esplicita, rilanciando i messaggi dei social media che sfidavano lo status quo. Mi ha colpito questo desiderio di libertà che lei, come i suoi coetanei, grida a gran voce». Chiedono giustizia, perché il Paese vive da anni una situazione difficilissima. Il Governo fatica a tenere in ordine i conti (il debito internazionale è altissimo), la corruzione è endemica, mancano lavoro e prospettive, per non parlare delle sciagure naturali che si sono abbattute sul Kenya negli ultimi anni: dalla invasione di locuste che ha distrutto i raccolti fino alle alluvioni e inondazioni che hanno costretto migliaia di persone a sfollare e hanno innalzato l’allerta per la diffusione di malattie come il colera e la malaria. In tutto questo, l’immobilismo della classe politica, che non ha fatto altro che arricchirsi alle spalle dei civili, ha esasperato il clima.

«Eppure anche i manifestanti sono confusi nelle loro istanze, non esiste una descrizione chiara di ciò che desiderano realmente. Dopo l’iniziale richiesta di ritiro della legge finanziaria, a cui il presidente ha acconsentito, hanno proseguito chiedendo le sue dimissioni e lo scioglimento del Parlamento. Basterà qualche buona azione del Governo a placarli? Allo stato attuale, nulla sembra indicare che accadrà presto. Molti di loro sono arrabbiati, credono che la generazione dei loro genitori abbia subìto un lavaggio del cervello da parte dello Stato e della Chiesa, e per questo sia incapace di portare una novità. Mi sono chiesto: ma è davvero così? Siamo davvero così?». Fortunatamente, racconta Peter, lui ha un luogo dove poter portare queste domande, ed è la sua Scuola di comunità.

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«Con gli amici della Fraternità abbiamo tentato di giudicare quel che sta attraversando il nostro Paese alla luce di ciò che abbiamo incontrato e così abbiamo pensato a quel che Giussani tante volte ha raccontato degli eventi del 1968. Perché c'è una sfida improvvisa allo status quo, all’autorità, alla Chiesa, alla tradizione? Quando abbiamo abbandonato i principi fondamentali? Dice don Giussani: «Un cristiano, quando agisce, è già rivoluzionario nei principi». Siamo stati fedeli a questo principio? Leggendo la sua biografia abbiamo ri-scoperto che è possibile stare di fronte agli sconvolgimenti della Storia con fiducia e speranza. Nel lavoro che stiamo facendo sul capitolo ottavo de Il senso religioso, don Giussani ci ricorda come rischiamo di perdere la libertà se abbandoniamo il metodo, il cammino. Il Kenya è nel caos, smarrire la strada non sarebbe difficile e non abbiamo sottomano soluzioni facili. Però più vedo le dimostrazioni in corso, più desidero approfondire il lavoro della Scuola di comunità».