Andrea Moro

Verso il Meeting - «Un'eredità che è già tua»

A un mese dall'apertura della manifestazione riminese, Andrea Moro, neuroscienzato e linguista, tra gli ospiti di quest'anno, si confronta con il tema: «Un invito a usare la vita, a mettersi in gioco»
Luca Fiore

«Quando mi hanno chiesto di intervenire sul tema del Meeting di Rimini di quest’anno, sono andato a vedermi il testo originale del Faust e ho scoperto una cosa interessante. Goethe usa la parola erwerben, che vuol dire acquistare, più che ri-guadagnare». Per Andrea Moro, linguista e neuroscienziato, rettore della Scuola Superiore Universitaria di Pavia, allievo di Noam Chomsky, è normale partire dai “mattoni” del linguaggio, le parole. E così ha subito notato che quel “Ciò che tu erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo, per possederlo”, citato da don Giussani ne Il senso religioso, è frutto del lavoro di un traduttore-traditore che, come qualche volta capita, amplifica e approfondisce il significato originale. «Quel prefisso “ri”, significa che qualcosa c’era già», spiega Moro: «Secondo me c’è questa suggestione meravigliosa nell’interpretazione della traduzione: riguadagnare vuol dire che era già in tuo possesso. C’è una specie di richiamo straordinario alla frase più rassicurante, forse, del messaggio cristiano. Cristo non ha mai proposto un percorso ad ostacoli, ma dice: “Rimanete in me”. Trovo che questa dimensione sia implicita nella versione italiana, non penso non sia stato un lapsus. La prima cosa da fare rispetto a questa eredità è riconoscere che è già tua. Ma non c’è solo questo nel titolo di quest’anno…».

Che cosa la colpisce ancora?
Pensiamo per un istante a cosa vuol dire emblematicamente “eredità”. Un’eredità è un regalo inaspettato, immeritato e che ci permette di fare cose nuove. Allora l’altra cosa che mi colpisce della scelta del titolo del Meeting è che non può non riguardare tutta la nostra esistenza perché anch’essa ha esattamente le stesse caratteristiche. Mi colpisce anche il contesto dal quale è preso: nel testo originale, Goethe dice che se non si usa un dono, allora diventa una zavorra. Ecco, il richiamo del titolo mi pare uno sprone a usare la nostra vita, a mettersi in gioco, a capire che «la colpa è non usare veramente di quel che accade».

Alla presentazione del Meeting 2017 a Rimini

Dal suo punto di vista di linguista che cosa significa considerare il passato come qualcosa che va “riconquistato”?
Facciamo fatica a renderci conto che la nostra vita ci fa partire da zero: spesso ci sentiamo legati nel bene e nel male a chi ci ha preceduto e questo ci sottrae la possibilità di sentirci protagonisti, come invece siamo, della nostra esistenza. Eppure c’è almeno un aspetto in cui chiaramente noi iniziamo da zero rispetto ai nostri padri e alle nostre madri ed è la “conquista” del linguaggio, il miracolo che avviene in tutti noi che nasciamo senza parola – nasciamo “infanti” – e nel giro di pochi anni, senza troppe istruzioni, arriviamo a manipolare la cosa più complicata che si possa pensare: il linguaggio umano.

Per molti oggi l’uso della lingua è messo in pericolo dalle nuove tecnologie che minaccerebbero le competenze linguistiche dei “nativi digitali”. Dobbiamo davvero avere paura?
I nativi digitali non esistono: si tratta di una metafora consumistica utile per una società che ha bisogno di etichette per il mercato. Gli esseri umani sono uguali da almeno centomila anni e non possono gli smarpthone cambiare la nostra struttura neurobiologica, come la bicicletta non ha cambiato l’apparato locomotore. Né la lingua è in pericolo. Se le abbreviazioni fossero dannose, l’impero romano non sarebbe resistito più di pochi anni. Ma al di là delle battute, un pericolo nel diluvio di informazione scomposto cui assistiamo esiste, rispetto alla comunicazione: è l’incapacità alla concentrazione prolungata, abituati come siamo a tollerare interruzioni nella narrazione per far spazio alle comunicazioni commerciali. Se un allenamento ci vuole, questo sta nella capacità di imparare a leggere romanzi, a vedere film interi, ad ascoltare un concerto. In una parola, a mettere mente e cuore in modalità di ascolto.

Al Meeting interverrà insieme a un esperto di linguaggio animale. Perché è interessante indagare questo tema? Oggi una certa attenzione per il mondo animale sembra distrarci dall’attenzione verso le persone. È così?
L’attenzione verso gli animali non è una novità. Nel bene e nel male, gli esseri umani hanno riflettuto sugli altri esseri viventi in ogni epoca. Oggi le questioni etiche sono certamente scottanti e non sempre affrontate con razionalità e talvolta lasciano il sospetto che siano funzionali all’incapacità di assumerci responsabilità verso i nostri simili, ma c’è un aspetto che non riguarda l’etica che ha reso centrale oggi il confronto tra gli esseri umani e gli altri animali. Si sapeva, almeno da Cartesio, che il linguaggio umano si differenzia da quello di tutti gli altri animali perché permette di costruire un numero potenzialmente infinito di combinazioni (le frasi) a partire da un numero finito di elementi primitivi (le parole). Oggi questa capacità è stata colta con rigore matematico e - qui sta la novità più importante e sconcertante - si sa che è espressione della struttura neurobiologica dell’uomo, ponendo con ciò nuove domande e nuovi dati circa la natura della nostra specie.