Gigi De Palo

Gigi De Palo. Cattolici senza aggettivi

L’Italia sempre divisa in due, la sintesi che manca. E il «salto» del bene comune… «Non si serve la società solo in Parlamento». Dialogo su vita e politica con il presidente del Forum delle Associazioni familiari (da "Tracce" di marzo)
Paolo Perego

«Si può provare a incidere in politica anche dalla società civile, nella vita di tutti i giorni, piuttosto che dagli scranni di una Camera o di una Giunta». Parola di Gigi De Palo, 42 anni, romano, marito di Anna Chiara e padre di cinque figli, l’ultimo nato un anno fa. Dal 2015 è presidente del Forum delle Associazioni familiari, composto in totale da più di 600 sigle a cui fanno riferimento oltre 4 milioni di famiglie. L’obiettivo? «Portare all’attenzione del dibattito culturale e politico italiano la famiglia come soggetto sociale». Parla senza fronzoli, De Palo, coi suoi piedi nudi nei sandali che ha deciso di indossare 17 anni fa come fioretto per la pace dopo un viaggio in Terra Santa. E non ha più messo scarpe. Neppure quando andava in giunta in Campidoglio, chiamato dal 2011 al 2013 a fare l’Assessore alla Famiglia, alla Scuola e ai Giovani.

Ora si alterna tra famiglia, il suo lavoro da formatore (si occupa di “dimensione spirituale della leadership”), eventi, tavoli di discussione, incontri. «Nessuna tessera di partito», sottolinea nella autobiografia sul suo sito: «Soffro la divisione in fazioni. Mio padre è della Lazio, io della Roma. Ci vogliamo un bene dell’anima anche quando vince uno e perde l’altro. Guelfi e ghibellini, fascisti e comunisti... Perfino Sanremo, con Ultimo e Mahmood. L’Italia si divide così da sempre. E non riesce a trovare una sintesi, il bene comune».

In che senso?
La sintesi non è la somma degli interessi particolari. «Faccio le cose dei guelfi più quelle dei ghibellini, uguale bene comune». No. Il bene comune è un salto di qualità. Questa divisione, invece, emerge sempre di più in tanti ambiti, anche in quello cattolico. Da una parte, ci sono quelli che chiamo “cattolici moralisti”, più bravi a fare esegesi del pensiero altrui che proposte; dall’altra, i “cattolici socialoni”, disposti a far sconti su tutto: «Ma sì, anche la Chiesa cambia...». In mezzo, i cattolici senza aggettivo, che comprendono la complessità del periodo, anche nel vivere la fede nella quotidianità e con le persone che non la pensano come loro, e non si riconoscono nelle fazioni. Gente che pensa che la vita sia “degna” nella pancia della mamma come su un barcone... Le ideologie cadono, ma ne tornano di nuove con una faccia diversa. E non è un problema di chi governa.



È una questione culturale, quindi?
Prevale da anni una logica elettorale, per cui si fa solo quello che produce un riscontro immediato. Non si semina per il futuro. Ma c’è anche un non riconoscere le cose positive che si sono fatte nel passato: «Arrivo io e cambio tutto». In Francia non si sono mai sognati di togliere il quoziente famigliare nonostante si siano alternati vari governi: se le cose funzionano e danno solidità, allora si mantengono. Invece, per la prima volta nella storia italiana, stiamo usando l’approccio inverso perfino nella politica estera e nella diplomazia.

Perché lei non è più in politica?
Non ho l’ambizione di stare in Parlamento. Per fare politica non serve per forza uno scranno. Io la faccio, di fatto. Magari il 90 per cento di quello che faccio con il Forum rimane silenzioso, come dovrebbe essere il vero lavoro politico: tavoli, incontri, dialoghi... E capita anche che altri se ne prendano i meriti, perché a qualcuno serve una “bandierina” da mettere sui social. Ma oggi chi vuole fare la politica silenziosa? L’arte dell’incontro, della relazione, il dialogo: tutte cose che magari è utile non sbandierare, non perché ci sia del losco, ma perché fanno parte di un fiume carsico di mediazioni, racconti, rapporti interpersonali. È qui, nell’incontro, che rompi le fazioni, è qui che si può lavorare.

«Per fare politica non serve per forza uno scranno. Ma oggi chi vuole fare la politica silenziosa?»

Per esempio?
L’introduzione del consenso informato dei genitori per i corsi sul gender nelle scuole. Un muro contro muro non avrebbe portato a nulla. Con il Forum abbiamo messo intorno a un tavolo tanti gruppi e associazioni, fatto telefonate, incontrato dirigenti, tranquillizzato chi era più dubbioso ma che provava a fare un passo. Fino ad arrivare a una proposta ragionevole e condivisa.

Fuori da quel “silenzio” sarebbe stato possibile?
Non credo. Certo non nelle piazze di chi urla, ma neppure, oggi, nelle sedute in Parlamento.

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Come si scardina tutto questo? Comunque le elezioni ci sono, la politica dei partiti esiste...
Non c’è un prontuario. Uno può fare i ragionamenti, perché non finisca tutto male, magari in attesa che qualcuno inizi a seminare per il futuro, un progetto di lungo periodo. Ho cinque figli, a me interessa che l’Italia cambi. Tra dieci anni, ma che cambi. C’è chi parla della necessità di un partito moderato. «Ci sono Lega, Pd, i 5 Stelle: facciamo i moderati e tutti votano i moderati». Non funziona così. Il consenso è una scienza esatta, ed è direttamente proporzionale a quanti piedi tu lavi.

Lavare i piedi?
Mettersi al servizio, risolvere i problemi della gente, incontrarla, parlarci. E non è facile, perché molti pretendono tanto. E tu devi fargli capire che magari non si può, che è meglio in un altro modo. Ma chi lo fa, veramente, oggi? Il fermento non manca, ma se non ti pieghi sulla gente, sui suoi problemi...

«Mettersi al servizio, risolvere i problemi della gente, incontrarla, parlarci. Ma chi lo fa, veramente, oggi?»

Parla dei cattolici?
Anche, e soprattutto. Noi pensiamo che bastino le idee. Non è vero. Le idee sono un pezzo, quello che ti spinge a fare delle cose. Ma non sono ciò che genera “consenso”. I tuoi figli vanno a scuola? Sei in Consiglio di istituto? C’è una finestra da aggiustare? Aggiustala. Hai risolto un problema e generato consenso. Punto. Occorre immischiarsi nei luoghi in cui si vive. Servono soggetti così, nuovi. Presenze. Che iniziano a lavorare lì dove sono, non le raccolte di firme o le piazze. Una volta che hai risolto il problema dell’amianto nel tetto della scuola, allora verranno da te i genitori a chiederti come la vedi su altre questioni. Il consenso è creare fiducia su quello che sei e che fai, non su quello che dici. Capita nella scuola, nel condominio, nel quartiere...

Il problema dei cattolici quindi è mettere il naso nella quotidianità?
È incontrare il Paese reale. Il Papa nella Evangelii gaudium lo spiega bene: «Hai incontrato Cristo? Allora non ci sono ferie, permessi o altro. Ogni momento è missione». Siamo cristiani così o a compartimenti stagni?

Però chiunque può impegnarsi con i problemi della gente, non solo i cattolici.
Certo! Però noi abbiamo incontrato uno che duemila anni fa lo ha fatto in modo diverso. Lui era Gesù, vero. Ma il buon samaritano è un uomo: si ferma, dà soldi, porta alla locanda… Il cattolico tutte le domeniche fa la Comunione, si mangia uno che ha fatto questo duemila anni prima e ne fa memoria.

Pare assurdo parlare di Comunione e di politica.
Ma cos’è che motiva me? Quale vantaggio ho? Un cristiano ha la consapevolezza di essere amato senza aver fatto nulla. E se anche si spacca la schiena per gli altri, non sarà mai in pari con quanto ha ricevuto. Se ne sei consapevole, allora hai la voglia e il desiderio. E aggiungo: si fanno tanti percorsi di formazione, anche politica, ma il cuore di tutto non è lì. Il tema è se dai o non dai la vita. Al bene comune, alla collettività, alle circostanze... Dove ti ha messo il Signore a vivere. Per me il centro è quello: dare la vita. Poi sulla formazione possiamo fare tutto. Ma la domanda è: ti senti in debito?

«Un cristiano ha la consapevolezza di essere amato senza aver fatto nulla. Se ne sei consapevole, allora hai la voglia e il desiderio»

Quanta gente che “dà la vita” incontri, nel tuo lavoro?
C’è una rete enorme di persone così.

Anche non cattolici?
Un conto è l’apertura all’incontro con l’altro e un conto è il dare la vita. Dai la vita quando sei amato, come ho detto, non per un’idea. Possono esserci motivazioni nobilissime nel fare politica, ma non è lo stesso. Ricordo che da assessore, nei momenti più difficili, pensavo a Cristo crocifisso, un altro al mio posto sarebbe stato solo deluso. Quando mi occupavo di asili nido, per esempio: il sindaco voleva una cosa, i genitori un’altra, e li dovevi mettere insieme, aggiungendo i sindacati e i comitati. Ti toccava trovare una sintesi sapendo che la perfezione non esiste e che non sarebbero stati tutti contenti, e che il cuore di tutto era il bene dei bambini. Be’, se non ci fosse stata la fede (e mia moglie) a sostenermi... La soluzione a basso costo c’è sempre, soprattutto se vuoi essere rieletto. Poi, al massimo saranno beghe per chi viene dopo. Tanti ragionano così, ma per un cristiano c’è un Altro.

Stiamo parlando di fede e politica...
Non servono politici cattolici, ma cattolici in politica. È la differenza tra un aggettivo e un sostantivo. Tra una qualità appiccicata e un “essere”. Il sostantivo è il cattolico, la politica è una circostanza da vivere. Pensa all’Europa, si avvicinano le elezioni. Pensa ai loro fondatori. Schuman, De Gasperi e Adenauer erano prima di tutto amici. E avevano un denominatore comune: Gesù Cristo. Non erano italiani, tedeschi o francesi. Erano cristiani, facevano parte di un’unica famiglia umana. Non voglio passare per un santone, ma alla fine il cristianesimo incide o no? O è una cosa che qualche volta tiro fuori?

«Non servono politici cattolici, ma cattolici in politica. È la differenza tra un aggettivo e un sostantivo. Tra una qualità appiccicata e un “essere”»

Qual è il valore aggiunto di un cattolico in politica, quindi?
In questo momento storico non si può prescindere dai cattolici. In tutto questo sfilacciamento sono gli unici che possono fare sintesi. La politica oggi sa fare analisi, ma nessuna sintesi. Prendiamo i temi di cui mi occupo. Un dato: nascono pochi bambini. Ma cosa facciamo? Ho conservato degli articoli di giornale del 1987. Leggo: «Saremo più vecchi e più poveri, secondo l’Istat», o «L’Europa in cerca di bambini, in gioco la salvezza del Vecchio Continente»... Dicono le stesse cose che diciamo oggi. Ogni anno l’Istat tira fuori i dati e facciamo solo analisi. E la sintesi? Non è un problema di governi: se ne sono alternati di tutti i colori in trent’anni. È una questione culturale e politica. Noi italiani siamo quelli che tirano fuori il meglio nell’emergenza e siamo fantastici, quelli che studiano per l’esame il giorno prima. Una volta va bene, due anche, ma dopo un po’... I cristiani invece hanno l’opportunità di mostrare qualcosa di diverso, di raccontarlo a tutti.

Come?
Tra la gente, tra le case, nel quartiere, a scuola, nelle parrocchie. Diminuiscono i matrimoni, le vocazioni, la politica è un disastro, i ragazzi vanno all’estero. Tutto è un “meno”. E diamo la colpa a qualsiasi cosa fuorché a noi: internet, la tv, la massoneria, i gruppi lgbt… Poi metti in fila i dati: quanto dura il percorso per il Battesimo? Tre incontri. Prima Comunione? Due anni. Due per la Cresima. Da otto a dodici incontri il percorso prematrimoniale. La percentuale di giovani in classe nell’ora di religione nelle scuole statali è dell’88%. Poi ci sono le scuole paritarie, i centri di formazione professionale, gli oratori, i movimenti, le associazioni… E ci stiamo a raccontare che è sempre colpa degli altri? Ma chi ha più opportunità di noi di parlare alla gente dagli zero ai cento anni? Abbiamo duecento colpi per fare centro e spariamo a salve. Che testimonianza diamo di Gesù e di quanto è bello dare la vita? L’88% di frequenza alle ore di religione vuol dire tutti. Ma chi dà la vita per annunciare Cristo a questi ragazzi? Don Giussani docet, in questo, no? Lui era un leader, per usare un termine anglosassone. Uno che dà la vita e cambia la storia intorno a sé. Forse quello che oggi manca è anche che ci siano tante persone così, dei leader. Delle persone che si danno in pasto senza mediocrità.

«E ci stiamo a raccontare che è sempre colpa degli altri? Ma chi ha più opportunità di noi di parlare alla gente dagli zero ai cento anni? Che testimonianza diamo di Gesù e di quanto è bello dare la vita?»

Il Papa?
Certo, lui è così. E tanti magari si indispettiscono perché va, per esempio, a parlare con la Bonino. Anche io rosicavo, ma poi ho capito. Perché lo fa? Altro che certe idee “difensive”! Come se gli altri fossero un pericolo. Questo è il cristianesimo che ha fatto convertire i barbari? Ci rinchiudiamo in una sorta di echo chamber, luoghi in cui stiamo tra di noi. Ma è una mentalità sconfitta in partenza. Il Papa non lo fa.

E per te? Com’è?
Mi capita di parlare alla gente e di sentire la pretesa che io dica cose che per me sono ovvie: che la famiglia è l’unione fondata sul matrimonio, che il matrimonio è tra uomo e donna, e così via. Ma dico, hai bisogno di sentirmelo dire? Ho una storia, sono cintura nera di catechismo, cinque figli, assessore alla famiglia, porto avanti il tema del quoziente famigliare. Però se incontro qualcuno che non la pensa come me e dialogo con lui... Tanti non concepiscono un dialogo così, che invece è necessario e a volte vincente nel mondo postmoderno e plurale che abitiamo. Come se il problema fosse convincere qualcuno. No: tu incontri l’altro, dialoghi sulle tue ragioni perché sei disposto a metterti in gioco. Che non vuol dire annacquare il vino.

E questa è politica?
Sì. Questa è politica.