Monsignor Franzini.

Monsignor Franzini: «La sfida più importante per noi vescovi? Conoscere e amare Gesù Cristo»

Oltre settanta vescovi dell’Argentina hanno incontrato il Papa. Che li ha esortati ad un lavoro decisivo per questa terra. Uno di loro ci spiega quale
Luca Pezzi

Monsignor Carlos María Franzini ha 57 anni e dal 2000 guida la diocesi di Rafaela in Argentina. Lo incontriamo a Roma durante la visita ad limina che ha portato oltre settanta vescovi argentini, suddivisi in tre gruppi, ad incontrare Benedetto XVI. A giugno, ricorre il nono anno dalla sua elezione. Ci accoglie all’uscita dall’ascensore nella casa del clero che lo ospita.
Eccellenza, iniziamo dalla visita ad limina. Com’è andato l’incontro con il Santo Padre?
Abbiamo avuto incontri comunitari con lui. Credo che la visita ad limina abbia un valore di segno: l’incontro con il Vicario di Cristo che ci accoglie e ci benedice... A ognuno ha detto: «Sei confermato nella fede e nel ministero» e questa è una grazia per noi vescovi e le diocesi che guidiamo. Nei suoi interventi il Papa ci propone un piccolo programma pastorale: in precedenza ha parlato della formazione sacerdotale - ci ha chiesto di essere molto impegnati in questo lavoro -, della famiglia e della gioventù. Ci ha incoraggiato nel lavoro che stiamo facendo per trovare le vie del dialogo e dell’incontro tra i diversi gruppi della nostra nazione molto frammentata...
Quali gruppi?
Gruppi politici, sociali. Dalla grande crisi del 2002 abbiamo iniziato un servizio per favorire il dialogo e il rispetto delle istituzioni, innanzitutto repubblicane e democratiche, perché queste sono le vie per un autentico sviluppo di pace, libertà e giustizia.
Giungono sempre meno notizie dall’Argentina, dopo la crisi che vi ha colpito all’inizio del 2000: qual è oggi la situazione?
La situazione è particolarmente complessa in questo contesto di crisi. Alla crisi globale - che più o meno è la stessa in tutto il mondo - si aggiungono problemi legati alla frammentarietà sociale e alla difficoltà nell’individuare vie per uno sviluppo e un progresso economico autentici. Siamo migliorati dopo la crisi, ma adesso cominciano ad apparire i segni di quello che abbiamo vissuto otto-nove anni fa: c’è stato un impoverimento dei più poveri e crescono gli indici dei senza lavoro. Ci sono problemi legati alla corruzione e al narcotraffico. La settimana scorsa un sacerdote che lavora nelle periferie, dove questi problemi sono gravissimi, ha ricevuto minacce di morte per aver parlato di depenalizzazione di fatto nell’uso della droga... Voglio dire che ci sono dei problemi strutturali gravi che non riusciamo a risolvere.
Recentemente il cardinale Scola ha affrontato sulle pagine del Sole24ore il tema della “crisi” definendola «crisi di cultura in senso forte»: è così anche nel suo Paese?
L’episcopato ha parlato più volte di una crisi morale ed etica. Di una crisi dei valori e anche di una crisi di senso perché non si sa dove si va. Credo che la nostra sia una crisi fondamentalmente morale, e qualcuno dice anche teologica, perché si è perso il senso di Dio. Si è perso il senso del fratello, perché se non c’è Padre non ci sono fratelli, e questo ha delle conseguenze nell’ordine della convivenza e del rispetto per le norme. Nonostante ciò, vi sono delle riserve spirituali specialmente fra il popolo più povero, più aperto alla Provvidenza e alla fratellanza. Credo che sia fondamentale recuperare quanto dice Benedetto XVI nella sua enciclica: che il cristianesimo è innanzitutto incontro con Gesù Cristo. Perciò tutto quello che facciamo come Chiesa deve orientarsi in questa direzione: incontrare Gesù Cristo, avere con Lui un rapporto personale. Il cristianesimo è innanzitutto questo. Questa è la sfida più importante del cristianesimo di questo secolo. Come diceva Giovanni Paolo II, il programma esiste: conoscere, amare e imitare Gesù Cristo per vivere in Lui la vita trinitaria e trasformare con Lui la storia. Se viviamo questo programma siamo sulla buona strada.
Qual è la situazione della Chiesa argentina?
I numeri non sono veramente espressivi della realtà ecclesiale. Circa l’80% degli argentini si dice cattolico, ma la domenica si accosta ai sacramenti solo il 7-8%. È un dato indicativo. C’è un generale riconoscimento della Chiesa come istituzione, specialmente per quello che fa in campo sociale. Le statistiche parlano della Chiesa come di una delle istituzioni più avvalorate dagli argentini, poi iniziano i casi singolari, illuminati dai media per creare scandalo. Perciò la Chiesa in generale è valorizzata, rispettata per quello che fa in campo sociale, ma non vi è una pratica coerentemente cristiana. Uno dei tesori più importanti è quello della religiosità popolare: una riserva spirituale che va evangelizzata e fondata nella parola di Dio. Il documento di Aparecida (le conclusioni della V Conferenza generale dell’Episcopato latinoamericano, nel maggio 2007; ndr) parla di questo. In questo senso possiamo dire che c’è la sfida di un approfondimento della Parola di Dio nella religiosità popolare.
E la secolarizzazione?
Qualche anno fa, in un documento sull’evangelizzazione, abbiamo definito la secolarizzazione, questa indifferenza a Dio, questo vivere come se Dio non ci fosse, «la sfida più importante tra di noi». Qualche volta si parla di una nuova situazione: non è soltanto un’indifferenza, ma in qualche caso c’è un’avversione e un rifiuto. Sono piccoli gruppi, ma influenti e appoggiati dai media: ha cominciato a diffondersi, anche da noi, un movimento per l’apostasia, iniziato in Spagna e poi in Europa, che chiede formalmente l’annullamento del battesimo.
In Argentina può accadere quello che sta succedendo in alcune zone dell’America Latina, penso al Venezuela o alla Bolivia?
Non con le caratteristiche di questi Paesi, perché sono molto diversi da noi. I governi di queste nazioni sono amici del nostro, che non ha una disposizione positiva verso la Chiesa. Qualche volta ci accusano di essere l’opposizione, ma questo non è il nostro compito e nemmeno vogliamo essere opposizione di qualcuno, soltanto del peccato e del diavolo. C’è stato qualche problema, è una situazione difficile, ma non organizzata, sono pregiudizi ideologici un po’ puerili.
Una domanda finale. Eccellenza, usando un’espressione di Eliot: è la Chiesa che ha abbandonato l’umanità o è l’umanità che ha abbandonato la Chiesa?
Una buona domanda! Credo che la Chiesa e l’umanità, qualche volta, dimentichino la loro radice. Credo... Non mi piacciono le distinzioni troppo rigide. La vita non è bianca o nera, ma è grigia. Perciò credo che la Chiesa - e in questi giorni abbiamo conosciuto tanto della curia romana - sia mistero. Credo sia l’ultima conseguenza dell’Incarnazione e questo è meraviglioso.