La copertina del libro.

FISICHELLA «Don Giussani, un uomo che dava ragione della sua speranza»

È stato presentato a Milano il libro di don Massimo Camisasca. Tra i relatori, il rettore della Lateranense. Che ha raccontato come ha conosciuto, 36 anni fa, quel «sacerdote impregnato di realismo»...
Fabrizio Rossi

«Un autentico apologeta del nostro tempo». Così monsignor Rino Fisichella, rettore della Pontificia Università Lateranense, ha definito don Giussani, presentando il 27 maggio a Milano il volume di monsignor Massimo Camisasca Don Giussani. La sua esperienza dell'uomo e di Dio (San Paolo). Introducendo l’incontro davanti alle 500 persone che hanno riempito la sala di via Sant’Antonio, Camillo Fornasieri - direttore del Centro culturale di Milano, promotore della serata - ha sottolineato il «valore storico» della presentazione milanese, visto che proprio in un liceo di questa città è iniziata l’avventura di Comunione e Liberazione.
«Più che un libro, una testimonianza», secondo monsignor Fisichella. La testimonianza di «un uomo che per 45 anni è stato al fianco di don Giussani, così da poter comunicare oggi un’esperienza di vita, più che una ricostruzione storica». Del primo incontro con il sacerdote brianzolo, avvenuto nel 1973, Fisichella conserva un ricordo vivo: «Tre anni prima ero entrato in seminario a Roma, con disappunto del mio vescovo che preferiva che rimanessi a Codogno, nella Bassa lodigiana. Giussani venne a predicarci gli Esercizi spirituali. A me ridiede serenità, assicurandomi che il Signore mi voleva proprio lì: “La Chiesa è molto più grande dei confini di una diocesi”, disse».
Per il rettore della Lateranense, «la personalità di don Giussani può essere tutta riportata all’esperienza descritta da san Paolo: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”. È stato un sacerdote impregnato di grande realismo evangelico». Per il quale Cristo «non era un mito o un romanzo», né qualcosa di scontato. O, per dirla con le parole di Tertulliano: «Gesù ha affermato di essere la verità, non la consuetudine».
Monsignor Fisichella ha ripercorso, quindi, il momento storico con cui ha fatto i conti don Giussani insegnando al Liceo Berchet: «Un mondo che, segnato da un profondo secolarismo, tentava di vivere come se Dio non esistesse, nell’illusione che l’uomo potesse fondare la propria vita su se stesso». In questa situazione, «don Giussani ha seguito il comando di san Pietro: “Siate pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi”».
Un uomo che, come ha sottolineato monsignor Camisasca, «ha sentito la problematicità moderna, pur senza essere un rétro nostalgico del passato: ha voluto costruire il nuovo». Raccontando la nascita del libro, l’autore ha dichiarato di essere stato «combattuto»: la vita del suo soggetto aveva avuto un’intensità tale, da non poter essere tradotta sulla carta. Obiezioni superate dalla «necessità di scrivere»: «Volevo lasciare una traccia di ciò che Giussani ha rappresentato per me, per la Chiesa e per il mondo. Senza farmi suo interprete, ma testimone». Innanzitutto perché il sacerdote brianzolo «non è qualcuno che è stato, ma che è ora». Dell’amico, una cosa su tutte ha più colpito monsignor Camisasca: «La familiarità con il Mistero, che ha messo la sua tenda nell’istante: nel lavoro, sul tram, negli affetti, nel caffelatte, nel preparare un esame... In questa trama quotidiana, Giussani ci ha fatto cogliere non solo la voce del Mistero che chiama, ma la sua stessa Presenza».