Un momento dei lavori.

BAGNASCO «Lo sviluppo è vocazione»

Il presidente della Cei ha tenuto una lectio magistralis sulla "Caritas in veritate". All'incontro promosso dalla CdO Liguria sono intervenuti anche Bernhard Scholz e Ettore Gotti Tedeschi. A tema, il ruolo centrale dell'uomo nell'economia
Dario Vascellaro

Non esiste sviluppo vero, autentico, senza una visione dell’uomo integrale. La questione sociale e dello sviluppo è sempre legata profondamente a un’antropologia completa. Se manca una visione dell’uomo non ci può essere sviluppo e quindi non ci può essere benessere generale.
È questo il messaggio dell’enciclica di Papa Benedetto XVI Caritas in veritate sulla quale l’arcivescovo di Genova cardinale Angelo Bagnasco ha tenuto, sabato 19 settembre, una lectio magistralis nella Sala delle grida del Palazzo della Borsa a Genova. Molti i temi affrontati dal presidente della Conferenza episcopale italiana durante l’affollato incontro promosso dalla Compagnia delle Opere, dalla Fondazione Rui, dal Forum delle associazioni familiari e dall’Ucid (Unione cristiana imprenditori dirigenti), con il patrocinio della Camera di commercio di Genova.
Nel commentare un’enciclica che rilegge in modo critico - ma senza pessimismo e, anzi, aprendo realisticamente al futuro - la “res sociale” di oggi, che va sotto il nome di globalizzazione, il Cardinale ha iniziato analizzando i due presupposti di fondo che guidano la riflessione della Caritas in veritate. Il primo è «la convinzione che lo sviluppo non è solo una questione quantitativa, ma risponde piuttosto a una vocazione». Bagnasco, dunque, ha spiegato che «bisogna sottrarre a un cieco determinismo la lettura della globalizzazione e ribadire che anche questo complesso fenomeno è legato alla variabile umana... Ciò fa comprendere che lo sviluppo non è un processo rettilineo, quasi automatico e di per sé illimitato, ma è determinato dalla qualità umana degli attori chiamati in causa». Solo se lo sviluppo è una vocazione e non un destino, peraltro, si può sperare di avere ancora margini di cambiamento e soprattutto di trasformazione. Il secondo presupposto ricordato dal presidente della Cei è «il fatto che la giustizia, pure necessaria, non è autosufficiente perché esige la carità, così come la ragione ha bisogno della fede... Per un verso non c’è carità senza giustizia perché si tratterebbe di semplice assistenzialismo, per altro verso non si dà giustizia senza carità perché si finirebbe nelle secche di un arido legalismo». La dimensione della carità, però, sottintende la consapevolezza che tutta l’umanità è un’unica famiglia, quindi il concetto di fraternità (che si esprime nel principio di gratuità e nella logica del dono) è alla base di quella dimensione di carità che diventa poi anima della giustizia e dell’economia stessa.
Il punto di approdo di quanto detto sul rapporto tra giustizia e carità è che sbaglia chi contrappone etica individuale ed etica sociale. Le due cose stanno insieme: «In concreto, questo vuol dire che lo sviluppo vero non può tenere separati i temi della giustizia sociale da quelli del rispetto della vita e della famiglia e che sbagliano quanti in questi anni, anche nel nostro Paese, si sono contrapposti tra difensori dell’etica individuale e propugnatori dell’etica sociale... Taluni fenomeni di degrado politico cui assistiamo oggi - ha aggiunto - e che rivelano mancanza di progettualità e resa a interessi di corto respiro, così come recenti episodi di abbruttimento finanziario che hanno portato al collasso del sistema economico, colpendo le fasce più deboli dei risparmiatori, confermano che l’etica sociale si regge soltanto sulla base della qualità delle singole persone».
In conclusione, il Cardinale ha affrontato il tema, trattato nell’enciclica, della questione ambientale: «La crisi ecologica non può essere interpretata come un fatto esclusivamente tecnico - ha sottolineato -, ma rimanda ad una crisi più profonda perché ai “deserti esteriori” corrispondono “i deserti interiori”, così come alla morte dei boschi “attorno a noi” fanno da pendant le nevrosi psichiche e spirituali “dentro di noi”, all’inquinamento delle acque corrisponde l’atteggiamento nichilistico nei confronti della vita».
Alla lectio del presidente della Cei hanno fatto seguito i contributi del presidente della Compagnia delle Opere, Bernhard Scholz, e del presidente per l’Italia di Santander Bank, Ettore Gotti Tedeschi.
Scholz ha affermato che «se lo sviluppo è vocazione, allora il bene della persona, il bene dell’impresa - vista come comunità di persone - e il bene comune possono cominciare a entrare in una relazione organica di reciprocità. Un’impostazione realistica dell’impresa sarà sempre orientata al medio-lungo termine e considererà il profitto come uno strumento essenziale ma non come obiettivo».
Solo il principio di sussidiarietà e i corpi intermedi, ha proseguito il presidente della CdO, «possono garantire il connubio fra libertà e responsabilità senza il quale la società naufraga nell’individualismo e nella solitudine». Compito dei corpi intermedi, come associazioni e movimenti sociali e professionali, è quello di sostenere moralmente e di aiutare nelle scelte le singole persone - dirigenti, imprenditori, collaboratori - che si assumono liberamente le proprie responsabilità.
Quanto alla gratuità, Scholz ha ribadito che si tratta di un fattore assolutamente incisivo nella vita economica: basti pensare agli imprenditori che investono soldi personali per evitare di licenziare qualcuno, o ai collaboratori che aiutano liberamente i giovani colleghi a introdursi bene nell’azienda.
Alla fine del suo intervento, Scholz ha affermato che l’enciclica «smaschera il grande tentativo prometeico dell’uomo di salvare se stesso, soprattutto attraverso lo sviluppo economico e scientifico», tentativo che si sta rivelando come un grande tradimento di sé e del proprio desiderio di felicità e di verità. È per questo che «Benedetto XVI chiede ai cristiani di testimoniare che la fede è in grado di illuminare la ragione non solo nelle decisioni private ma anche nelle decisioni economiche e politiche, permettendo di affrontare le grandi sfide con estremo realismo e con instancabile fiducia per il bene di ogni uomo e di tutto l’uomo».
Ettore Gotti Tedeschi, poi, si è posto la seguente domanda: perché siamo stati costretti ad adottare strumenti di politica economica rischiosi, a truccare la crescita e i risultati, a usare strumenti ingestibili, a permettere l’avidità dei manager? L’origine della crisi, secondo il presidente Italia di Banco Santander, è il blocco delle nascite e la negazione della vita (anche come risorsa economica). Le conseguenti invenzioni di soluzioni insostenibili per surrogare lo sviluppo naturale e assorbire le conseguenze - costi fissi, tassi, asset finanziari - hanno solo provocato l’esigenza di far diventare l’economia fine anziché mezzo. Se l’economia, che è uno strumento, diventa fine - ha spiegato Gotti Tedeschi - l’uomo diventa mezzo. Così abbiamo visto le correzioni (delocalizzazioni, immigrazione, consumismo a debito sempre più elevato, non distribuzione della ricchezza bensì gestione egoistica della stessa) ridurre l’uomo sussidiario del sistema di sviluppo economico ormai drogato e falsificato, rischioso e insostenibile.
Dopo che sono state contraddette le precedenti encicliche, Populorum progressio e Humane vitae, secondo Gotti Tedeschi è importante tenere accesa l’attenzione sulla Caritas in veritate.