La chiesa di Trivolzio.

SAN PAMPURI Un miracolo lungo vent’anni

La messa in diretta su Rai Uno, le otto campane rimesse a nuovo, il paese in festa... Si celebra l’anniversario della canonizzazione del medico che «viveva ogni piccola cosa come straordinaria»
Fabrizio Rossi

«Guardi qua: tra luci e microfoni m’hanno riempito la chiesa di fili...». Don Angelo Beretta, il parroco della chiesa dei Santi Cornelio e Cipriano a Trivolzio, quasi non riesce a star dietro a tutti i preparativi della festa di domenica 1 novembre. Vent’anni fa, diventava santo il giovane medico condotto Riccardo Pampuri, il cui corpo è custodito nella chiesa di Trivolzio. Per l’occasione, alle 11 Rai Uno trasmetterà in diretta la messa, e torneranno a suonare le otto campane della parrocchia, completamente rimesse a nuovo. Campane che per Pampuri avevano un particolare significato, visto che fu suo zio Carlo a fonderle per inaugurarle al Battesimo del nipote, nel 1897.
Quante persone arriveranno? «Chi può dirlo? - si chiede don Angelo -. Ogni domenica ne contiamo quasi 500. La gente aumenta a vista d’occhio». Una storia che don Angelo ha visto dall’inizio: «Sono arrivato l’anno prima della canonizzazione. E non potrò mai dimenticare la messa in Piazza San Pietro, col Papa». Cinque anni dopo, un’altra svolta: «Don Giussani era rimasto molto colpito dalla guarigione da un tumore di una ragazza del movimento, Cristina, che aveva strofinato un’immaginetta di san Riccardo su un indumento. Le chiese di scriverlo a Tracce e si mise a suggerire a tutti: “Dite qualche Gloria a san Riccardo Pampuri: dobbiamo valorizzare i santi che Dio ha creato tra noi, nella nostra epoca e nella nostra terra. Bisogna invocarlo: un Gloria a Pampuri tutti i giorni!”».
Da lì, un continuo arrivare di pellegrini che s’inginocchiano davanti all’urna del santo, pregano, lasciano un messaggio sui quadernoni messi dal parroco: «Domenica pomeriggio aspettiamo un gruppo di 200 persone da Lugo, sabato scorso sono venuti 60 studenti di Medicina da Bologna...». Da san Pampuri s’incontrano soprattutto molti giovani, che affollano la messa del sabato sera. A loro il santo medico è sempre stato vicino: «Per questo aveva fondato anche una banda musicale. Non si stancava mai di ripetere loro: “Non abbiate paura a cercare la verità. Chi la trova, trova Dio”». Ma non mancano i gruppi di anziani o le gite delle case di riposo: «San Riccardo è il santo della quotidianità. Ha seguito molto gli anziani come medico: senza nulla di straordinario, ma facendo ogni piccola cosa con amore grande». E la sua storia è approdata anche all’estero: «Ci sono sue statue in una chiesa a Nairobi, alla Mayo Clinic di Rochester, nella clinica per malati terminali di padre Aldo ad Asunción...».
I miracoli in questi vent’anni sono stati tanti. «Ma quello più grande è avvenuto a Umberto Motta - racconta don Angelo -, un universitario morto il 26 agosto 2004 (v. Tracce, n. 9/2004). Gli avevano amputato il piede per un tumore, che poi s’è esteso ai polmoni. Una sera sono venuti 400 suoi amici a pregare san Riccardo, sembrava che non arrivasse il miracolo. Invece c’era, eccome: era in quel ragazzo di 22 anni che, vicino alla morte, diceva: “Dio mi ama e m’ha fatto per l’eternità: mi affido a Lui”. Da allora tanti sono venuti a dirmi: “Sa, don Angelo, la morte di Umberto m’ha cambiato la vita...”».