Chiara Badano

Chiara Badano e quel "sì" detto a Gesù

L'incontro con il movimento dei Focolari. Poi un dolore alla spalla e la malattia. Una breve vita spesa per amore di Cristo
Paola Ronconi

«Voglio dire sempre sì a Gesù», una semplice frase detta da bambina, una frase sentita al catechismo o dalla mamma. Ma è in queste poche parole la sintesi della vita di Chiara Badano, la ragazza di Sassello morta nel 1990, dichiarata beata il 25 settembre 2010 nel santuario del Divino Amore a Roma.

Chiara nasce il 29 ottobre 1971 a Sassello, sull’Appennino ligure; i suoi genitori, Maria Teresa e Ruggero, vedono il suo arrivo come una grazia della Madonna delle Rocche. Erano, infatti, 11 anni che la attendevano.

Chiara è una bambina serena, che già piccolissima mette i “soldini” in una scatola “per i negretti” come le ha insegnato la mamma. Il 27 maggio 1979 è il giorno della Prima Comunione. Riceve in regalo un Vangelo dal parroco e poco dopo scriverà che «come per me è facile imparare l’alfabeto, così deve esserlo anche vivere il Vangelo!».

A 9 anni incontra il movimento dei Focolari attraverso il gruppo Gen 3, la terza generazione del movimento, ragazzi e ragazze dai 9 ai 17 anni. Con questi amici Chiara cresce, si confronta, promuove le più diverse iniziative, tutto per mettere in pratica il Vangelo e approfondire il suo rapporto con Gesù che diventa sempre più un amico quotidiano. Tanto che anche i suoi genitori, vedendo questo entusiasmo, iniziano a far parte del movimento dei Focolari.

Nel 1986 è bocciata in IV ginnasio. A ottobre, il primo giorno di scuola, ha paura a entrare nella classe nuova, non conosce nessuno: «Poi ho pensato che potevo assomigliare un pochino a Gesù abbandonato e piena di gioia sono entrata», scrive: «I compagni sono stati molto simpatici. Ho chiesto così a Gesù di essere sempre pronta a voler loro bene in ogni momento».

Beatificazione di Chiara Badano. Roma, Santuario del Divino Amore, 25 settembre 2010

Nell’88 ha un dolore lancinante alla spalla mentre gioca a tennis: è un tumore, l’inizio di un calvario di chemioterapie, interventi chirurgici e cure dolorose. Sua madre racconta che quando seppe la diagnosi della sua malattia, Chiara rimase in silenzio 25 minuti. «Poi mi guarda con un sorriso e dice: “Ora puoi parlare”. Chiara ha impiegato 25 minuti a dire il suo sì e non si è più voltata indietro».

Non si arrende. Chiede con insistenza alla Madonna il miracolo della guarigione, certa che «il dolore abbracciato rende liberi». Paradossalmente il suo letto, in ospedale o a casa, è un luogo di serenità. Sono sempre molti gli amici che, come attratti da una strana pace, le fanno compagnia e ai quali Chiara racconta di sentirsi «immensamente amata da Dio» nonostante la prova: «Gesù mi smacchia con la varechina, e la varechina brucia. Così quando arriverò in Paradiso sarò bianca come la neve». Chiara Lubich, con la quale ha fin da piccola uno scambio epistolare, le dà il soprannome di Luce.

La malattia avanza in fretta. Chiara rifiuta la morfina che la rende poco vigile e offre la sua sofferenza per la Chiesa, i giovani, il movimento dei Focolari, le missioni. Alcuni momenti sono davvero duri e ripete: «È per te, Gesù». Capisce che sta per morire, ma si sente pronta: «È lo sposo che viene a trovarmi». Così dà indicazioni per preparare quella che continua a definire la “festa”: sceglie l’abito, i canti, le preghiere per il suo funerale.

«Non chiedo più a Gesù di venire a prendermi per portarmi in Paradiso, perché voglio ancora offrirgli il mio dolore, per dividere con lui ancora per un po’ la croce». Dopo una notte di dolori, Chiara chiama a sé la mamma: «Mamma, sii felice perché io lo sono. Ciao». Poco dopo muore. È il 7 ottobre 1990, il giorno della Vergine del Rosario. Da allora, ogni anno, la messa in suo suffragio è preceduta da una festa.