Bambini in preghiera a Prey Veng.

CAMBOGIA L'infinito in un palmo di mano

Da dieci anni nel Paese dei khmer, padre Alberto racconta la sua esperienza in missione. Dove Sang e gli altri bambini della scuola gli hanno fatto scoprire che ogni circostanza è una chiamata. Perché «tutto mi parla di Lui»
Alberto Caccaro

Sarà la Tua mano
a prendere la mia
con un gesto d’amore
ignoto alla mia carne (...)
Dimmi che non sarà la morte...
Solo il Tuo volto,
solo il Tuo incontro, Signore.

(Donata Doni, Il pianto dei ciliegi feriti)

Tutto mi parla. Ieri osservavo il piccolo Sang, nove anni, mentre faceva il bucato. Seduto con il catino che sembrava una piscina, stava sfregando i polsini della camicia bianca per tirarli lustri. È la sua divisa scolastica. Da qualche giorno frequenta la seconda elementare. Mi sono seduto ad osservarlo... Poi ha pranzato ed è tornato a scuola per le lezioni del pomeriggio. «Vedere un mondo in un granello di sabbia / e un cielo in un fiore selvaggio. Chiudere l’infinito in un palmo di mano / e l’eternità in un’ora». Tutto mi parla. Sento che tra le faccende di ogni giorno si sta insinuando una nuova chiamata. Mi chiedo spesso se il mio destino è Prey Veng oppure il Signore mi sta chiamando ad andare altrove. E, nel caso, dove? Il rapporto con il Signore Gesù non è statico. Se siamo in ascolto di Lui che sempre si fa vivo, allora non possiamo tacere le domande, le inquietudini che Lui stesso suscita a tutte le età e in tutte le condizioni di vita. Perché Lui è qui.
La settimana scorsa, quarta del tempo ordinario, di martedì, ho celebrato come al solito la messa. Il Vangelo parlava della guarigione della figlia di Giairo ed in mezzo al racconto, l’evangelista Marco, sovraccaricando il contesto, ha inserito l’episodio dell’emorroissa. Lei, malata da anni, volendo toccare Gesù, comincia a farsi strada tra la folla, fino a che riesce a toccarlo. In quell’istante, si legge nel Vangelo, «sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male». Questo dettaglio mi ha occupato il cuore per diversi giorni. Ho sentito nel mio corpo la Sua chiamata. Quel luogo, quell’altrove, dove Gesù vuole mandarmi è sì un luogo fisico, però non un paese o un quartiere, ma il mio corpo. Quella donna «sentì nel suo corpo» la presenza, l’azione e il potere di Gesù. Il suo corpo è stato lo spazio, il luogo, dove Gesù ha abitato, e che Gesù ha guarito.
Quanto è importante la dimensione corporea. Dice il Papa: «L’uomo ha bisogno di vedere e di far sì che questo vedere diventi toccare. Egli deve salire la “scala” del corpo, per trovare su di essa la strada alla quale la fede lo invita». «Sarà la Tua mano a prendere la mia con un gesto d’amore ignoto alla mia carne».
Mi è tornato alla mente il film Viaggio in Inghilterra di Richard Attenborough. Racconta la storia vera dello scrittore inglese C.S. Lewis. Più ancora del film, il suo libro Diario di un dolore, letto mentre ero ancora in seminario, in cui Lewis racconta il suo dolore dopo la scomparsa prematura della moglie, malata di cancro. In questo libro parla dell’assenza della moglie in modo commovente: «Non è un’assenza localizzata», scrive Lewis. «Se ci venisse proibito il sale, probabilmente non ne sentiremmo la mancanza più in una pietanza che in un’altra. Tutto il cibo sarebbe diverso, ogni giorno, ad ogni pasto. Ora è lo stesso. È l’atto di vivere che è diverso in ogni momento. La sua assenza è come il cielo, si stende sopra ogni cosa». Ma subito dopo si corregge e continua: «No, non è del tutto vero. C’è un luogo dove avverto la sua assenza in modo localizzato, ed è un luogo che non posso evitare. Il mio corpo. Quando era il corpo del marito di H. aveva ben altra importanza. Adesso è come una casa vuota».
La solitudine degli inizi, qui a Prey Veng, favorita dall’essere straniero e prete, che cominciava da zero in una terra che non ha mai considerato significativa la presenza della Chiesa e dei suoi ministri, mi ha spesso indotto a chiedermi se la mia vita fosse come una casa vuota, il mio corpo, il mio cuore, luoghi da affittare a qualcuno per farli abitare e fruttare... «Come colui che vive medicandosi» o «che si riversa nel mondo degli oggetti per sfuggire il vuoto che lo abita» (M. Recalcati, L'uomo senza inconscio). Con il rischio, continua Recalcati, di allungare «la lista di partner inumani, rinnovata di continuo dalle astuzie del discorso del capitalista: droga, alcol, cibo, psicofarmaco, immagine ideale del proprio corpo, computer, oggetti che illudono il soggetto di sanare la sua mancanza ad essere».
Quello che mi ha aiutato ad approfondire la conoscenza di me stesso sono state le circostanze nelle quali ho vissuto. Senza fuggire. Non miracoli improvvisi, ma disseminati nell’esperienza e nelle persone con cui ho vissuto e con cui vivo tuttora. E poi l’ascolto paziente e gratuito, senza attese, della Parola di Dio, la celebrazione dell’Eucarestia, spesso da solo o con cristiani semplici, poveri. Sang che si fa il bucato, i ragazzi che vanno a scuola tutti i giorni e non si lamentano mai.
Tutte le volte che rientro all’ostello ho sempre bisogno di chiamare i ragazzi per nome anche se non ho niente da dire loro. Spesso accorrono e rimangono perplessi quando, dopo averli chiamati, non ho per loro niente. Ma devo sentire che la casa non è vuota... Ora lo sanno e quando grido il loro nome, rispondono con un fragoroso saluto. Poi, ultima, ma sacrosanta, pura, potente, la Poesia. Sentite cosa scrive Giovanni Cristini (1925-1995) che, prossimo alla morte, prega in poesia e chiede al Signore di poter portare con se alcune cose: «Quando sarà il momento, Signore, / concedimi di portare con me / il fico grande del giardino di Montaldo, / l’aiuola con le rose e con l’ibisco, (...) il Campanile Basso del Brenta / e l’allegro sorriso dei miei figli. / E lascia ancora che porti con me / il piccolo scrittoio in camera da letto / perché possa vedere per sempre / mia moglie che scrive / al lume della lampada». La fede e la Sua promessa che si «possa vedere per sempre». L’Eucarestia, la Parola, la Poesia, i Ragazzi, hanno sempre riempito la mia casa.
Pregate con la Poesia, lasciatevi istruire dai poeti e fate di ogni circostanza un modo per «offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio».
Mi ero messo a scrivere una lettera di ringraziamento per tutti coloro che hanno aiutato il nostro piccolo nuovo asilo ed è uscita una riflessione più ampia. È sempre così, quando mi metto a scrivere. Tutto mi parla. Ringrazio però di cuore chi ci ha aiutati e chi ancora continuerà a farlo.
In questo giorno dedicato alla Beata Vergine di Lourdes che tanti corpi ha guarito, affido tutti voi perché ciascuno diventi tempio Dio. Il nostro corpo, per Dio. «Chi sei tu che colmi il mio cuore della tua assenza? / Che colmi tutta la terra della tua assenza?» (Par Lagerkvist, Uno sconosciuto è il mio amico).