Monsignor Paolo Pezzi a Luino.

RUSSIA Un uomo in missione tra le ceneri dei gulag

In un incontro a Luino, l'arcivescovo metropolita Paolo Pezzi racconta del «desiderio vivo» di un popolo dopo settant'anni di regime. Di un'unità che lui mendica per sé. E del compito dei cristiani: «Non resistere, ma rinascere»
Valentina Bolis

Cinquant’anni. Tanto aveva dovuto attendere l’anziana donna per quell’incontro carico di speranza e di salvezza, come una liberazione. Una donna con il volto segnato dall’età e dalla fatica, che aspetta un sacerdote a cui rivolgere una timida richiesta: «Scusi, mi può confessare? Sono cinquant’anni che non vedo un prete». Il senso di una missione può essere racchiuso negli occhi di una signora che, in un villaggio di poche anime sperduto nel Nord della Siberia, ha potuto dopo molti anni riconciliarsi con Dio.
L’esperienza di monsignor Paolo Pezzi, arcivescovo metropolita dell'Arcidiocesi della Madre di Dio a Mosca, passa anche per questi luoghi, piccole comunità che hanno costruito la loro vita sulle ceneri dei gulag. Uomini e donne che, non potendo più tornare nelle città d’origine, hanno resistito al regime comunista. «Quello che mi veniva chiesto era di partire e io avevo la consapevolezza che, accettando quell’invito, il mio compito era di servire un popolo e una realtà che già esisteva», parla a cuore aperto monsignor Pezzi, rivolgendosi ad un'attenta platea al Teatro Sociale di Luino per un dialogo sul tema “Cercare l’unità, difendere la libertà. Le sfide dei cristiani all’inizio del terzo millennio”, guidato da Enrico Castelli, inviato del Tg1, e Monica Scholz, tra i fondatori del Centro Culturale San Carlo Borromeo che ha realizzato l’incontro, lo scorso 18 febbraio.
Una nazione, la Russia, che all’inizio Pezzi conosceva poco, in grande trasformazione dopo il crollo del muro di Berlino. È da lì che comincia la sua missione in mezzo a un popolo che, pure dopo settant’anni di regime, bruciava ancora di un desiderio di verità, giustizia e bellezza, e lo testimoniava. «Negli incontri che tenevo con i giovani», racconta, «partecipavano cattolici, ortodossi e anche atei. Mi rivolgevano domande sulla vita, sulla fede, su Gesù Cristo ed era quello il segno tangibile che il loro desiderio era ancora vivo. Ho capito che il senso della parola missione era nell’approfondire quell’incontro di fede, quell’avvenimento che mi ha fatto scoprire la mia vocazione e che mi permette di mostrare agli altri quella bellezza e quella verità che ho incontrato e di cui faccio esperienza ogni giorno». Anche in un contesto in cui spesso si discute dell’unità dei cristiani: «Per prima cosa ho capito che è l’uomo stesso a non essere unito. E io questa unità devo innanzitutto mendicarla per me, avendo la consapevolezza che me la può dare solo Colui che sa dare un senso a tutti i frammenti della mia vita. Poi, l’unione tra fratelli la si riscopre nel Battesimo, sacramento che ci fa membra di un unico corpo, così come scrive san Paolo».
Un corpo, la Chiesa, che più che dagli attacchi che provengono dall’esterno è «fortemente minato dall’interno», dalla stanchezza e dal conformismo, come già si leggeva nelle parole della famosa Lettera ai cristiani d’Occidente, che il teologo cecoslovacco Josef Zverìna aveva affidato a due amici affinché la portassero oltre la Cortina di ferro: «Il pericolo più grande è la scarsa consapevolezza di ciò che si è e delle proprie tradizioni», ha concluso Pezzi: «Non sono né le persecuzioni né le prove che attentano alla Chiesa, ma il formalismo e il conformismo di chi non guarda alla realtà che accade, ma si preoccupa semplicemente che il meccanismo funzioni. Il compito dei cristiani non è tanto quello di resistere, ma di rinascere». Un invito e un monito così veri da non poter restare inascoltati.