Gli studenti della scuola di Prey Veng.

CAMBOGIA Quel pezzetto di Dio che sfida il partito

Il missionario del Pime racconta la sua esperienza nel Paese dei Khmer. Dove è forte la tentazione di cedere al potere, come capita ai ragazzi della scuola di Prey Veng. Che lottano per essere liberi di pensare
Alberto Caccaro

In me non c’è un poeta,
in me c’è un pezzetto di Dio che potrebbe
farsi poesia
.
(Etty Hillesum, Diario 1941-1943)

Chiacchierando con il prof di matematica, qualche settimana fa, dicevo che la scuola è come un essere vivente, in continua crescita. Esige attenzione costante, passione, dedizione totale e gratuita. Mentre parlavo mi accorgevo che a tema non era solo la scuola, ma la vita intera, mia, sua, degli studenti. Non è possibile infatti procedere per compartimenti stagni. Sarebbe schizzofrenico entrare in classe e lasciare fuori una parte di sé, la propria moglie o marito, i propri figli, così come entrare in casa e lasciare fuori il proprio lavoro, gli alunni e le loro domande... Allora, per farla breve, ho usato tre parole: «Tu sei uomo, e padre, e maestro», gli ho detto. «Sempre e dovunque». Quando entri in classe, vi entri come uomo. I ragazzi guardano a te, al tuo modo di vivere, di parlare, di sbagliare (!), di vestire, di pensare, di sognare, di essere vero o falso. I ragazzi guardano la tua umanità. Ma sei anche padre, sei forza, motivazione, comunione, creazione, relazione, passione e amore per la tua e la loro vita. I ragazzi guardano il tuo cuore. E sei maestro: competenza, preparazione, ricerca, scienza. Sei un cantiere sempre aperto, in costruzione. I ragazzi guardano alla tua conoscenza. Di queste cose hanno bisogno. Delineavo così tre caratteristiche che vorremmo in ciascuno dei nostri insegnanti: l’umanità, la paternità/maternità, la professionalità.
Il titolo di questa lettera è il motto della nostra scuola: "la lettura produce un comportamento virtuoso". Speriamo sia così. Abbiamo per questo creato una piccola biblioteca. Per educare i ragazzi alla lettura, alla ricerca, allo scambio di idee, al gusto per la parola scritta. Il motto, così come è scritto in cambogiano, è attribuito al più famoso monaco buddista del Paese, il venerabile Chuon Nat (1883-1969).
Qualche giorno fa, a tavola, i ragazzi mi dicevano che il partito al governo sta distribuendo a tutti gli studenti dell’ultimo anno, quello della maturità, un formulario per l’iscrizione al partito. Forse con la promessa che in futuro sarà più facile ottenere borse di studio per l’università o cercare lavoro. Pensavo al motto della scuola e al desiderio di continuare, senza indietreggiare: «... in me c’è un pezzetto di Dio che potrebbe...». Noi non siamo militanti di partito. In noi non c’è destra o sinistra. In noi c’è un pezzetto di Dio... Tutto qua!
«Mai come oggi», scrive don Giussani, «l’ambiente inteso come clima mentale e modo di vita, ha avuto a disposizione strumenti di così dispotica invasione (e devastazione) delle coscienze». E i nostri argini, la nostra controffensiva non è politica, ma ha una valenza politica. È la stessa di Etty: «La preghiera, assieme all’esperienza dell’amore e alla lettura dei libri prediletti (arriverà a preoccuparsi di far entrare nello zaino per il campo di concentramento L’Idiota, il Libro d’ore di Rilke - magari a scapito di un maglione o di un po’ di cibo) sono gli argini fondamentali che Etty erige dentro di sé a fronte del potere di distrazione posseduto dagli eventi che devastano il mondo circostante. È nella preghiera, soprattutto, che Etty impara a trasformare, (...), il tragico di quel mondo nella letizia del suo spazio interiore» (Emanuele Trevi, Musica distante, p.140).
Cinque anni fa, quando ancora non esisteva la scuola e nemmeno la chiesa, e stavamo cercando strade da percorrere qui a Prey Veng, ho letto il libro 1984 di George Orwell. Mi aveva impressionato l’attualità del romanzo pur essendo stato scritto nel 1948, quindi sessant’anni fa. Nel libro, forse per la prima volta nella storia, si parla del Grande Fratello, metafora della dittatura del potere, che procede non più in forma violenta, ma suadente, impercettibile e dall’interno delle coscienze. Si parla, nel libro, dello psico-reato, ovvero pensare diversamente dal partito. Mentre vi scrivo, penso al formulario distribuito nelle scuole, alla libertà dei ragazzi, al loro futuro pieno della tentazione di cedere, per paura, per opportunismo, per mancanza di strumenti e di parole. Infatti, nel libro, chi comanda comincia a creare una nuova lingua che ha lo scopo di ridurre le possibilità del pensiero per evitare di pensare diversamente. «Non ti accorgi che il principale intento della neolingua - dice Syme a Winston - consiste proprio nel semplificare al massimo le possibilità del pensiero? Giunti che saremo alla fine, renderemo il delitto di pensiero, ovvero lo psico-reato, del tutto impossibile perché non ci saranno più parole per esprimerlo. (…) Ogni anno ci saranno meno parole, e la possibilità di pensare delle proposizioni sarà sempre più ridotta». In una società così descritta, l’educazione non amplifica, ma restringe, non promuove, ma fa retrocedere, non forma, ma crea analfabeti, persone che non sanno né leggere né leggersi. In poche parole, persone facili da controllare, meri consumatori, senza né profondità d’animo né autonomia di pensiero.
«Il vero aspetto negativo nella scuola è quello di non far conoscere l’umano attraverso i valori che troppo spesso tanto inutilmente maneggia: mentre in ogni azione l’uomo rivela la sua indole, appare ridicolo che vanamente si percorrono a scuola, attraverso la studio delle varie manifestazioni degli uomini alcuni millenni di civiltà senza saper ricostruire con sufficiente precisione la figura dell’uomo, il suo significato nella realtà». Si possono quindi percorrere millenni di storia senza che emerga, anzi evitando che emerga, la domanda di senso sul significato della vita, perché si arriverebbe presto ad uno psico-reato, ovvero un giudizio, un pensiero, un sogno, non omologabili nel pre-definito del regime. Ha ragione David M. Ayres quando scrive che il futuro della Cambogia è ancora prigioniero del suo passato perché in questo passato, che non si può né indagare né capire, il sistema educativo nazionale «was a tool utilized, and often abused, in the interests of building a Cambodian nation-state geared to the entrenched positions of those in power». Meglio allora il nozionismo e le sintesi preconfezionate: «Chi controlla il passato - diceva uno slogan del Partito - controlla anche il futuro» (1984, p. 38).
La nostra scuola ha aperto i battenti nel settembre del 2008. In quello stesso mese, il Papa andò in visita a Parigi e pronunciò queste parole: «La ricerca di Dio richiede quindi per intrinseca esigenza una cultura della parola, (…) escatologia e grammatica sono interiormente connesse l’una all’altra». Fu per noi la conferma definitiva, e andammo avanti.
Scusate se in questi ultimi mesi ho scritto molte lettere, ma è il precipitare degli eventi. La mia esperienza in Cambogia sta per finire e quello che leggete è, forse e più ancora, il precipitare dei pensieri, una grande sintesi che mi porto dentro, delle letture, delle storie, dei sogni di questi ultimi dieci anni. Non c’è quindi da spaventarsi, ma solo da essere grati per quello che è stato, che è, e che sarà.