Il tavolo dei relatori della serata.

VERONA Come salvare l'Africa con l'Africa

Alla presentazione della mostra sulla vita di Comboni si svela che la grandezza del missionario «non è un dono da museo», ma una compagnia che continua. Alla scoperta di come essere protagonisti della propria vita
Stefano Filippi

«Comboni per me è una presenza, un incontro che mi ha affascinato quando avevo 13 anni. Non è una grazia del passato, un dono da museo, ma un uomo di Dio, una novità continua». Incontro, fascino, presenza: padre Enrique Sanchez Gonzalez, il superiore generale dei missionari comboniani, ripete queste parole in continuazione. L’occasione è una serata organizzata lunedì 14 marzo a Verona dall’associazione Rivela e dal Centro di cultura Sant’Adalberto: ad agosto avevano portato al Meeting di Rimini una mostra sull’evangelizzatore del Continente Nero, che ora comincerà un lungo giro fra città e paesi: a Verona, dove maturò la vocazione del vescovo missionario e ha sede la casa madre dell’istituto religioso, rimane esposta dal 19 marzo al 3 aprile. Un incontro frutto di un anno di lavoro, che ha richiamato le autorità cittadine: il vescovo, monsignor Giuseppe Zenti, ha addirittura interrotto gli esercizi spirituali per essere presente.
La passione per la comunicazione della fede è il tratto che ha distinto san Daniele Comboni, e la sua personalità ardente continua a interrogarci anche oggi. «Fu un pioniere del dialogo con l’islam, ma anche il primo a denunciare quel suo fondo di durezza inscalfibile nonostante nell’800 la religione di Maometto fosse in decadenza», ha spiegato lo storico Giampaolo Romanato. «Ha dato volto all’impossibile, ha sfidato la schiavitù, ha condiviso la vita con popolazioni rifiutate da tutti, rivelando che ognuno di loro, ogni africano ha un valore infinito. Ha offerto loro una compagnia, un cammino, che continua ancora», ha aggiunto padre Sanchez.
Con loro sul palco, assieme al moderatore Davide Perillo, c’era Rose Busingye, anche lei in qualche modo «figlia» del santo veronese visto che da ragazza ha reincontrato la fede grazie a un missionario comboniano, padre Tiboni. L’ugandese Rose incarna l’ideale di Comboni di «salvare l’Africa con l’Africa». «Non ho mai dubitato che Dio esistesse, ma pensavo fosse per i buoni e i bravi, non per i poveretti. Tiboni mi ha fatto scoprire chi sono, a chi appartengo, e questo diventa cultura, principio di un modo nuovo di vedere me e gli altri. Diventa possibile la fine della schiavitù. Diventa possibile dire anche a un malato di Aids: tu hai un valore infinito». Salvare l’Africa con l’Africa: «Quando scopri il valore tuo, scopri anche quello dell’altro. E i miei amici, le migliaia di malati e orfani accolti nel Meeting Point International, hanno cominciato ad aiutarsi tra loro, a non infettarsi, a soccorrere chi era nel bisogno, a essere protagonisti della loro vita». È una sfida per il presente, il dialogo che Dio stabilisce con il cuore dell’uomo attraverso uomini come san Comboni.