«Non abbiate paura»

PRIMO PIANO - GIOVANNI PAOLO II
Alessandro Banfi

Sfidò l’angoscia che incombeva in Italia e nel mondo. Mise in guardia dalle ideologie, al di là come al di qua del Muro. Ma, soprattutto, visse scommettendo tutto su un “tabù”: Gesù Cristo e la Sua pretesa di essere «centro del cosmo e della storia». Alla vigilia della cerimonia con cui, il 1° maggio, Benedetto XVI lo proclamerà beato, ricordo (e attualità) di un Papa a cui dobbiamo moltissimo

Ci fu un acquazzone terribile e tuttavia verso l’ora del tramonto tornò il sereno e ricordo quel prete polacco, mezzo zoppo, che ci accompagnava. Non so bene che cosa ne dicano le moderne neuroscienze, ma la mia memoria funziona così. Andando tanto indietro, restano dei flash, come in un sogno. Se devo pensare all’inizio di tutto, alla prima volta che solo considerai l’ipotesi di un Papa polacco, torno a quel pomeriggio dell’agosto 1977. Era il secondo anno che Cl organizzava il pellegrinaggio in Polonia, da Varsavia a Czestochowa, e com’era bello essere là a chiacchierare con quel prete nella luce dopo la tempesta.
La luce visibile dell’Europa centrale che era già una specie di anticipazione a quello che stava per accadere. Non è facile raccontare trent’anni con un santo, trent’anni della nostra vita così tanto segnati da questo pezzo d’uomo, che si trovò a fare il Vescovo di Roma quando la paura dominava la scena e che poi ci accompagnò in tanti passaggi. Però il principio fu laggiù e poi un altro flash: come da una luce all’altra, ecco quella autunnale e chiara del sagrato di San Pietro a Roma. Ottobre 1978 e lui che dice: «Non abbiate paura, spalancate le porte a Gesù Cristo!».
Karol Wojtyla, l’uomo venuto dall’Est, aveva colto il nostro sentimento più profondo: la paura. Fra l’estate del pellegrinaggio e quella dei tre Papi c’era infatti stato il rapimento di Aldo Moro, vivevamo sotto una cappa di angoscia e col senso che la Chiesa stava per essere definitivamente spazzata via dalle forze del mondo. Ricordo l’amatissimo Paolo VI, quasi piegato dal dolore nella buia chiesa del Gesù, a celebrare il ricordo dell’amico politico ucciso dalle Brigate Rosse. Gli articoli di Pier Paolo Pasolini sulla Via Crucis andata deserta al Colosseo nel 1974 e poi l’incredibile speranza spezzata in una notte di quel pontificato lungo appena 33 giorni: Albino Luciani. Un parroco buono e un buon parroco per l’Italia.

La quercia polacca. E invece ecco arrivare la quercia polacca, un uomo giovane che si impone al mondo intrecciando due parole chiave: paura, come abbiamo detto, e poi l’altra parola, l’altro quasi tabù di quegli anni folli: Gesù Cristo. La Chiesa poteva andare avanti se riscopriva la sua origine più propria: il suo Signore. Sembrava una rivoluzione dirlo, anche solo affidarsi a Lui per non avere paura. Pazzo appariva anche solo riproporre al mondo, a tutto il mondo, Cristo e Cristo crocifisso. In continuità con quello che era accaduto e da qui il nome: Giovanni Paolo II. Tradizione e innovazione.
Non per niente la prima grande enciclica fu la Redemptor hominis, con un messaggio che tanto ci entusiasmava, perché era il cuore della nostra esperienza. Gesù realizza l’umanità, non la castra, non la limita, ma la compie in tutta la sua potenzialità. È per essere uomini migliori, più felici, più veri, più seri col proprio destino che avevamo accettato la sfida di essere cristiani. «Cristo, centro del cosmo e della storia», che potenza di intuizione, che ribaltamento di prospettiva rispetto alla cultura cattolica ufficiale italiana (in primis quella uscita dall’Università Cattolica di Milano) che aveva dominato in quei decenni!
Un Papa che amava cantare, far saltare il protocollo, stare coi giovani. Un Papa, che - ci raccontavano gli amici della comunità di Roma - voleva sempre cori e chitarre, e festeggiare il “complemese”, in una semplicità di amicizia che all’inizio quasi stordiva. Negli anni si scoprirà che Wojtyla vuol essere e sarà il Papa dei giovani, dei viaggi, del contatto con la gente, del coro improvvisato che arriva al cuore dei semplici. Amava la comunione. E metteva la liberazione a grande tema su cui sfidare/incontrare il mondo contemporaneo.
Agosto 1980, nasce Solidarnosc, con quelle incredibili immagini che irrompono nelle nostre case: le confessioni nei cantieri, gli operai in sciopero a Danzica, la Madonna Nera sui cancelli… In soli due anni il mondo cambia atteggiamento nei confronti del Papa e della Chiesa. Il primo figlio spirituale di Giovanni Paolo II è un operaio, si chiama Lech Walesa e i mass media occidentali si innamorano presto di lui. Il nuovo Papa viaggia instancabilmente, all’Est come all’Ovest. I Muri che hanno tenuto su il mondo cominciano a mostrare delle crepe. Muri fisici, di potere politico e anche militare. Ma anche Muri spirituali: ateismo, laicismo, consumismo… Nella Chiesa comincia un processo di ripensamento delle mode teologiche post-conciliari. Ma non c’è un progetto a tavolino, le conseguenze dei primi, esplosivi, anni di Pontificato arrivano anzi, di colpo, quasi “per distrazione”.
E quando l’attentatore Alì Agca in piazza San Pietro spara quei maledetti colpi contro il Santo Padre, il 13 maggio 1981, si sospetta che il progetto sia invece quello di un altro potere, mondano, che cospira contro l’uomo venuto da lontano. L’odio del mondo è esploso in un solo terribile eccesso di Male, che però non è stato definitivo. Da allora Giovanni Paolo II convivrà coi dolori fisici e forse con una nuova minaccia spirituale e culturale. Testimone, e da allora anche martire. 
Giovanni Paolo II fu un terremoto anche per la Chiesa italiana. «Voi siete senza patria, perché siete inassimilabili a questa società», aveva detto personalmente a don Giussani e lui ce lo aveva ripetuto, fino a farci penetrare in quell’idea di un movimento che non si sentiva mai tranquillo e che pure partecipava con obbedienza e impegno alle vicende della cattolicità italiana. Ma Wojtyla, come a rimettere a posto le tessere di un moderno mosaico, sconvolse i riti e le gerarchie abituali con il convegno della Chiesa italiana a Loreto, aprile 1985. Lì diede un mandato preciso e concreto, di unità fra cattolici italiani e di evangelizzazione della nostra nazione, citando le associazioni laicali e i movimenti. «Per promuovere la comunione ecclesiale e la capacità di presenza apostolica della Chiesa appare molto significativa e carica di promesse la grande varietà e vivacità di aggregazioni e movimenti, soprattutto laicali, che caratterizza l’attuale periodo post-conciliare», disse. Non a caso, da Loreto prende le mosse una nuova stagione dell’Azione Cattolica e un nuovo impegno della Conferenza Episcopale Italiana, guidata dal cardinale Camillo Ruini. All’inizio il Papa polacco divide, si crea molti nemici, anche ecclesiali, interi gruppi editoriali progressisti gli muovono una guerra senza quartiere. Solo il tempo rimette a posto le cose.
La Sollicitudo rei socialis e il principio di sussidiarietà in essa ricordato e ribadito non funzionano solo da benzina per la locomotiva Solidarnosc, al di là del Muro di Berlino, ma catalizzano l’attenzione di tutti i cattolici che si impegnano nella vita pubblica e sociale, a qualsiasi longitudine e latitudine. La fine dei sistemi socialisti e sovietici, segnata dal crollo del 1989, rappresenta come il finale a sorpresa di un Novecento che nel papato di Wojtyla trova una forma di riscatto finale ed epocale.
Ma non è la fine della storia, almeno per lui, Giovanni Paolo II, e per la sua Chiesa. È semmai l’inizio di una nuova fase, in cui l’insistenza sulla pace e sui diritti degli ultimi è sottolineata. Per chi ha vissuto l’epopea della scelta pacifista in occasione della prima guerra del Golfo (1991) nella redazione del Sabato, quegli anni furono entusiasmanti. Ancora una volta il Papa scardinava lo schema abituale (e già creato ad arte dai mass media) dell’alleanza Chiesa cattolica-Occidente. A soli 48 mesi dalla caduta del Muro di Berlino, il Papa non svolgeva il ruolo assegnatogli: il cappellano del presidente Bush.
Controverso e discusso nella preghiera inter-religiosa di Assisi, straordinario e profetico nel primo mea culpa del Colosseo, vero vertice di un pontificato dominato dalla parola Misericordia, nella preghiera e nei comportamenti. Pontificato lietamente e immediatamente mariano, vicino alla religiosità popolare della gente comune, ai santi di tutti i giorni, ma anche alla grande Madre Teresa, amica personale, o a padre Pio, che vengono portati agli onori degli altari con la sicurezza del Pastore e la determinazione ardente del mistico. Pontificato luminosamente dedicato a Maria (“Totus tuus”) e ai semplici e ripetuti pellegrinaggi a Lourdes, Fatima, Loreto, Czestochowa...

Un umile servo. Gli ultimi anni renderanno più limpida la testimonianza di fronte a tutti, portando all’estremo quel primo invito su Gesù Cristo.
È lui stesso, Giovanni Paolo II, l’incarnazione di un umile servo che si offre agli uomini e al mondo, in modo indifeso, inerme. Umile servo che può essere anche negato, rifiutato e rifiutato fino alla morte. Uomo dei dolori, segnala a tutti gli infermi del cosmo e della storia che non sono più soli e che Gesù vuole bene anche a loro.
L’ultimo flash è quello dei primi mesi del 2005, segnati da quelle tre morti ravvicinate e così indimenticabili: quella di suor Lucia, veggente a Fatima, quella di don Giussani e subito dopo la straordinaria e memorabile dipartita da questa terra di Karol Wojtyla. Un addio durato giorni di giovani in fila, di uomini e donne in preghiera, di un intero mondo commosso. Ultimo (o primo) miracolo di un santo subito.