L'arazzo di Papa Wojtyla sulla facciata di San Pietro.

Ciò che abbiamo visto e toccato

Un milione e mezzo di storie debitrici a Giovanni Paolo II. La beatificazione di Papa Wojtyla è stata una festa della fede che sorprende e percuote. Per «il grande amore di Dio alla sua Chiesa»
Stefano Filippi

Un milione e mezzo di persone alla beatificazione di Giovanni Paolo II. Un milione e mezzo di storie che sono debitrici di questo grande uomo. Uno spettacolo indescrivibile di fede. Papa Wojtyla continua a essere un trascinatore di folle attratte dal fascino che sprigiona una personalità investita e trasformata dalla fede. «Giovanni Paolo II è beato per la sua fede, forte e generosa, apostolica», ha detto nell'omelia il suo successore Benedetto XVI. Un Papa tedesco che beatifica un Papa polacco: basterebbe questo fatto per dare la misura della storicità dell'evento.
È una festa della fede che sorprende e scuote. Una città mobilitata per accogliere la fiumana di pellegrini. Gente partita da ogni angolo del mondo per partecipare alla cerimonia, giunta a Roma con ogni mezzo. Gente-gente, persone normali che si sobbarcano sacrifici impensabili, che dormono in pullman o nei sacchi a pelo, sgomitano, stanno male, si mettono in coda la sera per entrare in piazza San Pietro alle due di notte e vivere pienamente la vita della Chiesa. Un popolo che sa chi seguire. Che partecipa alla lunga celebrazione sotto il sole in silenzio, canta, si inginocchia sul selciato, si dispiace se non può fare la Comunione, non provoca incidenti, e al termine della cerimonia si mette nuovamente in fila per rendere omaggio alla bara. Nel Pontefice morto ciascuno ha venerato i propri morti in un anticipo della gloria che attende tutti. Il popolo della Chiesa è stato protagonista, più dello stuolo di re e governanti venuti a onorare Giovanni Paolo II e seduti a lato dell'altare.
Il cardinale vicario Vallini, all'inizio della messa, ha elencato le qualità di Karol Wojtyla che l'hanno reso un figlio prediletto della Chiesa, poi riprese anche nell'omelia. Il profumo di santità che aleggiava già da vivo, il gigante che ha cambiato il corso della storia e ha orientato la politica e la cultura al Signore. La rassegna è lunga e dettagliata, sembra impossibile che un uomo solo abbia scritto, detto, fatto, viaggiato, studiato tanto: e ognuno dei presenti avrà riconosciuto quella parte di sé legata a Giovanni Paolo II. Finché lo stupore si è sciolto nell'ultima frase del porporato: «Il Papa è un segno del grande amore che Dio ha per la sua Chiesa e per tutti gli uomini». Il nuovo beato è un segno divino, senza il divino l'eccezionalità umana non si spiega.
Suor Marie Simon-Pierre, la religiosa francese miracolata da Wojtyla poche settimane dopo la scomparsa, si prostra sul sagrato di San Pietro davanti al Papa consegnandogli l'ampolla con la reliquia del beato. La accompagna la madre superiora che le suggerì di chiedere l'intercessione di Giovanni Paolo II. Il sangue e la carne risanata dei testimoni, perché la fede non è spiritualismo ma «ciò che abbiamo visto e toccato».
Benedetto XVI era raggiante, a tratti commosso. Ha vissuto 23 anni a fianco di un santo, e ha rivelato di averlo sempre venerato quasi ne presagisse il destino. Ne aveva celebrato i funerali, ne è diventato il successore e oggi ne ha implorato la benedizione. Ha nuovamente fatto proprio l'invito del predecessore a non avere paura e spalancare le porte a Cristo. «Ci ha insegnato a non avere paura di dirci cristiani», ha detto, «di appartenere alla Chiesa, di parlare del Vangelo. Ci ha aiutato a non avere paura della verità, perché la verità è garanzia di libertà». E alla fine è diventato «un tutt'uno con Gesù».