Pellegrino alla Santa Casa di Loreto (© Roberto Masi).

La notte in cui tutto è più chiaro

Gli amici, la figlia, il «viaggio» di Cartesio, la luce dell'aurora. E le note di Mozart. Un giornalista, che ha dato la sua testimonianza durante il cammino, ci racconta il suo pellegrinaggio
Alessandro Banfi

Perché partecipare ancora al pellegrinaggio Macerata-Loreto? Mi chiedono gli amici di Tracce. Intanto perché è un’attività che si può fare col corpo. È un gesto che coinvolge i sensi. Si mette passo dopo passo e basta questo per esserci. Pagare pullman, iscrizione ed andare. Non è richiesto nient’altro. Certo, poi uno ha sempre qualcosa da chiedere, da domandare, da sperare. Ma la nostra ragione ha bisogno di concretezza, ha bisogno di praticità, quindi di poesia.
Quest’anno mi ha colpito molto la bella omelia dell’arcivescovo Jean-Louis Bruguès, nello stadio di Macerata, che ha ricordato il viaggio del grande filosofo Cartesio a Loreto. Andato nella Santa Casa «per raggiungere, attraverso un contatto fisico con la casa della Vergine, la Madre del Logos, Colui per mezzo del quale tutto è stato fatto». Ecco, che cosa abbiamo cercato in tanti, nella bella notte fra l’11 e il 12 giugno! Un contatto fisico. Non un bisogno spirituale, astratto, lontano. Un contatto fisico e concreto tra di noi (sarebbe quasi impossibile arrivare alla meta senza il sostegno reciproco), e con la Vergine Maria, e attraverso di Lei, con Gesù Cristo.
Dunque rispondo così: sono andato al pellegrinaggio per imparare a non essere solo nella vita. Per tornare a capire che ci sono degli amici, che c’è Maria, che c’è Gesù Cristo accanto a me, nella mia vita, in tutte le mie scelte. Solo la distrazione, il peccato, la nebbia che mi investono spesso, impediscono di ricordare. Nella notte del pellegrinaggio diventa tutto chiaro e i pensieri pesanti della partenza sono diventati leggeri e quasi impalpabili all’arrivo, dove la luce dell’aurora e dell’alba mi hanno finalmente aperto il cuore: luce visibile segno della luce invisibile.
Inoltre sono andato al pellegrinaggio, grazie a mia figlia Luisa, giessina sedicenne, di grande energia e bontà, che è stato il pezzo di famiglia che mi sono portato dietro, segno di un grande amore, di un enorme affetto degli altri miei figli, Vittorio, Beatrice e Francesco, e di mia moglie Maria, che non potevano essere lì, passo dopo passo. O meglio Francesco c’era, con i suoi amici di Roma, più dietro e ogni tanto ci si mandava degli sms. Senza Luisa non ce l’avrei mai fatta, anche lei è stata una prova concreta del fatto che non sono solo, come a volte mi considero, sbagliando. E non ce l’avrei fatta senza Maura di Macerata, il nostro angelo custode dell’ufficio stampa. Ai miei occhi lei è l’ultimo segno di predilezione del movimento, incontrato tanti anni fa e ancora misericordioso nei miei riguardi.
C’è un altro intimo motivo per cui tengo tanto (e da poco tempo) a Loreto. Come mi accadde ad Oropa, poi a Czestochowa, quindi al Divino Amore, sento in esso la presenza particolare di Maria, la sua piccola Santa Casa mi ricorda la Porziuncola, una grande predilezione in uno spazio minimo, per l’unica cosa che conta nella storia. Come dice il fulminante inizio del Vangelo di Giovanni: «Il Verbo si è fatto carne». Lì è evidente.
Da mozartiano, poi, amo le Litanie lauretane, scritte dal giovane Amadeus, quando aveva diciotto anni, che compose in onore della Vergine Nera (K195). Quest’anno, nel cammino guidato sapientemente da don Giancarlo, abbiamo avuto la gioia di ascoltare, all’alba in vista del Santuario, l’Agnus Dei tratto dalla Messa dell’Incoronazione, quello che Mozart ripropone nell’aria «Dove sono i bei momenti…» de Le Nozze di Figaro. Casualmente ne avevo parlato durante il cammino con l’amico Andrea Simoncini, altro compagno di viaggio che ringrazio.
Anche questo lo ritengo un segno buono del destino. La Grazia, a volte, si comunica attraverso le note di Mozart.