Il Podbrdo è la collina brulla e sassosa indicata come <br>luogo delle prime apparizioni, nella frazione di Bijakovici.

«Certi di una sola apparizione»

Il 24 giugno di 30 anni fa, sei bambini dissero di vedere la Vergine. Da allora, innumerevoli conversioni, milioni di pellegrini, e un "riconoscimento" travagliato. Vittorio Messori spiega perché ciò che accade a Mostar è la prova del «metodo di Dio»
Alessandra Stoppa

«È un dono e una prova». Lo dice per sé, ma anche per la Chiesa: una sorta di mistero del Rosario, «gaudioso e doloroso insieme». Vittorio Messori, tra i più noti scrittori cattolici italiani, parla di Medjugorje. Sono passati trent’anni da quando, il 24 giugno del 1981, sei ragazzini dissero di aver visto in cima a una collinetta del villaggio bosniaco una ragazza di una bellezza indescrivibile, che si presentò a loro come la «Beata Vergine Maria». Trent’anni di quotidiane apparizioni, su cui la Chiesa non si è mai pronunciata ufficialmente. Da allora a oggi, sono forse una trentina di milioni i pellegrini stimati in quella terra rocciosa e incalcolabili le conversioni. Ma ciò che accade resta per la Santa Sede «un dilemma inquietante», dice Messori, tra i primi giornalisti non jugoslavi ad assistere alle apparizioni all’inizio degli anni Ottanta.

Perché per la Chiesa Medjugorje è un «dilemma»?
Perché qualsiasi sarà la decisione della Santa Sede, i danni saranno gravi. Se mai la Commissione internazionale d’inchiesta, presieduta dal cardinale Camillo Ruini (istituita il 17 marzo del 2010; ndr) si pronunciasse sulla non autenticità delle apparizioni, se mai facesse una dichiarazione di inganno, di equivoco, magari di truffa, sarebbe una catastrofe per la pastorale. Io ho incontrato e continuo ad incontrare tantissime persone che sono cambiate, per le quali Medjugorje è il centro della propria esperienza di fede: che cosa gli si potrebbe dire? È un’illusione, sei stato vittima di un inganno? Sarebbe uno scandalo, proprio per l’imponenza del fenomeno di questi trent’anni. Ma, nel caso contrario, si porrebbe comunque un problema serio.

Per l’opposizione dei due Vescovi che si sono succeduti nella diocesi di Mostar e che negano la verità delle apparizioni?
Il Diritto canonico prevede che l’ordinario del luogo, cioè il Vescovo, sia responsabile dell’indagine sulla verità o meno di questi fatti. Ed è noto che, nel caso di Medjugorje, i due Vescovi (Pavao Žanic e il suo successore Ratko Peric; ndr) si siano espressi duramente e senza esitazioni contro l’autenticità delle apparizioni. Žanic la definì addirittura «la più grande truffa della storia della Chiesa». È evidente che, se la posizione degli ordinari venisse smentita dalla Santa Sede, si aprirebbe un problema di autorità pastorale. Non solo in una prospettiva di diritto canonico ma anche spirituale, il Vescovo ha un carisma per questi eventi. Come fare per non umiliarli?

Per questo impasse, quindi, si “sospende il giudizio”. Così, per Lourdes sono bastati quattro anni, mentre per Medjugorje non ne bastano trenta...
Tenga presente che Lourdes, il maggiore pellegrinaggio della cristianità, non è mai stato approvato dalla Santa Sede.

In che senso?
È bastato che nel 1862, esattamente quattro anni dopo le apparizioni, l’allora vescovo di Tarbes, Bertrand Sévère Laurence , dicesse: «Sì, qui c’è il dito di Dio, quello che accade consta della soprannaturalità, Bernadette non si è ingannata e non ci ha ingannati. È proprio la Vergine Immacolata che le è apparsa». È stato sufficiente per renderlo ufficiale. E basterebbe anche oggi. Tanto che nell’archivio del Sant’Uffizio - che io e l’abbé René Laurentin, il più grande mariologo vivente, abbiamo consultato insieme - non esiste nessuna documentazione sul caso, perché tutto si trova nell’archivio della diocesi di Tarbes. Lo stesso è accaduto con le altre , poche, apparizioni ufficialmente riconosciute. Il Vaticano interviene solo se ci sono evidenti contrapposizioni, appunto.

Secondo lei, la Santa Sede come risolverà il «dilemma Medjugorje»?
La Commissione, come le altre fatte in questi trent’anni (la prima è del 1982; ndr), è comunque impossibilitata, secondo il magistero della Chiesa, a dichiararsi in maniera definitiva, dal momento che le apparizioni - vere o presunte - sono ancora in corso. Dunque, tutto potrebbe ancora accadere.

Intanto, si vietano i pellegrinaggi ufficiali ma milioni di persone vanno a pregare in quel luogo.
È la prudenza di escamotages che io, per carità, non condanno, anzi: è una questione di realismo e io sono un cultore del realismo.

Ma in questo realismo, non s’impone più di tutto l’«abbondanza di frutti spirituali» di cui lei stesso ha parlato sul Corriere della Sera?
Di certo se si volesse giudicare Medjugorje con criterio evangelico, ne uscirebbe ampiamente “promossa”. Gesù dice che bisogna giudicare la qualità dell’albero dai frutti. Qui, a viste umane, i frutti sono estremamente positivi: tantissime conversioni, moltissime persone che hanno trovato o ritrovato una vita cristiana nuova, più intensa. Ma si deve tenere conto di tutto. E come ci sono grandi luci, ci sono anche grandi ombre.

Quali ombre, oltre all’opposizione dei Vescovi?
Per esempio, non si può dimenticare che il primo direttore spirituale dei veggenti, padre Tomislav Vlasic, è stato espulso nel 2009 dall’ordine francescano e ridotto dalla Chiesa allo stato laicale, con accuse di eresia, dubbio insegnamento e altro. O, ancora, che negli ormai 30mila messaggi che la Madonna avrebbe pronunciato, ci sono (stando almeno ad alcuni) tracce di sincretismo. Tutto qui, è al contempo semplice e complicato.

Lei ha definito Medjugorje uno dei «maggiori movimenti di masse cattoliche del post-Concilio».
Sono tre i grandi eventi che hanno mosso davvero la cristianità nel dopo Concilio: la prima ostensione della Sindone, ormai quasi dimenticata, del 1978; padre Pio; e i funerali di Giovanni Paolo II. A questo ne va certamente aggiunto un quarto: ciò che, appunto, è successo e succede nella diocesi di Mostar.

Per lei, per la sua esperienza, che cosa significa Medjugorje?
Per me è un dono e, allo stesso tempo, una prova. Se le apparizioni sono vere, sono indubbiamente un regalo infinito, ma anche una domanda preoccupata: cerco di essere un cattolico per come posso consapevole, che si interroga, e quindi sono molto preoccupato per la posizione che dovrà assumere la Chiesa e per le sue conseguenze. Sia in un senso che nell’altro.

Ma che cosa vuol dire, in fondo, essere «certi» di fatti come questi?
Le apparizioni mariane, come anche i miracoli, sono un “di più”, sono il regalo di un Dio generoso. E noi ne siamo grati, ma il punto è che potremmo farne a meno.

Spieghi meglio.
La fede non si basa sulle apparizioni di Lourdes, di Fatima… Ma su una sola apparizione: quella di Cristo risorto ai discepoli. Tutto il resto è un “di più” di cui essere grati, da accogliere con fiducia, perché c’è. Ma potrebbe non esserci. La fede non dipende dalla verità della Sindone, dalle stigmate di padre Pio, dal sangue di san Gennaro, dalla verità di Medjugorje. Ma dal sepolcro vuoto. Dalla Risurrezione di Gesù. Questo vale anche per le apparizioni ufficialmente riconosciute, tanto che la Chiesa si limita a dire che ci sono segni per cui prendere sul serio quanto accade, ma non sono dogmi di fede

Il “mistero” in cui resta quello che accade, per esempio a Medjugorje, e che mette alla prova ciascuno e la Chiesa, fa domandare perché la Madonna non appaia in modo “indiscutibile” per tutti. Nel suo ultimo libro, Gesù di Nazaret, il Papa scrive che «è proprio del metodo di Dio agire sommessamente».
Esatto. Il Dio di Gesù Cristo si è manifestato nel chiaroscuro. Ombre e luci, appunto. Ed è così perché ci lascia veramente liberi. Vuole salvare la nostra libertà. Se si imponesse, noi non saremmo più figli, ma schiavi. Il “ti vedo e non ti vedo” è ineliminabile nella fede cristiana, come dice Pascal: il Dio cristiano ci ha dato abbastanza luce per chi voglia credere, ma ha lasciato abbastanza ombra per chi voglia dubitare. Noi non siamo mai messi con le spalle al muro. Né a Lourdes, né a Fatima, né a Medjugorje… Ovunque è una scommessa : ragionevole, certo . Ma mai un teorema che dobbiamo accettare.