La visita del Santo Padre in Germania.

La conferma di Pietro

Dalle aspettative allo spirito anticattolico. Un missionario della Fraternità San Carlo racconta cos'ha visto nel viaggio tedesco di Benedetto XVI. Un uomo che non si preoccupa «di come appare». Ma è solo «certo di chi l'ha chiamato»
Romano Christen

È domenica sera, 25 settembre. Poche ore fa Benedetto XVI si è congedato dal Presidente Christian Wulff e dall’arcivescovo Robert Zollitsch all’aeroporto di Lahr. Sono stati quattro giorni intensi. Intensi per i vescovi e per la polizia, per i politici e per i tanti telespettatori, per tutti coloro che hanno partecipato ai vari momenti di Berlino, Erfurt o Friburgo. E sono stati intensi anche per me.
Ciò che mi rimane della visita del Papa sono soprattutto il contenuto dei suoi discorsi e il contraccolpo della sua persona. Provo a fissare brevemente queste impressioni.
La figura di un uomo anziano, dallo sguardo aperto, attento. E dal sorriso mite. I suoi gesti sono contenuti, si limita a stendere le braccia in un gesto di saluto. Nient’altro. Tutto qui! Colui che inizialmente i rotocalchi definivano "Cardinale panzer" è forse timido? Oppure è riservato di natura? Può essere. Ma non è tutto qui. Non solo quando indossa solenni vesti liturgiche di gusto barocco, ma sempre, quando interviene in pubblico, trovandosi così al centro dell’attenzione, sembra voler tenere in secondo piano la sua persona. È lì, ma non come un eroe o una star, ma piuttosto come uno che rappresenta un Altro più grande di lui. Proprio questo è così commovente in lui: non è più semplicemente Joseph Ratzinger: è Pietro. E come tale rappresenta Cristo. Perciò non ha bisogno di nulla in aggiunta, in più. È puramente e semplicemente certo di Colui che l’ha chiamato, e perciò non deve preoccuparsi di "come appare alla gente".
In questi giorni mi sono chiesto spesso cosa ne pensino gli altri, che effetto faccia su di loro. Non lo so. Sicuramente l’effetto sarà molto diversificato. Per me è soprattutto la persona che dice "sì" a Lui, Cristo, che l’ha chiamato a svolgere questo compito sovrumano. Lui è Pietro che oggi, anche davanti a me, dice al Signore: «Da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna!». In lui io vedo questa amorosa dedizione al suo Amico, Signore e Maestro. E questo ha rafforzato ancora una volta la mia vocazione.
Poi ci sono stati le omelie e i discorsi di questi giorni, e la montagna di aspettative che vi erano legate. Erano davvero tante le aspettative? Dai media si poteva dedurre che in fondo c’era solo una mezza dozzina di questioni sulle quali avrebbe potuto intervenire o cambiare qualcosa: celibato, abusi sui minori, democrazia nella Chiesa, sacerdozio femminile… Temi ampiamente noti a chiunque in Germania, dallo scolaro al tassista musulmano.
Ma lui non vi ha fatto cenno, nemmeno una parola. O no? Ci ha sorpreso tutti - credenti e critici - per come ha saputo cogliere la concreta situazione della Chiesa contemporanea a un livello più profondo, più radicale. Mai in toni polemici. Ma nemmeno con luoghi comuni scontati. Ma piuttosto realista, chiaro e profondo. Talvolta esigente nel senso che era necessario rileggere almeno due volte le sue parole con calma e farle proprie, ma sicuramente mai banale. E così sono arrivate le grosse sorprese - soprattutto nel discorso al Bundestag e in quello alla Konzerthaus di Friburgo. Con queste parole bisognerà ancora confrontarsi (speriamo che siano in parecchi a farlo). Ma anche nelle omelie il Pontefice ha riportato alla luce le verità fondamentali della fede, l’amore di Dio, la predestinazione, il peccato, la chiesa, la speranza, la vocazione personale… Non una teologia rivestita di retorica, ma semplicemente il messaggio biblico e la sua efficacia nel presente espressi in parole. Parole che hanno commosso e provocato anche me come prete. Non erano solo semplici parole: erano sempre verità che lui mi schiudeva.
«Conferma i tuoi fratelli!» - questo è uno dei compiti che Gesù ha dato a Pietro, e attraverso di lui a tutti i suoi successori fino a Benedetto XVI. Questa conferma nella fede è riaccaduta in questi giorni. In essa il Papa vede la possibilità fondamentale per una riforma nella Chiesa: il rinnovamento non viene dalle strutture, ma da un cuore rinnovato, afferrato dalla Sua Presenza.
Questa salda convinzione espressa in toni pacati cade su terreni differenti - come il seme nella nota parabola di Gesù. Nell’imminenza della visita si era fatta sentire molta polemica e aggressività. Non solo da parte dei movimenti omosessuali, ma anche negli ambienti di associazioni e comunità impegnate e attive. Non è un fenomeno nuovo, ma mi ha impressionato negativamente e fatto riflettere per la sua intensità e soprattutto per la sua estensione. Anche il fatto che il tono dei commenti sulla veglia dei giovani a Friburgo fosse schierato in modo così radicale contro il gesto con il Papa mi ha molto ferito. E ora che il Papa ha appena lasciato il suolo tedesco, leggo già i primi titoli come questo: «La chiesa dal basso incita alla disobbedienza». Tutto ciò suscita rabbia e fa venir voglia di partire al contrattacco. Ma in Benedetto XVI non ho mai visto atteggiamenti simili. È forse cieco o ingenuo? O invece è estremamente realista? È certo doloroso lo spirito "anticattolico" che serpeggia in certi strati del popolo di Dio. E tuttavia il Papa non parte mai da una polemica o da una condanna. Al contrario, si affida al fascino del buono e del vero, a ciò che corrisponde più profondamente all’uomo. Il Papa ben conosce le ferite e le prove dell’epoca in cui viviamo, ma il suo sguardo non resta attaccato a ciò che si è irrigidito ideologicamente, ma piuttosto a ciò che il Risorto opera anche ai giorni nostri. Anche questa è una lezione in grado di trasformare e far maturare la prospettiva del mio giudizio e della mia vita.
In questi giorni Pietro mi ha confermato ancora una volta nel mio cammino vocazionale.