È venuto a ridestarci

COPERTINA - IL PAPA IN GERMANIA
Christoph Scholz

Dal discorso in Parlamento alla messa nello Stadio. Dalla preghiera coi protestanti al dialogo con ebrei e musulmani. Nella visita alla sua patria, Benedetto XVI ha spazzato via mesi di critiche e ostilità. E spiazzato tutti. Rimettendo al centro l’aspettativa del cuore

La visita di Benedetto XVI nella sua patria è stata paradossalmente anche una delle più complesse del Pontificato. Lunghissima era la serie di richieste sulle riforme interne alla Chiesa, sui nuovi passi nell’ecumenismo e su una trasformazione nelle questioni morali. Il Papa ha tuttavia chiarito fin dall’inizio di non essere venuto per soddisfare le varie aspettative.
La sua aspirazione era da una parte più modesta e dall’altra più pretenziosa, come ha dichiarato nella cerimonia di benvenuto al Castello di Bellevue: «Non sono venuto per perseguire determinati obiettivi politici o economici, ma per incontrare la gente e parlare di Dio».
Il presidente federale Christian Wulff gli ha sottoposto da subito un elenco di richieste di riforme interne alla Chiesa: dalla posizione nei confronti dei divorziati e risposati allo scandalo degli abusi, e ancora sul ruolo di donne e laici nelle funzioni ecclesiastiche e sulle questioni dell’ecumenismo. A questi si è allacciato poi il presidente del Bundestag Norbert Lammert, chiedendo in che misura i più alti rappresentanti dello Stato siano autorizzati a immischiarsi in questioni interne alla Chiesa. Nelle scorse settimane sono stati soprattutto il Linkspartei (successore del Sed, il partito unico della Repubblica Democratica Tedesca) e alcuni gruppi dei Verdi e dei laicisti della Spd a contestare al Pontefice il diritto di intervenire al Bundestag. E circa 80 deputati non si sono presentati, perdendo così l’occasione di partecipare a «un momento decisivo nella storia del Parlamento tedesco», come è stato poi definito da altri deputati. Il Pontefice è stato applaudito per diversi minuti, una lode rivolta non da ultimo alla personalità e all’eccellenza intellettuale del discorso.
Ha parlato dei fondamenti dello Stato. Spostando le fonti del diritto nel «cuore docile» di Salomone: l’uomo scopre i criteri dentro di sé, se ascolta la propria natura. Il discorso è stato un monito a rivolgere uno sguardo aperto sulla natura dell’uomo e sulla realtà: «Bisogna tornare a spalancare le finestre, a guardare la vastità del mondo, il cielo e la terra e imparare a usarli nel modo giusto».
Dopo la visita trecento parlamentari hanno seguito il Papa allo Stadio olimpico, dove alla messa hanno partecipato 70mila fedeli arrivati da tutti i Länder. L’arcivescovo Rainer Maria Woelki ha parlato di «un evento epocale atteso da tempo, non solo dalla Chiesa di Berlino». In una capitale «caratterizzata dalla dimenticanza di Dio e dall’ateismo», ha spiegato, dove solo un abitante su tre appartiene a una Chiesa cristiana, ma che al tempo stesso è «città dei martiri» (qui, nel Novecento, è morto per la fede il più alto numero di cristiani).

Lutero e la domanda. Le persecuzioni sotto la Ddr rientrano nella storia dei martiri della Chiesa. Oltre alla persecuzione fisica, ebbero luogo anche condanne sociali e discriminazioni: dal divieto di iscriversi all’università alla perdita di opportunità nel lavoro e nella vita privata. È stata soprattutto l’esperienza di una Chiesa di popolo concretamente vissuta a far restare uniti i cattolici del circondario di Eichsfeld e gli appartenenti al gruppo etnico dei sorabi. Per ringraziare i cristiani della loro fermezza, il Papa ha visitato Erfurt e il santuario mariano di Etzelsbach: «I cambiamenti politici del 1989 non erano motivati soltanto dal desiderio di benessere e di libertà di movimento, ma, in modo decisivo, dal desiderio di veracità», ha sottolineato. Alla messa, seguita per motivi di sicurezza solo da 27mila fedeli, avrebbero voluto partecipare più di 50mila persone: «È come se il Papa avesse baciato il cristianesimo una volta così vivo in Turingia e forse in tutta la Ddr, ridestandolo dal sonno in cui era piombato per anni», ha commentato il giorno dopo un quotidiano.
La tappa di Erfurt è stata dedicata anche all’ecumenismo, con un momento di preghiera insieme ad esponenti del protestantesimo nell’ex convento degli Agostiniani. Per la prima volta un Papa ha parlato nel luogo in cui Lutero interpretò la parola di Dio: «La domanda: qual è la posizione di Dio nei miei confronti, come mi trovo io davanti a Dio? - questa scottante domanda di Lutero deve diventare di nuovo, e certamente in forma nuova, anche la nostra domanda, non accademica, ma concreta. Penso che questo sia il primo appello che dovremmo sentire nell’incontro con Martin Lutero», ha affermato in questo incontro cordiale e al tempo stesso doloroso, perché ha ricordato la divisione delle due confessioni. Ma Benedetto XVI ha sottolineato che l’ecumenismo non può consistere in compromessi di ordine politico-ecclesiastico: «L’unità cresce non mediante la ponderazione di vantaggi e svantaggi, bensì solo attraverso un sempre più profondo penetrare nella fede». Alla luce della crescente secolarizzazione il Papa ha esortato ad una testimonianza collettiva: «Come cristiani dobbiamo difendere la dignità inviolabile dell’uomo, dal concepimento fino alla morte - nelle questioni della diagnosi pre-impiantatoria fino all’eutanasia. La fede in Dio deve concretizzarsi nel nostro comune impegno per l’uomo».
Sempre nel segno dell’ecumenismo sono stati l’incontro con la comunità ebraica nel Reichstag e quello con la comunità musulmana nella Nunziatura della capitale. Al primo appuntamento Benedetto XVI ha ricordato che «una comunione amorevole e comprensiva tra Israele e la Chiesa, nel rispetto reciproco per l’essere dell’altro, deve ulteriormente crescere». A sei anni dalla visita nella Sinagoga di Colonia, il Papa ha invitato i cristiani a rendersi sempre più conto «dell’affinità interiore con l’ebraismo. Per i cristiani non può esserci una frattura nell’evento salvifico». Il motivo è legato al mondo in cui viviamo, dove «questo dialogo deve rinforzare la comune speranza in Dio. Senza tale speranza la società perde la sua umanità».
Così, davanti ai rappresentanti musulmani, il Papa ha sottolineato l’importanza della dimensione religiosa: «Una provocazione in una società che tende ad emarginare questo aspetto o ad ammetterlo tutt’al più nella sfera delle scelte private dei singoli». Invece «si tratta di un’esigenza che non diventa irrilevante nel contesto di una società maggiormente pluralista. In ciò va fatta attenzione che il rispetto verso l’altro sia sempre mantenuto. Questo rispetto reciproco cresce solo sulla base dell’intesa su alcuni valori inalienabili, propri della natura umana, soprattutto l’inviolabile dignità di ogni persona in quanto creatura di Dio». Ricordando l’imminente Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia del mondo (ad Assisi il 27 ottobre), il Papa ha detto: «Penso che sia possibile una collaborazione feconda tra cristiani e musulmani... In quanto uomini religiosi, a partire dalle rispettive convinzioni possiamo dare una testimonianza importante in molti settori cruciali della vita sociale. Penso, ad esempio, alla tutela della famiglia fondata sul matrimonio, al rispetto della vita in ogni fase del suo naturale decorso o alla promozione di una più ampia giustizia sociale».

La vera crisi. A Friburgo s’è infine tenuto l’incontro con quello stesso cattolicesimo laico organizzato spesso polemico con Roma. Alois Glück, presidente del Comitato centrale dei cattolici tedeschi, ha reclamato l’attuazione di ampie riforme alla luce della crescente secolarizzazione, del calo delle vocazioni e della forte pressione pubblica a seguito dei casi di abusi.
Benedetto XVI ha tratto un bilancio disincantato sulla condizione della Chiesa nello Stato tedesco: «In Germania la Chiesa è organizzata in modo ottimo. Ma, dietro le strutture, vi si trova anche la relativa forza spirituale, la forza della fede nel Dio vivente? Sinceramente dobbiamo però dire che c’è un’eccedenza delle strutture rispetto allo Spirito. Aggiungo: la vera crisi della Chiesa nel mondo occidentale è una crisi di fede. Se non arriveremo ad un vero rinnovamento nella fede, tutta la riforma strutturale resterà inefficace».
Anche i giovani si aspettano di più dalla Chiesa. Riferendosi alle candele che i ragazzi avevano acceso nella veglia alla Fiera di Friburgo, il Papa ha detto: «Una candela resterebbe inutile se la sua cera non nutrisse il fuoco. Permettete che Cristo arda in voi, anche se questo può a volte significare sacrificio e rinuncia. Non temete di poter perdere qualcosa e restare, per così dire, alla fine a mani vuote. Abbiate il coraggio di impegnare i vostri talenti e le vostre doti per il Regno di Dio e di donare voi stessi - come la cera della candela - affinché per vostro mezzo il Signore illumini il buio. Sappiate osare di essere santi ardenti, nei cui occhi e cuori brilla l’amore di Cristo e che, in questo modo, portano luce al mondo».

Con le vittime degli abusi. Benedetto XVI ha anche evitato una riduzione moralistica della figura del santo, spesso oggetto di caricature e distorsioni, «come se significasse essere fuori dalla realtà, ingenui e senza gioia. Non di rado si pensa che un santo sia soltanto colui che compie azioni ascetiche e morali di altissimo livello e che perciò certamente si può venerare, ma mai imitare nella propria vita. Quanto è errata e scoraggiante questa opinione!». Cristo non bada tanto a «quante volte nella vita vacilliamo e cadiamo, bensì a quante volte noi, con il suo aiuto, ci rialziamo. Non esige azioni straordinarie, ma vuole che la sua luce splenda in voi. Non vi chiama perché siete buoni e perfetti, ma perché Egli è buono e vuole rendervi suoi amici. Sì, voi siete la luce del mondo, perché Gesù è la vostra luce. Voi siete cristiani non perché realizzate cose particolari e straordinarie, bensì perché Egli, Cristo, è la vostra, nostra vita. Voi siete santi, noi siamo santi, se lasciamo operare la sua Grazia in noi».
La trasmissione della fede è stata una delle questioni che il Papa ha avuto più a cuore durante questa visita. La risposta non sta nell’attuazione di una determinata serie di riforme, quanto nella concreta dedizione agli uomini «ai quali manca l’esperienza della bontà di Dio». Questi uomini «hanno bisogno di luoghi, dove possano parlare della loro nostalgia interiore. E qui siamo chiamati a cercare nuove vie dell’evangelizzazione», ha affermato il Papa a Friburgo. «Una di queste vie potrebbe essere costituita dalle piccole comunità, dove si vivono amicizie, che sono approfondite nella frequente adorazione comunitaria di Dio. Qui ci sono persone che raccontano le loro piccole esperienze di fede nel posto di lavoro e nell’ambito della famiglia e dei conoscenti, testimoniando, in tal modo, una nuova vicinanza della Chiesa alla società».
Le grandi celebrazioni allo Stadio olimpico di Berlino, a Erfurt e a Friburgo non sono state una messa in scena ecclesiastica, ma segni di una risposta concreta che la Chiesa ha da offrire alle domande fondamentali dell’uomo. Segni della presenza di Dio. A una Chiesa insicura e avvilita il Papa ha saputo ridare una nuova consapevolezza. Una coscienza che va di pari passo con l’umiltà del cristiano che sa che non è lui a “fare la Chiesa”.
Uno di questi segni di umiltà e carità è stato il dialogo con le vittime degli abusi sessuali. Un incontro che è stato però al contempo una sfida, rivolta a ogni singolo individuo, a tornare a confrontarsi seriamente con le proprie domande fondamentali: «Agnostici, che a motivo della questione su Dio non trovano pace; persone che soffrono a causa dei loro peccati e hanno desiderio di un cuore puro, sono più vicini al Regno di Dio di quanto lo siano i fedeli “di routine”, che nella Chiesa vedono ormai soltanto l’apparato, senza che il loro cuore sia toccato dalla fede».
E nell’appuntamento conclusivo, rivolgendosi ai cattolici impegnati nella Chiesa e nella società, il Papa ha ricordato la beata Madre Teresa, che una volta alla domanda di una persona: «Qual è la prima cosa da cambiare nella Chiesa?», rispose: «Lei ed io». Questo discorso è stato al contempo il vertice e la sintesi del messaggio che Benedetto XVI ha voluto portare alla sua patria e non solo. In appena venti minuti ha fatto risplendere la grandezza e la misteriosa profondità della Chiesa cattolica. La Chiesa «non possiede niente da se stessa di fronte a Colui che l’ha fondata. Il suo senso consiste nell’essere strumento della redenzione, nel lasciarsi pervadere dalla parola di Dio e nell’introdurre il mondo nell’unione d’amore con Dio». La Chiesa, quindi, deve compiere continuamente lo sforzo di «distaccarsi dalla secolarizzazione», che il Papa ha inquadrato nella storia della salvezza: «La storia viene in aiuto alla Chiesa attraverso le diverse epoche di secolarizzazione, che hanno contribuito in modo essenziale alla sua purificazione e riforma interiore».

Senza fardelli. E poi è arrivato ciò che per qualcuno ha rappresentato la vera sfida, per altri il vero scandalo di tutto il viaggio: Benedetto XVI ha preteso dalla comunità materialmente forse più ricca, ma spiritualmente più povera, quella «liberazione dalla mondanità» che la renderebbe di nuovo pronta a compiere la sua vera missione: «Liberata dai fardelli e dai privilegi materiali e politici, la Chiesa può dedicarsi meglio e in modo veramente cristiano al mondo intero, può essere veramente aperta al mondo. Può nuovamente vivere con più scioltezza la sua chiamata al ministero dell’adorazione di Dio e al servizio del prossimo».
Il discorso ha avuto l’effetto di un colpo di timpano, a conclusione di un viaggio in cui il Papa ha deluso molte previsioni per rimettere al centro l’aspettativa del cuore umano e la missione della Chiesa in risposta a questo bisogno di compimento e redenzione. Come aveva detto sei anni fa, all’inizio del suo ministero: «Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con lui».