Il potere di un cuore docile

COPERTINA - IL PAPA IN GERMANIA
Stefano Alberto

Nel primo discorso di un Pontefice al Bundestag, Benedetto XVI è andato alla radice di un problema che riguarda tutti: come riconoscere ciò che è giusto? Ponendo così un’altra pietra miliare nel percorso per «allargare la ragione». Ecco perché

Il grande discorso tenuto da Benedetto XVI al Bundestag rappresenta un’altra pietra miliare di quell’arduo percorso per «allargare la ragione», iniziato proprio in Germania (ancora un giorno di settembre, nel 2006) all’Università di Regensburg. Al Parlamento tedesco il Papa è andato al cuore di un problema che non riguarda solo i politici e gli uomini di governo, ma ciascuno di noi nel suo agire quotidiano: come si riconosce ciò che è giusto? Come si attua il diritto? Che cosa significa l’intelligenza del diritto? Se il potere si separa dal diritto, dall’esigenza di giustizia, allora è inevitabile la conseguenza descritta da sant’Agostino nel De civitate Dei (è una citazione già presente nell’enciclica Spe salvi): «Togli il diritto e allora che cosa distingue lo Stato da una grossa banda di briganti?». La terribile esperienza del nazismo, proprio in Germania, ha reso - come altre orribili dittature - tragica evidenza storica questa sempre incombente possibilità.
Servire il diritto e combattere il dominio dell’ingiustizia rimane il compito fondamentale del politico. Ma tale compito non può ridursi, nelle democrazie moderne, al criterio delle maggioranze parlamentari, alla sola correttezza funzionale, pur necessaria, delle procedure.
Benedetto XVI aveva già affrontato questo tema, ripreso anche all’Onu (aprile 2008), nella mai pronunciata allocuzione alla Sapienza di Roma (gennaio 2008). Citando Jürgen Habermas, aveva indicato la necessità di una forma ragionevole per la soluzione dei contrasti politici, attraverso un «processo di argomentazione sensibile alla verità». Oggi non è affatto evidente, ha sottolineato al Parlamento tedesco, riconoscere «che cosa ora corrisponda alla legge della verità, che cosa sia veramente giusto e possa diventare legge». Tale compito non è mai stato facile, ma oggi risulta, per la complessità e le contraddizioni della nostra società, particolarmente arduo.
Con l’esempio del re Salomone che domandò a Dio un cuore docile per poter rendere giustizia al popolo e saper distinguere il bene dal male (cfr. 1Re 3,9), il Papa individua l’esistenza di un fattore oggettivo, presente nella singola persona e che la guida nella ricerca anche dei criteri per la formazione del diritto. Il cristianesimo fin dal suo sorgere ha nettamente distinto la religione dallo Stato (fondando così il principio della laicità), non imponendo mai ad esso e alla società un diritto religioso rivelato. Ha invece rimandato alla natura e alla ragione, in correlazione tra loro, quali vere fonti del diritto, aprendo così un fecondo dialogo fra filosofia (greca) e pensiero giuridico (romano) che ha permesso la nascita della cultura giuridica occidentale che tuttora, attraverso il Medioevo cristiano, l’Illuminismo e le moderne Costituzioni, influenza quella delle democrazie di tutto il mondo.
La correlazione tra natura e ragione, il «cuore docile» di re Salomone, richiamata anche nel famoso passo della Lettera ai Romani (Rm 2,14s.), è ora drammaticamente in crisi. La ragione positivista ha ridotto il concetto di ragione alla sola conoscenza sperimentale propria delle scienze e quello di natura, specularmente, a «un aggregato di dati oggettivi, congiunti gli uni agli altri quali cause ed effetti» (Kelsen). Da questa riduzione consegue l’attuale tesi centrale del positivismo giuridico (la famosa «fallacia naturalistica» di Hume) per cui tra l’essere e il dover essere ci sarebbe un abisso insormontabile. Una concezione di natura puramente funzionale non può aprire nessuna via verso il diritto e la giustizia, che Kelsen infatti riduce a «un ideale irrazionale». D’altro canto, se razionale in senso stretto è solo ciò che è sperimentabile e falsificabile, in esso non possono rientrare altre dimensioni della conoscenza, quelle appunto che aprono al fondamento del giusto nei rapporti tra gli uomini.
Il razionalismo scientista ha sancito la crisi, apparentemente definitiva, della nozione classica di diritto naturale, già peraltro riconosciuta dallo stesso cardinale Ratzinger nel suo dialogo con Habermas del 2004 a Monaco: «È considerata oggi una dottrina cattolica piuttosto singolare... così che quasi ci si vergogna di menzionarne anche soltanto il termine».

Aria fresca. Benedetto XVI nel suo discorso non intende né riproporre, né contrapporre schemi ideologici, piuttosto considera con la consueta lucidità e pacatezza il limite della ragione positivista che si presenta in modo esclusivista, raffigurata come un edificio di cemento armato senza aperture, un «mondo auto-costruito» in cui l’umano con le sue esigenze originali soffoca. Ma come spalancare le finestre per «vedere di nuovo la vastità del mondo?». Come può la ragione ritrovare la sua grandezza senza scivolare nell’irrazionalità? Come può la natura apparire nuovamente nella sua vera profondità, nelle sue esigenze e con le sue indicazioni?
La strada scelta dal Papa per rispondere ha sorpreso tutti per la sua genialità e freschezza. La valorizzazione del movimento ecologista, molto significativo in Germania a partire dagli anni Settanta, che ha portato «aria fresca» nel dibattito culturale e politico, ha posto all’attenzione di tutti «che la materia non è soltanto un materiale per il nostro fare, ma che la terra stessa porta in sé la propria dignità e noi dobbiamo seguire le sue indicazioni». Ritorna qui in modo inatteso un tema caro al Papa, quello della razionalità della materia e del mondo (si pensi ai vari interventi sull’evoluzione e sulla scienza), un linguaggio che può essere scoperto e accolto dalla ragione e che rimanda al Logos, alla Ragione creatrice, alla Ragione-amore.
Reimparare a vedere i segni e ad ascoltare il linguaggio della natura apre alla riscoperta della “ecologia dell’uomo”, che possiede una natura che deve rispettare e non manipolare: «L’uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé». La vera libertà è rispettare e riconoscere la propria natura che è data, non il prodotto della propria volontà autonoma.
Lasciarsi colpire, stupire da questo “essere dato” riapre la via alla riflessione «se la ragione oggettiva che si manifesta nella natura non presupponga una Ragione creativa, un Creator Spiritus».

L’argine più potente. È nella convinzione circa l’esistenza di un Dio creatore che trovano fondamento i diritti inalienabili dell’uomo, la sua inviolabile dignità, l’uguaglianza di tutti gli uomini davanti alla legge.
Queste conoscenze della ragione possono venire ignorate, ma al prezzo di tagliare le radici della nostra convivenza, della nostra cultura - che nasce dall’incontro tra Gerusalemme, la fede in Dio di Israele, Atene, la ragione filosofica dei Greci, e Roma con il suo pensiero giuridico - e soprattutto di rinnegare le evidenze del «cuore docile» o, come ci insegna don Giussani, dell’esperienza elementare propria di ogni uomo.
Benedetto XVI ancora una volta ci ha sorpreso nell’indicarci il punto da cui è possibile ricominciare ogni volta l’avventura dell’umano, dai rapporti interpersonali fino alla convivenza civile, con tutti i suoi conflitti e problemi: dal cuore, criterio oggettivo, che per natura ogni uomo possiede, e che esprime, con le sue evidenze ed esigenze originali, l’apertura della ragione alla totalità del reale. Nel cuore vibra irriducibile l’esigenza elementare di giustizia che, come ha scritto Julián Carrón nell’introduzione al volume Esperienza elementare e diritto, «tutti ci portiamo dentro e che costituisce l’argine più potente contro ogni tentativo di potere».