Domande, nella rete del silenzio

«Una sollecita preoccupazione per l’uomo e il suo destino, con una tenerezza che non concede difese». Una riflessione sulle parole di Benedetto XVI in occasione della Giornata delle comunicazioni sociali
Luca Doninelli

Le meravigliose parole pronunciate dal Santo Padre, oggi, 24 gennaio, S. Francesco di Sales, in occasione della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, mi sono giunte inattese e commoventi fino alle lacrime mentre mi preparavo (e mi sto preparando tuttora) a fare una cosa che non desideravo fare: recarmi al Teatro Franco Parenti, a Milano, per assistere, finalmente, alla rappresentazione dello spettacolo Sul concetto di volto nel Figlio di Dio di Romeo Castellucci, su cui grava l’accusa di blasfemia.
Non desidero assistere a questo spettacolo perché tutta la polemica che lo ha accompagnato mi dà il voltastomaco. Non sono mai stato democristiano nell’anima, e don Giussani mi ha salvato da un destino di triste, allineato intellettuale “moderno”. Regalo più bello non poteva essermi fatto: don Giussani mi ha regalato il Volto del Figlio di Dio. Perciò non m’importa di perderci la faccia se, per caso, dovessi smentire i miei più cari amici per concludere, come i cattolici “arrabbiati” - per i quali non provo nessuna simpatia - che lo spettacolo è veramente blasfemo.
Non credo che arriverò a tanto. Anche perché l’amicizia con Giovanni Testori mi ha insegnato che spesso la cosiddetta bestemmia il più delle volte è solo una preghiera. E perché certi spettacoli testoriani erano ben più estremi di quelli di Romeo Castellucci.
La mia amarezza ha un’altra ragione, e cioè che in tutta questa storia il diavolo ha segnato un punto a proprio favore, usando uno spettacolo teatrale sicuramente non bellissimo per dividere i cattolici che operano nella comunicazione in due gruppi (quelli pro e quelli contro lo spettacolo) che, semplicemente, non hanno ragione di esistere. Una divisione fittizia, di cui è facile prevedere il seguito: ciascuno se ne resterà sulle sue posizioni, un po’ più rigido e impettito di prima e un po’ meno disposto a lasciarsi ferire. Cresceranno i sospetti reciproci, le amicizie si raffredderanno - oddio, direte voi, ma nella storia è sempre successo così, e tante volte le “rotture” più salutari sono state proprio quelle definitive.
In mezzo a tutto questo disagio (già mi chiedo in che modo misurerò le parole per non risultare offensivo a mia volta) ecco le parole del Papa, che mi obbligano a guardare in tutt’altra direzione. Non mi va di commentarle, non ne sono assolutamente degno. Però non si può non restare stupiti che tutto il suo discorso, nella giornata delle Comunicazioni, sia dedicato al silenzio. «Il silenzio», dice, «è parte integrante della comunicazione e senza di esso non esistono parole dense di contenuto». E poi: «Tacendo si permette all’altra persona di parlare, di esprimere se stessa, e a noi di non rimanere legati, senza un opportuno confronto, soltanto alle nostre parole o alle nostre idee».
Il silenzio aiuta a meglio comprendere il linguaggio non verbale: occhi, volto, corpo. E a rispettare meglio chi ci sta davanti. Ci sono parole dedicate a internet e ai pericoli che il suo uso comporta: «Ai nostri giorni, la Rete sta diventando sempre di più il luogo delle domande e delle risposte; anzi, spesso l’uomo contemporaneo è bombardato da risposte a quesiti che egli non si è mai posto e a bisogni che non avverte». Esiste dunque un rumore che ha soltanto l’apparenza del silenzio: nel silenzio vero il nostro essere si apre infatti per discernere le domande vere da quelle soltanto indotte.
Eppure Benedetto XVI non demonizza la Rete, anzi, ne sottolinea le possibilità, come nel fulminante passaggio in cui valorizza il linguaggio dei social network, ritenuto solitamente poco profondo perché fonda la propria efficacia sulla brevità, e si sa che la brevità aiuta più l’espressione degli istinti che la riflessione. Eppure, con sorpresa mia e, credo, di molti, ecco le parole inaspettate: «Sono da considerare con interesse le varie forme di siti, applicazioni e reti sociali che possono aiutare l’uomo di oggi a vivere momenti di riflessione e di autentica domanda, ma anche a trovare spazi di silenzio, occasioni di preghiera, meditazione o condivisione della Parola di Dio. Nella essenzialità di brevi messaggi, spesso non più lunghi di un versetto biblico, si possono esprimere pensieri profondi se ciascuno non trascura di coltivare la propria interiorità».
Quanti discorsi, quanti articoli ho letto sul fatto che l’uso del computer e della rete limitano la facoltà di attenzione dei giovani, ottundono la loro capacità riflessiva, che lo sviluppo di relazioni virtuali e il troppo tempo passato davanti al video rendono la persona moralmente più insensibile e morbosamente istintiva! Non che tutto questo non ci sia, ma c’è qualcosa che viene prima: le domande eterne, di cui è costituita, come diceva don Giussani, la stoffa del nostro cuore.
Al centro di tutto il discorso di Benedetto XVI c’è una sollecita preoccupazione per l’uomo e il suo destino, con una tenerezza che non concede difese. Anche l’affollamento verbale della Rete e dei blog ci parlano dell’ «inquietudine dell’essere umano sempre alla ricerca di verità, piccole o grandi, che diano senso e speranza all’esistenza».
Perché esista vero dialogo occorre l’ascolto, perché esista l’ascolto occorre una vera, appassionata curiosità, e a tutto questo il silenzio è necessario, perché «l’uomo non può accontentarsi di un semplice e tollerante scambio di scettiche opinioni ed esperienze di vita».
Ma il silenzio non è certo una tecnica, un’abitudine etica, una norma di igiene mentale. Non è per “stare meglio con noi stessi”, come si dice oggi, che il Papa ci parla del silenzio. Il problema non è quello di starsene più zitti e parlare di meno. Il silenzio è, piuttosto, la forma dell’apertura del nostro essere di creature, che tutto hanno da ricevere dalla bontà di Chi li fa istante per istante, come dice il bellissimo Salmo 147: «Provvede il cibo al bestiame,/ ai piccoli del corvo che gridano a lui./ Non fa conto del vigore del cavallo,/ non apprezza l’agile corsa dell’uomo./ Il Signore si compiace di chi lo teme,/ di chi spera nella sua grazia».
E chi teme Dio? Chi ha il cuore ferito, chi sente il dolore del proprio niente. Solo chi ha il cuore ferito guarda nella notte alla ricerca di una luce, di un volto buono, e non dispera se quella luce, quel volto tardano a venire. Chi ha il cuore ferito conta le ore, i giorni e gli anni in un modo diverso, distingue l’urgenza piena di domande dalla fretta vuota, l’implorazione dalla pretesa arrogante.
Così nel silenzio pieno di stupore emerge «quella Parola eterna per mezzo della quale fu fatto il mondo, e si coglie quel disegno di salvezza che Dio realizza attraverso parole e gesti in tutta la storia dell’umanità (...) E questo disegno di salvezza culmina nella persona di Gesù di Nazaret, mediatore e pienezza di tutta la Rivelazione».
Imparando ad ascoltare le nostre vere domande, ci apriamo più facilmente all’avvenimento imprevedibile nel quale esse trovano risposta: un uomo in carne e ossa, la “persona di Gesù di Nazaret.
Com’è bello poter imparare da qui, e non da un’ipotetica bestemmia, a conoscere il Volto del Figlio di Dio. Possiamo fare gli spavaldi finché vogliamo, atteggiarci a uomini superiori, fare della fede una giustificazione morale o un’ideologia da difendere, ma la verità è che tutti noi attendiamo la Sua carezza, la carezza non di uno spirito, non un soffio di vento che ci fa trasalire, ma il tocco di una mano vera, di carne, il suono di un voce vera, che possa dire al nostro cuore le stesse parole udite dalla vedova di Nain: «Non piangere».