G. Previati, <em>Via Crucis - Gesù<br> incontra la madre</em>, 1852.

«Prende su di sé tutti i nostri "no"»

Martedì 6 marzo, il secondo incontro della catechesi dell’Arcivescovo Angelo Scola in preparazione alla Pasqua. Al centro della meditazione i personaggi che Gesù ha incontrato sulla Via della Croce: la Vergine Maria, il Cireneo e la Veronica
Francesca Mortaro

«Penso al peso che portano le persone sofferenti, i carcerati, chi vive per strada. Ma penso anche a noi, ad ognuno di noi qui, quando siamo di fronte alle prove che appesantiscono le nostre giornate: non siamo mai soli. Gesù è con ciascuno e con tutti». L’Arcivescovo di Milano Angelo Scola comincia così la sua omelia nel secondo incontro dell’Itinerario di Quaresima. Al centro della meditazione gli incontri che Gesù ha fatto sulla via della Croce. Il quadro di Gaetano Previati, Via Crucis - Gesù incontra la madre, aiuta a immedesimarsi con quell’uomo che «liberamente si lascia imporre la Croce sulle spalle caricandosi così del nostro dolore fino a morirne. Prende su di sé tuto il male dell’uomo, tutto il suo “no”. Tutti i nostri “no” che sono “no” alla totalità».

Nella quarta stazione della Via Dolorosa, Gesù incontra Maria. «O croce che farai? El figlio mio torrai. E che ne apponerai che non ha en sé peccato?», Jacopone da Todi nei suoi versi mette sulle labbra di Maria un dialogo, o meglio un «monologo straziato», con la croce. Le parole del Caligaverunt di De Victoria scoprono tutto il dramma: «I miei occhi sono annebbiati dalle mie lacrime: considerate, popoli tutti, se c’è un dolore uguale al mio». «Nel quadro di Previati, la madre precede la piccola compagnia che segue il Figlio: fino al momento estremo della croce. Maria precede anche noi, stasera, ci conduce al Signore», spiega Scola. «Lei è veramente madre di Gesù e nostra. Fa ciò che dovrebbe fare ogni madre: condurre il figlio al padre, all’Altro. C’è bisogno della famiglia perché diventiamo uomini compiuti». Per questo Scola invita tutti a rivolgersi ogni sera alla Madre Santa per affidarLe «la nostra persona e la nostra vocazione», recitando una preghiera, «magari in ginocchio».

Il Cireneo è stato l’unico uomo che ha potuto aiutare Gesù nella sua sofferenza. «A lui solo è stato concesso di collaborare con l’opera di salvezza. E non importa se il suo gesto è del tutto casuale». Era un uomo che rientrava dal lavoro, stanco e desideroso di tornare a casa in fretta, ma che cedette ad una «misteriosa costrizione. Proprio come noi che siamo qui stasera e che abbiamo ceduto alla stessa misteriosa costrizione». Cosa insegna l’episodio del Cireneo? «Ci dice che dalla compassione nasce la solidarietà», sottolinea l’Arcivescovo: «Lo vediamo bene negli aspetti decisivi della nostra vita quotidiana: gli affetti, il lavoro, il riposo. La compassione rappresenta un fattore di coesione sociale, può essere principio di società giusta e umana. Ci spinge fino a farci carico del male e del dolore di coloro che non riescono a portarlo sulle proprie spalle». Il Cireneo stana anche «il tarlo che talvolta rode la nostra fede: è impossibile che uno solo sia il Salvatore di tutti». Come ci raccontano le parole di Peguy lette in cattedrale: «Felice colui che lo vide nel tempo, e che pure non lo vide che una volta». Così commenta Scola: «È la potenza universale della grazia di un incontro che dà alla vita un nuovo orizzonte e la conversione decisiva. Si apre lo spazio della felicità».

Gesù incontra Veronica. «Lei seppe riconoscerlo anche sotto la maschera ripugnante della sofferenza, senza apparenza né bellezza, senza splendore per poterci piacere», commenta Scola. «La bellezza è in questo volto sfigurato che ci dice la disponibilità di Dio a dare la Sua vita per noi. Il sacrificio oggettivo non annulla il desiderio di felicità che abita nel nostro cuore. Anzi lo compie». La Veronica si è inginocchiata, ha soccorso Gesù. «Come lei migliaia di cristiani si spendono personalmente in opere di carità in tutto il mondo. Decidiamo anche noi, in questo tempo di Quaresima, di donare un po’ del nostro tempo libero ai malati e ai soli».

Settima stazione: Gesù cade la seconda volta. «Viene soggiogato dal Maligno, insultato e maltrattato», spiega Scola. «Per liberarci si carica di tutti i nostri peccati. Non dei peccati in generale, del mio e del tuo, quelli precisi, che sappiamo, perché non esiste un noi generico, come non esiste un tu generico». L’uomo cosa fa di fronte al suo peccato? «Noi tendenzialmente lo rimuoviamo, scarichiamo, lo gettiamo su altro e su altri». Si cerca un capro espiatorio come con lo tsunami, i terremoti, la tragedia del Concordia, anche davanti al male morale. «Questa è una de-responsabilizzazione contraria alla verità dell’umano. Invece i nostri atti ci seguono. Senza espiazione l’io non trova pace. Il perdono di Dio esige da parte nostra il riconoscimento delle nostre colpe e la disponibilità ad espiarle». Poi l’Arcivescovo ricorda le tre parole chiave della Quaresima - preghiera, carità e digiuno - da seguire nel cammino che conduce alla Pasqua. Alla fine, l’invito a pregare «chiedendo la grazia del dolore dei nostri peccati», che non è un semplice senso di colpa, «ma un giudizio della ragione contrita e commossa».