Una raffigurazione del Patrono di Milano (XVII sec).

«Verginità, vero rapporto personale con Cristo»

Il Papa ha ricordato le parole del Patrono di Milano durante la sua visita. Don Francesco Braschi, della Biblioteca Ambrosiana, spiega la genesi del "De Virginitate". E perché la vita consacrata genera un'esistenza nuova. Che è per tutti
Luca Fiore

Le buone famiglie cristiane milanesi temevano per le loro figlie. Le tenevano a casa: meglio non mandarle ad ascoltare Ambrogio, poi va a finire che finiscono tutte in convento. Era talmente affascinante da fare paura. È lo stesso vescovo a raccontarlo. Non solo Agostino. Ma tanti giovani milanesi decisero di dedicare tutta la vita a Cristo: avvinti «non con i nodi di corde, ma con i vincoli dell’amore e con l’affetto dell’anima» come ha ricordato Benedetto XVI durante la sua visita a Milano citando il De Virginitate, il testo del patrono dedicato alla vita consacrata. L’imponenza delle parole di Ambrogio e la loro persuasività non si sono offuscate col passare dei secoli. Sembrano scritte ieri. E allora, come oggi, sono rivolte a tutti: consacrati e no. Perché quel che è in gioco, in ogni caso, è il rapporto personale con Cristo. A spiegarlo è don Francesco Braschi, Dottore della Biblioteca Ambrosiana ed esperto di Sant’Ambrogio.

Il Papa, durante l’omelia pronunciata in Duomo, ha citato il De Virginitate. Che testo è? E in che circostanza viene scritto?
Il De Virginitate è un testo che fa parte del corpus di testi ambrosiani sul tema della verginità e della vedovanza. Sono testi per lo più pronunciati durante le omelie e poi rielaborati in forma scritta, spesso dallo stesso Ambrogio. Questo in particolare è stato pubblicato intorno al 390. Nel IV secolo abbiamo molti Padri della Chiesa che scrivono su questi temi, perché in quel periodo si assiste, per diversi motivi, ad un “boom” della verginità, sia femminile che maschile.

Perché questo “boom”?
Uno dei motivi, al quale ha fatto cenno anche il Papa a Milano, è che a quel tempo la scelta della verginità consacrata era una forma di promozione della donna. Per la legislazione anche civile dell’epoca tardo-antica, alla donna non era data nessuna possibilità di scelta. Ancor meno che nella precedente epoca romana, dove almeno le matrone e le nobili potevano avere qualche margine di scelta nel decidere chi sposare. Nel IV secolo il matrimonio era combinato dalle famiglie di origine e la donna non si poteva sottrarre a questa decisione. Con la verginità consacrata la Chiesa inventa uno stato di vita che per la prima volta permette alla donna di scegliere, di essere protagonista della scelta di vita. E la Chiesa accordava a questa scelta tutta la tutela che veniva dal fatto di essere riconosciuta e sostenuta. Ai tempi di Ambrogio la scelta della verginità era spesso l’unica vera possibilità che lasciava alla donna voce in capitolo sul suo destino.

Che impatto avevano questi testi sui contemporanei?
È lo stesso Ambrogio a raccontare come capitasse che delle famiglie pur cristiane non permettevano alle figlie di andare ad ascoltare le sue prediche per timore che queste figlie decidessero tutte di farsi vergini. C’era una trasmissione di entusiasmo, c’era una capacità di mostrare la bellezza di questa consacrazione, dove appunto la motivazione fondamentale era l’attrattiva di Cristo. Non è un caso che queste omelie siano intessute di citazioni dal Cantico dei Cantici: l’anima è la sposa e Cristo è lo sposo. Qui Ambrogio non inventa tutto, riprende una tradizione che risaliva ai Padri greci: Origene, Basillio, Gregorio di Nazianzo, però è capace di trasmetterla valorizzando la verginità all’interno delle altre vocazioni cristiane. Perché Ambrogio a un certo punto afferma: «Qualcuno dirà: dunque tu sconsigli le nozze? No, le consiglio e condanno coloro che sono soliti sconsigliarle, dato che sono solito considerare i matrimoni di Sara, di Rebecca e di Rachele e delle altre antiche donne come esempio di virtù straordinarie. Infatti chi condanna il vincolo matrimoniale, condanna anche i figli e condanna la società umana che sopravvive grazie al succedersi ininterrotto delle generazioni. Dunque non sconsiglio il matrimonio, se elenco i pregi della verginità. Questa è un dono riservato a poche, quello è per tutte. Né vi può essere verginità, se non esistesse il matrimonio da cui nasce. Confronto le cose buone con quelle buone, perché più facilmente sia evidente quel che è meglio».

Questo testo era rivolto solo alle vergini consacrate?
No, si tratta di una raccolta di omelie sul tema della verginità predicate in gran parte durante le celebrazioni liturgiche in cui era presente tutto il popolo di Dio. Ambrogio parlava a tutti i cristiani. Lui, infatti, intende la verginità come rapporto personale con Cristo, che diventa il centro della vita. E questo è il tipo di rapporto che lui propone a tutti i fedeli, anche agli sposati. Ma c’è anche un altro aspetto molto interessante: per Ambrogio la verginità consacrata permette di anticipare il destino ultimo dell’uomo.

In che senso?
Lui dice: «Voi, vergini consacrate, siete già come angeli su questa terra». Non nel senso che la loro vita si sottragga alla realtà concreta, ma perché testimoniano già oggi che il destino dell’uomo si gioca in riferimento a Cristo. Nel commento al Vangelo di Luca, che è l’altro testo citato dal Papa, si spinge ancora oltre. In queste omelie, anch’esse pronunciate davanti a tutto il popolo, Ambrogio parla della “generazione di Cristo”. Commentando il Magnificat dice: «Vedi bene che Maria non aveva dubitato, bensì creduto, e perciò aveva ottenuto il frutto della sua fede. Beata tu che hai creduto (Lc 1,47). Ma beati anche voi che avete udito e avete creduto: infatti, ogni anima che crede, concepisce e genera il Verbo di Dio, e ne comprende le opere. Sia in ciascuno l’anima di Maria per magnificare il Signore, sia in ciascuno lo spirito di Maria per esultare in Dio; se infatti secondo la carne una sola è la madre di Cristo, secondo la fede tutte le anime generano Cristo; ognuna infatti accoglie in sé il Verbo di Dio, purché, serbandosi senza macchia e libera dal peccato, custodisca con perseverante pudore la purezza della vita». (Expos. Evangelii sec. Lucam, II, 26-27). Da qui capiamo che il valore esemplare della verginità consacrata è quello di mostrare una fecondità che avviene nella verginità, ma questa fecondità è proposta ad ogni credente. Concepire e generare il Verbo di Dio, infatti, significa riproporre nella propria vita i gesti e le parole di Cristo. È il riaccadere della presenza di Cristo all’interno della Sua Chiesa.

È l’imitazione di Cristo?
Sì, è la conformazione a Cristo, vista come senso di tutto il cammino di fede del cristiano, di ogni cristiano. La verginità è uno stato che esiste nella Chiesa e che ha come sua specificità la dedizione totale. D’altra parte, però, il valore esemplare sta nel fatto di ricordare ad ogni cristiano che la sua appartenenza di fede è vera quando genera una vita nuova.

La verginità consacrata è un’invenzione cristiana?
Il mondo latino conosceva l’istituzione delle vergini vestali, ma Ambrogio non accetta che vengano viste come un’anticipazione della verginità consacrata. Secondo lui la verginità consacrata nasce da Cristo vergine e da Maria vergine. Non è la ripresa di qualcosa che sociologicamente esisteva nel mondo antico. Anzi, lui ricorda che le vestali erano poche, vivevano negli agi, erano rampolle di famiglie nobili che per un tempo determinato erano chiamate ad essere vergini. Lui dice: questo non c’entra niente con le vergini cristiane, che offrono tutta la vita al servizio non di un fuoco sacro ma di Cristo presente. La loro consacrazione è una scelta volontaria, cosa che non si può dire delle vestali, e per le vergini cristiane l’unica ricompensa è una esperienza di vera intimità con Cristo nella fede.

Anche Ambrogio era celibe. Quanto ha influito questo fatto nel suo pensiero?
Ambrogio parlava di un’esperienza sua personale. Ambrogio era vergine, suo fratello Satiro pure, e la sorella Marcellina, più grande, era una vergine consacrata che aveva ricevuto da papa Liberio il velo verginale a Roma. Possiamo dire che quella di Ambrogio è proprio un’esperienza positiva che lui vive fin dall’adolescenza nella sua famiglia. Quando racconta della sorella Marcellina, che aveva altre compagne vergini con le quali viveva nella casa di famiglia, parla di un’esperienza che per lui è stata profondamente umana. E, se vogliamo dirla tutta, ha contribuito alla crescita della personalità di Ambrogio, che troviamo estremamente più armonica rispetto, ad esempio, a quella tormentata di Agostino. Per Ambrogio la verginità era una scelta profondamente umana e profondamente convincente. Che nulla toglieva alle virtù umane che pure facevano parte del suo bagaglio culturale. Anzi.