L'alternativa antropologica di un Papa libero

L'intervento di Camillo Ruini alla presentazione del libro "La fine e l'inizio" di George Weigel. La lotta al comunismo, i frutti della missione in America Latina e «un giudizio sulla società che aspetta la sua verifica dalla storia»
Ubaldo Casotto

Il cardinale Camillo Ruini, a lungo presidente della Cei, è un testimone diretto del pontificato di Giovanni Paolo II, la sua partecipazione alla presentazione di La fine e l’inizio di George Weigel acquista allora un significato particolare. Venerdì 22 giugno, il vicario emerito della diocesi del Papa era a Palazzo Altieri di Roma insieme al banchiere Carlo Fratta Pasini e all’autore. Il suo intervento ha confermato, con i giudizi di chi quel pontificato l’ha vissuto da co-protagonista, le ricostruzioni analitiche e ricche di documentazione di Weigel. Il cardinale si è soffermato soprattutto sulla prima parte del libro, quella dedicata alla “lotta al comunismo” e sulle pagine in cui lo storico americano traccia un bilancio del “regno” di Karol Wojtyla, saltando i capitoli «sugli ultimi anni del pontificato, che abbiamo tutti ben presenti e ancora negli occhi».

«Noi e loro», così Weigel, riportando un colloquio con l’allora segretario di Giovanni Paolo II il cardinale Stanislaw Dziwisz, riassume la percezione del papa polacco nei confronti del comunismo «Ed era proprio così - ha detto Ruini – Io che gli sono stato vicino per vent’anni lo posso confermare». Il dialogo con quei regimi e con quell’ideologia non erano possibili, «l’alternativa era radicale perché era un’alternativa antropologica» ha spiegato. Il rapporto della Chiesa con il comunismo per Karol Wojtyla era concepito nei termini di una lotta, «che si può arrivare a definire mortale, uno dei due contendenti sarebbe dovuto uscire di scena». D’altronde, che lo scontro potesse essere considerato “mortale”, ha aggiunto, l’ho si è ben visto il 13 maggio 1981 con l’attentato in piazza San Pietro.
Inevitabile, e Ruini non l’ha evitato il giudizio sulla Ostpolitik. «A Giovanni Paolo II non piaceva». Quanto alla nomina dei suoi principali sostenitori, Casaroli e Silvestrini, in posti chiave della diplomazia vaticana, «non c’è dietro nessuna tattica, ha fatto quelle nomine ma si è tenuto uno spazio di intervento per sé, ha sempre avuto una sua rete di informatori diretti che lo tenevano aggiornato sulla situazione in Polonia e all’Est».

Quanto alla decisività di Giovanni Paolo II nella caduta dei regimi d’Oltrecortina, Ruini ha detto che col senno di poi si può leggere l’inevitabilità della caduta di un potere che non poteva più reggere economicamente in un mondo globalizzato e interconneso come quello che si andava creando, ma allora «nessuno di noi poteva prevederlo, anzi, non pensavamo di poter vedere la caduta del comunismo, non era ipotizzabile, continuavamo a guardare il mondo e a progettare il futuro come se i due blocchi politici usciti da Yalta fossero a lungo immodificabili». Per questo «Giovanni Paolo II fu molto coraggioso, intellettualmente e moralmente». Prima o poi il comunismo sarebbe caduto, «ma la sua fine nel biennio 1989-1991 non sarebbe stata possibile senza l’azione di questo papa».

Venendo al bilancio sul pontificato, che Weigel analizza secondo in munus docendi (la missione di insegnare), sanctificandi (la missione di santificare) e regendi (la missione di governare). Ruini ha ricordato il grande significato culturale e teologico per la Chiesa dell’America Latina del contrasto alla teologia della liberazione, «il grande amore e l’attenzione per l’Africa, conscio degli enormi problemi della Chiesa in quel continente, dove comunque adesso i cristiani stanno crescendo di numero in modo esponenziale», e ha aperto gli orizzonti dei vaticanisti italo centrati sul valore della dichiarazione Dominus Iesu che tante polemiche accese per la riaffermazione dell’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa cattolica: «In Asia, e soprattutto in India il rischio del sincretismo anche dentro la Chiesa è pericolo ricorrente».

Ha poi voluto aggiungere un ricordo personale, un colloquio con Giovanni Paolo II sul futuro dell’Occidente: «L’onda secolarista – mi disse – ha già raggiunto il suo acme e ora è in discesa», se è una discesa, ha commentato il cardinale, è una discesa che ancora travolge molte cose; «abbiamo certo assistito a un risveglio religioso», ma il giudizio di papa Wojtyla sul secolarismo aspetta ancora la sua verifica dalla storia. L’Europa non pare averlo ascoltato dice Weigel, ma, aggiunge Ruini «durante il suo pontificato io ho visto cambiare la Chiesa francese con Lustiger, quella spagnola, quella americana, che dopo lo scandalo della pedofilia è tornata una Chiesa presente e molto anche quella italiana». Come a dire, l’insegnamento del papa ha permesso il rifiorire della soggettività che potrà cambiare anche la società.