Il cardinale Martini fa il suo ingresso ufficiale a <br>Milano, il 10 febbraio 1980.

Quella stima per il carisma

Sempre attento alla questione educativa, alle tematiche sociali e al bene comune. Nel ricordo di chi lo ha incontrato tante volte, il suo affetto per Cl e don Giussani, «più di quanto la vulgata comune non faccia credere»...
Giuseppe Zola

Quando ho saputo la tristissima notizia circa la fine della vita terrena del cardinale Carlo Maria Martini, mi sono tornati in mente i tanti incontri avuti con lui.
Ho avuto, infatti, la fortuna di incontrare varie volte il nostro Arcivescovo e per diversi motivi.
Entrambi di origine piemontese, i nostri dialoghi erano sempre molto essenziali e in stile "sabaudo", ma sempre molto cordiali. La prima volta fu il giorno della sua entrata in Milano: lo salutai come presidente del Consiglio Scolastico Provinciale e mi ricordo che rimase sorpreso della mia presenza comunicandomi la sua preoccupazione per la situzione educativa dei giovani, preoccupazione che sarebbe sempre stata presente nella sua attività pastorale.
Ci vedevamo, poi, due o tre volte l'anno durante la mia fase "politica": io gli riferivo i problemi che incontravo e che mettevano in gioco la mia cultura cristiana e l'Arcivescovo ogni volta, confortandomi, mostrava un grande amore per la città di Milano e sottolineava ciò che, a suo parere, serviva al bene comune. In una di queste occasioni, gli raccontai l'itinerario della mia vita che mi aveva portato ad impegnarmi nella politica amministrativa: sempre l'impegno nel movimento, poi nella fondazione di una scuola, poi nel sindacato delle famiglie e quindi nel consiglio comunale. Ricordo che il Cardinale seguì con molta attenzione il mio breve racconto e poi mi disse che effettivamente occorreva una nuova educazione alla politica, che affondasse le sue radici nel grande patrimonio ideale e culturale dell'esperienza cristiana.
Avemmo modo di confrontarci anche pubblicamente in due convegni indetti dal Comune di Milano sui temi dei servizi sociali (oggi si direbbe del welfare): in quelle occasioni ammirai la lucidità con cui il cardinale Martini sapeva individuare i bisogni che nascevano nella gente vivendo in una città complessa come Milano. In quei tempi il suo appello a "farsi prossimo" costituì una geniale sintesi dell'atteggiamento che i cristiani dovrebbero avere su queste tematiche. Ricordo ancora vividamente un grande incontro che avvenne al Palalido, durante il quale, alla presenza anche di don Giussani, vennero presentate all'Arcivescovo le principali opere "caritative" nate dall'esperienza del movimento: egli ascoltò con grande partecipazione e ci spronò a continuare in quelle opere che testimoniavano la vitalità della Chiesa per l'utilità di tutta la società.
Quando don Giussani mi chiese di tornare ad occuparmi del movimento dandomi responsabilità diocesane, incontrai l'Arcivescovo, per la prima volta in questa veste, a Roma presso la sede del Nunzio Apostolico. Quando gli annunciai che avevo abbandonato la politica per occuparmi di CL, egli si mostrò molto affettuoso e contento. Dopo di allora, ci vedemmo molte volte (insieme a don Gerolamo Castiglioni), anche perchè don Giussani desiderava ardentemente che noi tenessimo costantemente al corrente l'Arcivescovo circa la nostra presenza e gli confermassimo ogni volta la nostra totale disponibilità ad essere utili alla diocesi. Mi colpivano sempre, durante questi incontri, due cose: la sua raccomandazione ad andare avanti nella nostra esperienza (e questo era il modo più semplice per aiutare la pastorale diocesana) e l'atteggiamento molto affettuoso e di grande stima verso don Giussani, nel cui carisma riconosceva sempre la sottolineatura dell'incarnazione, cioè del Dio in mezzo a noi in qualsiasi circostanza. Il Cardinale confermò poi questo suo giudizio sul carisma di don Giussani in una bella lettera che gli scrisse in occasione del cinquantesimo anniversario dell'ordinazione sacerdotale.
In uno dei nostri incontri, il Cardinale mi riferì del proficuo dialogo avuto con don Giussani in occasione del Sinodo sui laici, a cui entrambi avevano partecipato: ebbi l'impressione che la familiarità tra loro stesse aumentando sempre più con il passare del tempo. Del resto, don Giussani aveva dedicato il suo capolavoro (Il senso religioso) «al mio Vescovo».
Uno dei momenti più commoventi nel rapporto tra l'Arcivescovo e don Giussani accadde durante una visita che Martini fece ad un gruppo di preti aderenti alla Fraternità di CL: in tale occasione, don Giussani, già avanti nella sua malattia (la stessa che purtroppo avrebbe colpito il Cardinale), espresse tutto il suo amore filiale per l'Arcivescovo, sottolineandone, in particolare, la nobile passione ecumenica. Il cardinale Martini, d'altra parte, confermò tutta la sua ammirazione per ciò che era sorto intorno a don Giussani.
Del resto, i rapporti del cardinale Martini con il movimento furono più intensi di quanto la vulgata comune non faccia credere: ricordo, ad esempio, un incontro informale con alcune persone di CL (non tutti formalmente responsabili) avvenuto una sera, alla presenza di don Giussani, in una sala della sede arcivescovile di Corso Venezia. Fu una serata molto simpatica, che servì all'approfondimento della reciproca conoscenza e di cui don Giussani fu molto contento.
Ho sempre ammirato, nel Cardinal Martini, il suo tratto nobile, la sua grande cultura e la fede sempre protesa a capire il dramma dell'uomo di oggi.
E nel suo rapporto con don Giussani ho visto la grandezza della Chiesa, che sa accogliere formazioni e temperamenti diversi, ma tutti tesi a testimoniare l'eterna fecondità di Cristo, «via, verità e vita» per ciascuno di noi e per tutti; e che sa dare senso al dolore per la perdita di tali grandi testimoni, che Dio permette nel Suo misterioso disegno di salvezza.