I tre candidati per la successione di Shenouda III.

Tutte le sfide per il prossimo Papa copto

Domenica gli ortodossi egiziani scelgono la loro nuova guida. Padre Kamil Somaan, copto-cattolico, racconta un momento decisivo per la Chiesa e per tutto il Paese. Chiunque verrà eletto, poi, dovrà fare i conti con quei giovani così vivi...
Luca Fiore

Domenica 4 novembre conosceremo il nome del nuovo Papa copto, il capo della Chiesa ortodossa egiziana e successore di Shenouda III. L’elezione avverrà estraendo a sorte uno dei tre candidati segnalati dalla commissione composta da ecclesiastici e laici che si è riunita martedì scorso al Cairo. Le tre personalità scelte sono Amba Raphael, 52 anni, vescovo responsabile delle parrocchie del centro del Cairo, Amba Tawadraus, 60 anni, vescovo della diocesi di Behaira, a sud-est di Alessandria, e Rouphail Afa Mina, 70 anni, del monastero Mina Mari e allievo del patriarca Kyrillos VI, predecessore del patriarca defunto. Padre Kamil Somaan William, sacerdote egiziano copto-cattolico, docente presso il grande seminario interrituale del Cairo e preside dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose del Cairo, è un grande conoscitore della Chiesa ortodossa egiziana.

Padre Somaan, domenica verrà eletto il nuovo Papa copto. Cosa si augura che accada?
Noi cattolici preghiamo che lo Spirito Santo guidi la Chiesa ortodossa affinché elegga una persona spiritualmente profonda, illuminata e tollerante. Un uomo che possa condurre la Chiesa in questa fase molto delicata della vita del nostro Paese. Non sappiamo che futuro ci attende. Io sono ottimista: i giovani egiziani si sono risvegliati e non si lasceranno prendere in giro. C’è la pressione degli islamisti, è vero, ma non penso che avranno la meglio. Occorre una persona molto saggia. Anche noi cattolici abbiamo bisogno che gli ortodossi siano guidati da una personalità lungimirante, perché la gente comune quando pensa ai cristiani pensa agli ortodossi, visto che sono la stragrande maggioranza.

In che clima si sono svolte le prime fasi dell’elezione?
All’inizio del processo si sono presentati 17 candidati. Tra questi c’era anche Kyrillos, il vescovo di Milano. La commissione ha escluso le personalità più potenti e i cosiddetti “falchi”. Cioè i più intransigenti e poco adatti a gestire i rapporti con i cristiani non ortodossi e i musulmani.

Quali sono le sfide della Chiesa copta di cui si dovrà occupare il nuovo Papa?
Shenouda III era diventato, sostanzialmente, un leader anche politico e ha ridimensionato il ruolo dei laici impegnati nella società. Ora i laici chiedono che il Papa sia una guida spirituale e non politica. Dicono: «Abbiamo bisogno di qualcuno che metta ordine all’interno della Chiesa e lasci la politica a noi». Vorrebbero una distinzione di ruoli che, del resto, noi cristiani chiediamo ai nostri fratelli musulmani. Credo che non abbiano tutti i torti. Anche se sarà difficile che questo avvenga, perché Shenouda ha reso la sua carica molto ambita per potere e visibilità. Se a essere eletto fosse qualcuno proveniente direttamente da un monastero ci sarebbero, forse, più possibilità che il ruolo del Papa venga riformato.

Perché da un monastero?
Il predecessore di Shenouda, Kyrillos VI, proveniva da un monastero e si è interessato solo della vita della Chiesa. È stato una guida spirituale. Si vedeva pochissimo in pubblico o sulla ribalta politica. Oggi, però, vedo un problema nei vescovi ortodossi.

Quale?
Per me il punto debole nella nostra sorella Chiesa ortodossa è la scarsa preparazione teologica dei vescovi. Sono tutti monaci e per loro esiste soltanto un seminario che non è neanche obbligatorio frequentare. La formazione avviene seguendo il metodo del padre spirituale. Occorrerebbero invece studi più sistematici. Poi c’è la questione della conduzione delle diocesi che dipende moltissimo dagli uomini d’affari che le finanziano.

Dove sta il problema?
Gli uomini d’affari devono scendere a compromessi con il regime, qualunque esso sia. Non possono andare contro il Governo e i vescovi sono “costretti” a indirizzare i fedeli per renderli docili. Anche qui c’è il problema della confusione dei piani. I giovani si stanno accorgendo che la Chiesa in questo modo perde la propria libertà. E hanno iniziato a farsi sentire.

Da dove nasce questa spinta dei giovani ortodossi?
La Chiesa cattolica ha avuto un ruolo in questo risveglio. Il Consiglio Giustizia e pace in Egitto, con il quale collaboro anche io, si è evoluto in modo diverso rispetto all’Europa e si è aperto anche ai cristiani non cattolici. Alle iniziative hanno iniziato a partecipare un gruppo molto vivo di giovani ortodossi. Per loro è stata l’occasione per imparare un modo nuovo di pensare il rapporto tra vita religiosa e impegno sociale. Una concezione per cui si può tenere distinti i due piani pur partecipando da cristiani alla vita pubblica. Questo fatto ha avuto un impatto importante sui giovani ortodossi, tanto che si è sviluppata una generazione meno disposta a dare per scontato quello che dicono i vescovi sui temi politici. Così è accaduto che molti giovani ortodossi partecipassero alle manifestazioni della rivoluzione nonostante la gerarchia fosse diffidente.

Che tipo di iniziative proponeva il Consiglio Giustizia e Pace?
Nel periodo delle persecuzioni dei cristiani, in cui molti cristiani furono assassinati, ad esempio, abbiamo organizzato degli incontri sul tema della cittadinanza tra giovani provenienti dai Fratelli musulmani, dai salafiti, dai liberali e dai socialisti. Il risultato di questi incontri è confluito in un libro che è stato utilizzato dal sindacato degli avvocati per la formazione dei giovani avvocati. È stata l’occasione per la diffusione di una nuova idea di convivenza. Questo ha aperto la mente di moltissimi giovani, non solo cristiani.