Monsignor Massimo Camisasca.

Come l’albero piantato

Il 7 dicembre, a Roma, l'ordinazione episcopale di monsignor Massimo Camisasca, destinato alla diocesi di Reggio Emilia - Guastalla. Dal numero di ottobre di Tracce, ripubblichiamo un'intervista all'indomani della nomina
Davide Perillo

Sarà il cardinale di Bologna, Carlo Caffarra, a compiere il rito dell’imposizione delle mani sul capo di monsignor Massimo Camisasca durante l’ordinazione episcopale del nuovo Vescovo di Reggio Emilia-Guastalla. È questo il cuore della cerimonia del 7 dicembre nell’Arcibasilica di San Giovanni in Laterano a Roma. Alla consacrazione dell’ex Superiore Generale della Fraternità Sacerdotale dei Missionari di San Carlo Borromeo parteciperanno una trentina tra vescovi e cardinali.
La nomina di monsignor Camisasca alla guida della diocesi emiliana era arrivata il 29 settembre scorso. L’ingresso ufficiale sarà domenica 16 dicembre, con una messa solenne celebrata nel pomeriggio nella cattedrale di Reggio Emilia.
Di seguito, l’intervista al nuovo Vescovo che
Tracce aveva pubblicato a ottobre, all’indomani della nomina

Lo stemma episcopale lo ha già scelto. E richiama quello della Fraternità San Carlo, che ha guidato dalla sua nascita, nel 1985: al centro ci sarà una quercia, perché «l’uomo che confida nel Signore» è come «un albero piantato» che stende le sue radici. Sopra, la stella di Cristo. Il motto, invece, è «Opus iustitiae pax», frutto della giustizia sarà la pace. Ancora qualche settimana di preparativi e saluti, poi, il 7 dicembre, monsignor Massimo Camisasca, 65 anni, verrà consacrato e, alla fine del mese, farà il suo ingresso nella Diocesi che Benedetto XVI gli ha affidato come Vescovo: Reggio Emilia-Guastalla. L’annuncio è arrivato il 29 settembre, proprio mentre il movimento di Cl, a cui Camisasca appartiene da sempre, viveva la sua Giornata d’inizio anno. Questa, in pratica, è la prima intervista che rilascia da Vescovo.

Cosa hai pensato quando hai avuto la notizia della nomina?
La notizia era nell’aria da tempo. Così, senza naturalmente avere la certezza di ciò che sarebbe accaduto, ho potuto prepararmi. Quando il Nunzio mi ha comunicato - prima a voce e poi per iscritto - la volontà del Papa, si sono manifestati in me sentimenti diversi. Una gioia pacata, perché ero chiamato a partecipare al collegio dei successori degli Apostoli, una profonda obbedienza al Papa, un grande affetto per la sua persona. Assieme a tutto ciò, uno sgomento di fronte ai miei seminaristi e preti che avrei dovuto lasciare. Anche la paura che qualcuno non capisse la mia obbedienza. Questo insieme di emozioni diventava in me commozione e infine, affidamento a Dio. È questo affidamento ciò che mi dà certezza. So che nell’obbedienza c’è la radice di ogni fecondità.

Hai dedicato 27 anni della tua vita alla Fraternità San Carlo. L’hai vista nascere e crescere, l’hai accompagnata. Che vuol dire da padre lasciarne la guida ad altri?
Un padre non si dimette mai dalla sua paternità. Un fondatore è uno strumento di cui lo Spirito si serve per creare qualcosa che, infine, appartiene solo a Dio. Fino alla sua morte, nelle diverse forme in cui la sua vocazione lo pone, egli continua a essere strumento dell’opera che Dio stesso ha fatto nascere. Ciò che ho detto e fatto in questi ventisette anni rimane come patrimonio fondamentale a cui la Fraternità sempre guarderà, non per ripeterlo, ma per immedesimarsi e riviverlo in tutte le nuove situazioni in cui si troverà a svolgere la sua missione.

Che cosa, di quello che hai imparato dall’esperienza di questi anni con i tuoi sacerdoti, pensi ti aiuterà di più nel nuovo compito?
Ho imparato che ogni persona è preziosa agli occhi di Dio. Che ognuno custodisce dentro di sé un grande mistero. Che Dio ha un disegno buono per ciascuno, anche quando le strade della vita sembrano apparentemente contraddire questa certezza. Che la vita sacerdotale è un dono grandissimo di Cristo alla Chiesa. Che essa è interamente relativa alla vita dei battezzati e degli uomini sulla terra, per servire la loro fede e il loro cammino verso la fede. Che in Cristo è nascosta una promessa affascinante per ogni uomo e che tale promessa si rivela a poco a poco a chi lo segue. Che Cristo non ci allontana dalla vita, ma ci immerge in essa, dandoci la forza e la sapienza per viverla. Che senza la grazia di Dio nulla è possibile all’uomo, ma che con il suo aiuto, che viene principalmente dalla preghiera e dai sacramenti, l’uomo può grandi cose. Che la comunione è il cuore del cristianesimo e l’amicizia è il frutto più bello che nasce da essa.

Sorprende la coincidenza temporale con l’avvio dell’Anno della Fede. Cosa ti aspetti da questo avvenimento e che cosa domanderà a te assumere la guida di una Diocesi durante un anno così?
Arriverò in Diocesi ad Anno della Fede già cominciato. Mi inserirò, perciò, nelle iniziative già avviate. Il primo compito del Vescovo è di servire la fede dei credenti e di annunciare Cristo presente a tutti gli uomini. Vorrei aiutare i miei fratelli a sperimentare quanto sia importante e interessante l’avvenimento della fede per la loro vita quotidiana. In altre parole: quanto sia decisivo l’incontro con Cristo nel cammino dell’esistenza. Vorrei anche aiutarli a riscoprire la gratuità della fede, il dono sempre nuovo, fresco, originale che essa costituisce per l’uomo e che solo ci può rendere giovani.

L’annuncio arriva nello stesso giorno in cui Cl inizia l’anno, riprendendo un tema che è il filo del lavoro di questi mesi, ma in fondo di tutto il percorso di don Giussani: la vita come vocazione. Che cosa vuol dire per te adesso, da Vescovo?
La vita come vocazione è una sintesi sorprendente di ciò che mi è stato regalato da don Giussani. Quest’espressione, infatti, vuol dire che la nostra vita non nasce dal nulla e non va verso il nulla. Che ogni istante ha un peso. Ogni momento racchiude una voce che chiama. Non saprei come vivere questo cambiamento radicale nella mia esistenza, accaduto a quasi 66 anni, se non sapessi che esso è vocazione, cioè una voce con cui Dio ancora una volta mi dice: «Esci dalla tua terra e và dove ti indicherò».

Come ti accompagneranno nella nuova avventura la figliolanza dal carisma di Cl e il rapporto con don Giussani e don Carrón?
Tutti sanno, anche per i libri che ho scritto, il peso che ha avuto ed ha don Giussani nella mia esistenza. A lui devo il mio sacerdozio e quindi, indirettamente, anche il mio episcopato. Il suo carisma mi ha aperto alla Chiesa e al mondo. Ha spalancato la mia povera umanità di ragazzo ad una conoscenza sempre nuova degli uomini, della storia, della letteratura, dell’arte... letti attraverso il prisma della personalità di Cristo. Se oggi sono così denso di curiosità e di passione per tutti gli uomini lo devo a lui. Sento verso Carrón un grande affetto e prego molto per lui. Ogni giorno chiedo al Signore la grazia che lo accompagni efficacemente nel suo compito così bello e così importante. Il movimento è per moltissimi uomini e donne la vicinanza di Cristo via, verità e vita. Il compito di Carrón è perciò di grande rilevanza per tutta la Chiesa, come ha mostrato l’invito del Papa al recente Sinodo dei Vescovi.

Che significato ha la tua nomina per il movimento?
Penso sia il segno della fecondità dell’opera di don Giussani e della stima del Papa per i figli nati da lui. Nello stesso tempo sono certo che il mio ministero episcopale, come quello di tanti altri fratelli elevati all’episcopato e provenienti dal nostro movimento, radicherà sempre di più le persone di Cl in un servizio a tutta la Chiesa. E reciprocamente manifesterà la vocazione ecclesiale della Fraternità di Cl, riconosciuta da Giovanni Paolo II.