Il tesoro e la creta
C'erano quattromila persone venerdì a Roma a salutare l'ordinazione del nuovo Vescovo di Reggio Emilia-Guastalla. «Ora ho un’unica attesa: conoscere e far conoscere il Figlio. Aiutatemi a vivere per questo e solo per questo»«Un tesoro prezioso in un vaso di creta». L'immagine biblica della sproporzione totale, del bene che si consegna alla fragilità. Il cardinale Carlo Caffarra descrive così l'ordinazione a vescovo di monsignor Massimo Camisasca. E pochi minuti dopo Camisasca è lì davanti, disteso a terra, la faccia sul pavimento di marmo di San Giovanni in Laterano, mentre viene invocato lo Spirito su di lui.
È la vigilia dell'Immacolata, una delle feste più care al popolo dei fedeli. In questa vigilia, nella basilica del Laterano, la cattedrale di Roma, il monsignore è stato ordinato vescovo di Reggio Emilia - Guastalla. La chiesa è stipata di gente, pellegrini dalla diocesi e le autorità cittadine, amici, famiglie intere dai nonni ai bambini che strillano. E i «suoi» sacerdoti e seminaristi della Fraternità San Carlo, e tante persone che attraverso la loro umanità hanno scoperto (o reincontrato) il fascino e l'attrattiva di Cristo.
Un popolo. Quattromila persone in festa nella solennità di una cerimonia lunga ma essenziale, accompagnata dal canto gregoriano e dal coro di Pippo Molino. Dove tutto, dal silenzio agli abbracci al nuovo arrivato di cardinali (Ruini, Vallini, Herranz, Piacenza) e vescovi, fino alla commozione finale di Camisasca, dicono di quel tesoro e di quella creta.
«La fede dei semplici sconfigge la mentalità del mondo», ripete l'arcivescovo di Bologna al «caro don Massimo». «Cantate al Signore un inno nuovo poiché ha fatto meraviglie», intona il coro. Dice Caffarra: «La meraviglia fatta dal Signore è la sua decisione di porre il tesoro della successione apostolica dentro alla creta di uomini che condividono in tutto la condizione dei loro fratelli. È Cristo che nel ministero del vescovo continua a predicare il Vangelo e guidare il suo popolo».
E «la libertà dell'uomo è il rischio di Dio». Alla chiamata si può rispondere con «la disobbedienza dell’incredulità o l’obbedienza della fede. Abbiamo così la possibilità di decifrare l’enigma della storia. Due forze si incrociano, si contrastano e si avversano: la forza insita nella disobbedienza dell’incredulità e la forza insita nell’obbedienza della fede di Maria e di ogni discepolo del Signore».
Don Massimo è commosso e lo si vede al termine della celebrazione, quando saluta la folla che sta per lasciare la Basilica. «Ho un unico desiderio: entrare nella volontà di Dio, nella sua azione di Padre creatore e salvatore. Un’unica attesa: conoscere e far conoscere il Figlio. Un’unica sete: godere della gioia dello Spirito. Aiutatemi a vivere per questo e solo per questo». Ringrazia il Papa, ricorda i genitori e ripercorre «il capitolo intenso, profondo e mai concluso del mio incontro con don Luigi Giussani e della mia figliolanza da lui. Egli è stato un gigante della fede e un profondo conoscitore dell’uomo e dell’avvenimento cristiano».
La voce è incrinata. Ma si spezza quando il nuovo vescovo si rivolge ai sacerdoti della Fraternità, «l’opera a cui ho dedicato tante energie e che mi ha ripagato con consolazioni immense. Ricordo uno per uno i miei fratelli, preti e seminaristi. Neppure una briciola di ciò che ho vissuto con voi andrà perduta. Vi porto nel mio cuore per l’eternità».
Fuori ormai è buio, piove a dirotto su Roma, ma nel chiostro del Seminario romano alle spalle della basilica la festa è grande. Il vescovo di Reggio Emilia ha voluto tutti, e saluta tutti brevemente, uno per uno, sotto il portico. Per lui si apre «una nuova fase» a Reggio Emilia, la città in cui nacquero le Brigate Rosse, la città del cardinale Ruini e di Romano Prodi, la diocesi in cui si trova Brescello, «patria» dei guareschiani Peppone e don Camillo. Domenica pomeriggio avverrà l'ingresso solenne. La sua consapevolezza è chiara: «Niente è cancellato, tutto è custodito per l'eterno».