Sergej Chapnin.

«Dalla Chiesa una risposta conveniente all'uomo»

Secondo approfondimento al viaggio nel rapporto tra cattolici e ortodossi del numero di gennaio. L'intervista al giornalista Sergej Chapnin, direttore della "Rivista del Patriarcato di Mosca"
Martino Cervo

Sergej Chapnin è in sostanza il Gian Maria Vian dell’ortodossia russa. Cura le pubblicazioni del patriarcato e dirige la celebre e storica Rivista del Patriarcato di Mosca, che ha il principale compito di diffondere i discorsi e l’attività pastorale del capo della Chiesa. È una delle più importanti riviste del mondo religioso russo: nata alla fine del XIX secolo in un periodo di grande espansione della stampa russa, ha subito la confisca e la distruzione delle tipografie con l’avvento del comunismo. Riaperta per appena 4 anni (dal ’31 al ‘35), è stata "riabilitata" nel 1943, quando il regime non poteva permettersi di non sfruttare tutte le voci possibili per riaccendere il sentimento di patria minacciata dall’invasore nazista.
Con grande realismo Chapnin riconosce a Tracce le condizioni di lavoro del suo giornale sotto il comunismo: «Non era possibile sopravvivere senza celebrare in qualche modo il regime. Ma nonostante la censura, è rimasto l’unico centro intellettuale per l’ortodossia nel nostro Paese. Oggi che la Chiesa può avere una vita libera, e grazie alla svolta impressa dal patriarca, stiamo cercando ogni giorno di rendere il giornale uno strumento all’altezza dei nodi e delle sfide della contemporaneità».

Quali sono le priorità nella costruzione del suo mensile? Quale ritiene sia lo scopo principale del suo lavoro?

Far comprendere agli uomini che le risposte che la Chiesa offre sono umanamente convenienti. Dunque suscitare interesse per il magistero, renderlo il più possibile attuale e vicino all'uomo. Il problema principale che riscontro è la diffidenza quasi automatica per i documenti ufficiali. Il periodo sovietico ha trasmesso un sospetto difficilissimo da scalfire nella sensibilità comune per qualunque cosa avesse i crismi dell’ufficialità. Per questo è una grande sfida rendere leggibile e interessante la sezione "ufficiale" della nostra rivista che ospita, come naturale, atti e discorsi delle gerarchie. Il secondo grande tentativo che facciamo è quello di garantire un'efficace trasmissione dell’esperienza pastorale che sia di aiuto ai nostri sacerdoti. Un altro filone è l’attenzione all’arte cristiana contemporanea, di cui documentiamo tentativi e critica.

Nel recente convegno di Russia cristiana, la poetessa Olga Sedakova ha dato una lettura vicina alla sua, spiegando come la mentalità sovietica abbia radicato la convinzione che tutto ciò che è pubblico, comune, condiviso, debba in qualche essere contro il singolo. Condivide questa analisi?
Sì, ma penso sia solo una parte del problema. Alla radice c’è una mancanza di persone libere. Dopo vent'anni dalla caduta del comunismo, non riusciamo ancora a superare questa incapacità al pensiero. Viviamo ancora in una società che non conosce la libertà di pensiero cristiana. E questa assenza di libertà produce distorsioni sul passato e sul futuro, generando infelicità.

Spieghi meglio la distorsione del passato: cosa intende?

Per i contemporanei l’unica storia è quella del passato sovietico. Tutto ciò che lo precede è ai confini della mitologia. Un confuso amore per la patria ci fa dimenticare le pagine orrende che compongono la sua storia, o appiattire tutto sotto il mito della vittoria su Hitler. Anche dentro la Chiesa c’è una divisione marcata tra chi rivendica l’era sovietica e chi ha un atteggiamento più lucido e critico. Purtroppo il rapporto col passato divide la Chiesa oggi.

E il futuro? Cosa pensa dei movimenti che hanno attraversato Mosca lo scorso inverno?

Si è trattato della prima vera manifestazione di un’opposizione: come autocoscienza è stato un momento molto importante, soprattutto considerando quanto è difficile svegliare le persone. Non ho visto però un compiuto programma di azione, tanto che è difficile ipotizzare il destino di questi movimenti.

La Chiesa che giudizio ne dà?

Nel dicembre 2011, il Patriarca ha invitato il governo ad ascoltare tutte le voci provenienti dalla società. Poi, in seguito ad alcune degenerazioni, ha chiesto agli ortodossi di non prendere parte alle manifestazioni. Dopo la vicenda delle Pussy Riot (febbraio-marzo 2012; ndr), sui media è partito un attacco violento alla Chiesa, che ha inasprito il quadro. Personalmente sono rammaricato da questa frattura: per la prima volta la gente si è mossa con un'esplicita motivazione morale, sentendosi offesa per le irregolarità del voto. Anche una fascia di persone tradizionalmente disinteressate si sono sentite chiamate in causa. Indirettamente quel che è accaduto ha riacceso un interesse – non necessariamente positivo – per la Chiesa. Molti degli attacchi sono il sintomo di una confusa domanda su chi, oggi, sia autorizzato a proporre e incarnare una fonte di morale nel nostro Paese e nella nostra società.

Non ritiene che questi fatti abbiano acuito le possibilità di un distacco tra la Chiesa come gerarchia e il popolo dei fedeli?

No, per nulla. La Chiesa, nell'unità tra il Patriarca e l'episcopato, è anzi apparsa come un realtà unita. Le persone comuni, i laici, hanno un atteggiamento più concreto, che tendenzialmente non si cura delle dinamiche interne alla gerarchia. Di sicuro appare più chiaro che l'ortodossia non può e non deve essere concepita come un'ideologia.

Eppure con la vicenda del processo alle giovani che hanno oltraggiato la chiesa del Cristo Redentore molti ortodossi non hanno condiviso le posizioni piuttosto rigide del patriarcato.
Non c'è un gruppo che possa arrogarsi il diritto di rappresentare l’ortodossia in quanto tale. È vero che quelli "duri e puri" hanno invocato pene esemplari. Chi vive la fede come dimensione umana e la articola nel realismo dei rapporti lascia emergere la propria sensibilità, e comprende come la pena comminata alle due ragazze sia eccessiva, senza per questo ovviamente sposare il gesto sacrilego che hanno fatto. Dal canto suo, lo Stato ha voluto imporsi come garante e custode dei luoghi sacri, come il difensore di una fede che però non fa sua e forse non comprende. Ha scelto di intraprendere il processo penale, quando poteva limitarsi a una sanzione amministrativa. Ci sono molti aspetti che rivelano la volontà di creare un caso, e la Chiesa ha permesso che questo venisse creato. A tratti, per chi ha seguito il processo, è sembrato che agli stessi avvocati difensori delle ragazze facesse comodo arrivare alla condanna: l’unica che ha cambiato legale è uscita rapidamente dal procedimento.

Direttore, cosa si aspetta dalla possibilità di rapporto tra cattolici e ortodossi, qui in Russia?
Che continuino a testimoniare l'universalità della Chiesa cristiana. Questo può accadere soltanto se guardiamo ai rapporti personali concreti. So bene che nell'ortodossia c'è un movimento che guarda con ostilità e sospetto a questo tipo di rapporti considerandoli vicini a un tradimento, mentre altri sono più liberi e amichevoli. Personalmente non credo che i primi facciano un grande servizio all'approfondimento della loro fede.