Romano Guardini.

Quella «nuova coscienza» che arriva da Guardini

Le ultime parole di Benedetto XVI ai porporati, citando il teologo veronese, suo maestro. «La Chiesa non è un’istituzione escogitata e costruita a tavolino, ma una realtà vivente… E il suo cuore è Cristo». Ecco da dove nasce questa sintonia
Carlo M. Fedeli

Salutando giovedì scorso i Cardinali, Benedetto XVI ha voluto consegnare loro, come ultimo atto della sua testimonianza e del suo magistero, «un pensiero semplice» sulla Chiesa e il suo mistero, un pensiero - ha detto - che «mi sta molto a cuore».

Per esprimerlo si è lasciato aiutare da due espressioni di Romano Guardini. La prima proviene dalla raccolta di meditazioni La Chiesa del Signore, pubblicata nel 1965, l’anno in cui Guardini compiva ottant’anni e i Padri del Concilio Vaticano II approvavano la costituzione Lumen Gentium (il Papa ha accennato alla dedica personale di Guardini, che gli è stato maestro e amico: essa gli rende «particolarmente care» le parole di questo libro). La Chiesa «non è un’istituzione escogitata e costruita a tavolino, ma una realtà vivente… Essa vive lungo il corso del tempo, in divenire, come ogni essere vivente, trasformandosi… Eppure nella sua natura rimane sempre la stessa, e il suo cuore è Cristo». La seconda espressione è la parte finale dell’affermazione con cui, agli inizi della sua carriera di docente, Guardini aprì una serie di conferenze su Il senso della Chiesa, pronunciate nell’ottobre del 1922 a Bonn, al convegno annuale dell’associazione dei laureati cattolici: «La Chiesa si risveglia nelle anime».

Il saluto ai cardinali ha suscitato in me un intenso moto di commozione, che, se si può dire, ha come ingigantito la bellezza dell’udienza del giorno prima. Anzitutto perché ho visto affiorare nelle parole del Papa la stessa movenza di sguardo e di pensiero, accaduta a Guardini nel comporre e nel dare alle stampe, mentre si svolgeva il Concilio, le meditazioni su La Chiesa del Signore. In apertura del libro Guardini parla infatti di un «anello ideale» che le unisce alle conferenze del 1922; poi passa a descrivere il percorso e le vicende (anche storiche ed ecclesiali, oltre che personali) attraverso cui è maturata in lui la coscienza della Chiesa come realtà che «si fonda e si regge su qualcosa che è al di là dell’umano», e come «la realizzazione continua di qualcosa che non può essere il risultato di soli presupposti naturali». Ecco: nell’ultima udienza e nel commiato dai cardinali anche Benedetto XVI abbraccia con lo sguardo la strada compiuta in prima persona dall’inizio del pontificato a oggi. E la descrive - con un’intensità di tratto e di espressioni che, credo, non dimenticheremo più - come cammino di sempre più profonda conoscenza e certezza della Chiesa come «corpo vivo» e come «mistero»: come realtà vivente che non è «mia», dice il Papa, né «nostra», ma «Sua»: la Chiesa del Signore.

Il secondo motivo di commozione ha a che fare con la forma e il contenuto della riflessione e dell’insegnamento di Guardini - non solo sulla Chiesa, ma in generale. Come dice espressamente nella prima meditazione, per rispondere alla domanda «Ma che cosa è la Chiesa?» egli non vuole «cominciare dai concetti», ma «vedere che cosa è accaduto». È lo stesso metodo da cui erano nate le conferenze del 1922 (che furono presto pubblicate con una specifica dedica «alla gioventù cattolica»), e da cui sono sgorgati anche tutto l’insegnamento universitario e la predicazione di Guardini. Qual è il frutto più imponente e più fecondo di questo metodo, di questa intelligenza della realtà che nasce dalla fede? È la possibilità offerta alle generazioni di studenti che andavano alle sue lezioni, come pure a quanti lo ascoltavano parlare in pubblico o leggevano i suoi libri, di scoprire il cristianesimo come «una cosa nuova», diversa da quanto si poteva ricavare dagli schemi di pensiero tradizionali o dalle definizioni consuete: in breve, come diversa da ciò che credevano già di sapere.

Ma non è stato così anche per noi, e per tutti, fin dalla prima omelia di papa Benedetto? A ogni immagine e a ogni espressione che egli ha ripreso dal Vangelo, dalla vita degli apostoli, dalle opere dei Padri e dei Dottori della Chiesa, dalla testimonianza dei santi e dei martiri, ci siamo sentiti portati per mano davanti al cristianesimo come avvenimento presente - come un figlio accompagnato dal papà o dalla mamma a fare un’esperienza nuova. Sorpresi e stupiti davanti a un particolare, a una vibrazione o a un nesso fra le cose, a una parola o a un atteggiamento di Gesù o di qualcun altro, cui non avevamo mai prestato attenzione. E perciò sollecitati a ritrovare quell’apertura dello sguardo e quella tensione del cuore, in cui si gioca tutto l’essere, il conoscere e la religiosità dell’uomo. E poi, man mano che il filo conduttore del pontificato è diventato sempre più luminoso (nel magistero ordinario, nei viaggi apostolici, nei volumi dedicati a Gesù, nell’indizione dell’Anno della Fede), ecco il pensiero dominante: l’invito a riscoprire nella persona del Signore, nella sua vita e nel suo destino l’essenza del cristianesimo.

L’essenza del Cristianesimo è il titolo di uno dei più bei scritti di Guardini, uno dei più importanti - insieme a La fine dell’epoca moderna - anche per la persona di don Giussani e per la storia di Comunione e Liberazione. Viene di lì, infatti, l’affermazione secondo cui «nell’esperienza di un grande amore tutto si raccoglie nel rapporto Io-Tu, e tutto ciò che accade diventa un avvenimento nel suo ambito». Guardini la formula in apertura del saggio, nel capitoletto intitolato “La questione”. Il suo paragrafo conclusivo inizia così: «Da ultimo il cristianesimo non è una teoria della Verità, o una interpretazione della vita. Esso è anche questo, ma non in questo consiste il suo nucleo essenziale. Questo è costituito da Gesù di Nazareth, dalla sua concreta esistenza, dalla sua opera, dal suo destino – cioè da una personalità storica». Sta qui l’elemento distintivo della pretesa cristiana: nell’esigenza che «la persona unica di Gesù diventi per l’uomo la realtà religiosa decisiva».

Torniamo al saluto ai cardinali. La terza ragione di commozione consiste nella profondità storica e teologica del collegamento fra le due affermazioni di Guardini. Esso, infatti, proietta un raggio penetrante di luce sulla storia della Chiesa nel Novecento, e insieme sul suo futuro. Poco tempo dopo essere stato chiamato da Giovanni Paolo II a presiedere la Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Ratzinger contribuì con un saggio al volume La Chiesa del Concilio, pubblicato a metà degli anni Ottanta dal Dipartimento Teologico dell’Istra di Milano, allora guidato da don Angelo Scola, don Benedetto Testa e Francesco Botturi. In quel saggio egli partì dall’affermazione iniziale delle conferenze su Il senso della Chiesa - la quale, nella sua formulazione completa, dice: «Un processo d’incalcolabile portata è iniziato: la Chiesa si risveglia nelle anime». E indicò in essa, o meglio nella realtà che Guardini voleva porre all’attenzione degli ascoltatori, la radice storica dalla quale aveva preso il via il moto di riforma e di maturazione ecclesiale che, prima in poche esperienze, poi sviluppandosi gradualmente e dilatandosi nel corpo ecclesiale sarebbe infine affiorato nella coscienza di Giovanni XXIII, diventando in lui la sorgente ispiratrice dell’indizione del Concilio Vaticano II.

Ci sarebbero ancora molte cose da dire sugli scritti di Guardini da cui il Papa ha tratto le parole per il suo congedo. Chi volesse rileggerli avvertirà molte volte quella vibrazione di amore a Cristo e alla Chiesa, in cui don Giussani e Benedetto XVI ci sono testimoni e maestri. E potrà comprendere più a fondo la valenza che la fede viva ha come fattore della storia, personale e di tutti, della Chiesa e del mondo. Come afferma quest’altro passo, insieme sintetico e profetico, de La Chiesa del Signore: «L’ora storica in cui noi viviamo verrà un giorno definita come quella in cui l’uomo ha maturato nella sua coscienza in forma decisiva che cosa è “mondo” e che cosa è lui nel mondo. È anche l’ora in cui la Chiesa si rinnova nella coscienza di ciò che essa è e di come l’uomo esiste in lei. Il Concilio si porrà la seconda delle questioni ben consapevole della sua importanza; ma con ciò sarà automaticamente posta anche la prima, ed entrambe si chiariranno a vicenda. La risposta alle due questioni e il loro rapporto reciproco determinerà per lungo tempo la storia avvenire. Le meditazioni di questo libro vogliono compiere e vivere tale presa di coscienza, e forse pure, nella misura delle sue possibilità, in qualche modo contribuire al grande evento».