Padre Luca Bolelli con i ragazzi della parrocchia.

«Così desidero di più la mia conversione»

Come si attende nel villaggio Kdol Leu l'elezione del nuovo Papa? Ce lo racconta padre Luca Bolelli, missionario del Pime, da anni in Cambogia, continuamente richiamato dalla sua gente. Uomini con il «cuore in risaia» e una fede che scuote
Alessandra Stoppa

Il caldo torrido, gli insetti, il rumore di fondo del generatore che accompagna la messa quotidiana. Il villaggio Kdol Leu è disteso su una strada sterrata lungo il fiume Mekong, che dal Tibet scorre fino alla Cambogia, la attraversa e arriva in Vietnam. Quando ha iniziato la sua missione qui, padre Luca Bolelli del Pime conosceva già la lingua khmer. Ma non a vivere «pelle a pelle», come dice lui.
Le case del villaggio sono di legno, compresa la sua, e la parrocchia è di un centinaio di persone. «Condividiamo tutto, le gioie e le sofferenze». È una comunità “antica” per i parametri di qui: «È una realtà cristiana che risale a centotrenta anni fa. Un gruppo di schiavi è stato affrancato da un missionario francese, padre Lazar. Erano tutti vietnamiti, ora sono tutti khmer». In mezzo, la guerra, che ha distrutto tutto: la chiesa bombardata, il parroco ucciso, e le famiglie che si sono sentite abbandonate. Alcuni si sono convertiti al buddismo, altri se ne sono andati. Eppure questa comunità è rinata intorno a Jein. Era una ragazza all’epoca dei bombardamenti, che l’hanno resa sorda. Ma, dopo la guerra, è stato attorno a lei che hanno ripreso a raccogliersi i “vecchi”, già cristiani prima di Pol Pot. E ad aggiungersene altri. «Creando un movimento di simpatia verso il cristianesimo che dura fino oggi».

Una simpatia in cui si è ritrovato immerso padre Luca, arrivando qui nel 2009. «Sono privilegiato, perché è una comunità bellissima». Ora ha chiesto a tutti di pregare la Madonna, ogni giorno, per i cardinali e il Conclave. Qui, dove i più non sapevano nemmeno chi fosse il Papa. Agli inizi, non appena se ne è reso conto, padre Luca ha preso dieci immaginette di Benedetto XVI e le ha distribuite tra le famiglie: le tenevano a turno, una settimana a testa, per pregare, e poi andavano in altre case. Quando anche qui è arrivata la notizia della rinuncia di papa Ratzinger, padre Luca ha sofferto. «Ho provato un dispiacere immenso, perché lui è stato un aiuto grandissimo in questi anni. Persino nei momenti più difficili: leggevo lui e mi ritrovavo su un terreno sicuro».
È stata la faccia di Srey Aem a soprenderlo. È la prima da cui è andato, perché era anche l’unica ad aver visto il Papa di persona, alla Gmg di Colonia. «Quando gliel’ho detto è saltata su contentissima. Diceva che un gesto così grande la edificava». Srey Aem è la maestra responsabile dell’asilo della parrocchia. È la prima di nove figli, «fin da piccola si è sacrificata per i fratellini, tanto da decidere di andare in Cina con una delle varie “agenzie” che “esportano” le spose cambogiane negli altri Paesi asiatici». Ma non è mai partita: grazie all’aiuto di un missionario è andata a formarsi dalle suore salesiane di Phnom Penh, la capitale. L'11 febbraio, davanti alla notizia del Papa, la prima cosa che Srey Aem ha fatto è di dire la sua preghiera a messa: «Ha chiesto a Dio che tutti i potenti della Terra possano imparare da lui».

Padre Luca conosce la sofferenza che c’è dietro alle facce meravigliose della sua gente. Gente che ha «il cuore e la mente in risaia» e una fede che ti scuote: «Ricevo tanto da loro. Il cammino a volte è duro, ma io non mi sento mai solo. La cosa più dolorosa è lo scontro con il limite personale: il mio limite». Padre Luca è modenese, ha trentotto anni e dice che la fatica più grande qui, in una delle zone più martoriate della Cambogia, è «la mia conversione». Gli sembra sempre di «essere l’ultimo» a cambiare, ma è per questo che è così grato della fede della sua gente. Condivide la loro vita in presa diretta, ogni giorno, per cui sa bene quanta violenza c’è nelle famiglie, soprattutto quanto è forte l’alcolismo. «Pensi sempre che il problema sia il terreno del cuore degli altri. E finisci per “fare le crociate”, perché la gente smetta di bere. Così ti ritrovi uno sguardo moralista. Me ne accorgo anche nella predicazione. Invece, sono io il fariseo». Parla della «tentazione del potere religioso», che è sottilissima: «Le mie dipendenze sono solo più raffinate della dipendenza dall’alcol...».
È stato il gesto del Papa a fargli desiderare ancora di più la conversione. «Voglio seguire Gesù, stringere il rapporto con Lui. Soprattutto ora, mi faccio aiutare dal prendere più tempo per la preghiera, dall’Adorazione eucaristica: mi insegnano a guardare a Lui, che è il Solo pastore come ci ha ricordato Benedetto XVI. Ma che la Chiesa sia il Suo sguardo per me non è scontato, ho bisogno di tornarci ogni giorno».
Oggi padre Luca è di là dal fiume. Nel distretto dall'altra parte del Mekong, c'è una casa che accoglie otto studenti del suo villaggio, che si sono trasferiti per frequentare il liceo. Anche se la parrocchia e l'aiuto all'insegnamento in seminario («ci sono quattro ragazzi che stanno diventando preti») lo impegnano molto, cerca di andare a trovarli appena può e di fermarsi con loro. Quella è una zona di “primo annuncio”, non ci sono cattolici. E lui, andando al mercato o a riparare la moto, sta incominciando a conoscere la gente. Piano piano.