Rolando Rivi

Rolando Rivi. Conta solo il Paradiso

«Sono di Gesù», ripeteva sempre. Un ragazzo dell’Appennino emiliano, ucciso dai partigiani a quattordici anni. È stato beatificato il 5 ottobre 2013, a Modena. (Da Tracce, settembre 2013)
Emilio Bonicelli

Ho un ricordo ancora nitido di quel giorno, nel luglio del 2001, quando per la prima volta sono salito a San Valentino (Castellarano, Reggio Emilia), un piccolo borgo sull’Appennino dove Rolando Rivi ha vissuto e dove, nell’antica Pieve romanica, è sepolto e venerato. Dall’alto del colle si domina la valle del fiume Secchia, al confine tra le province di Reggio e Modena. Quel giorno iniziai a conoscere Rolando e mi colpì un fatto: era un ragazzo innamorato di Gesù; da questo amore era stato trasformato; su questo amore aveva impostato il progetto della sua vita; per l’intensità di questo amore, perché pubblicamente proclamava di voler essere tutto e solo di Gesù («Io sono di Gesù», diceva), era stato sequestrato, torturato e ucciso. Per questo amore il 5 ottobre, nella Piazza Grande di Modena, verrà beatificato.

Rolando nasce il 7 gennaio 1931, in una famiglia di contadini. La sua è una fede semplice e concreta, succhiata con il latte materno, ma poi maturata, in un sì personale, grazie all’incontro con don Olinto Marzocchini, parroco a San Valentino dal 1934. Crescendo, Rolando inizia a interrogarsi su che cosa vorrebbe diventare da grande. Quel sacerdote che spiega a tutti il significato delle cose; quel sacerdote che si spende senza limiti per il bene di ogni persona lo affascina. Gli piacerebbe, da grande, essere come lui. Nel cuore di Rolando, mentre sta finendo la scuola elementare, matura così la vocazione al sacerdozio.

A undici anni entra nel seminario minore di Marola, sull’Appennino emiliano. È l’ottobre del 1942 e l’Italia, seguendo i vuoti sogni di grandezza del regime fascista, da due anni è in guerra a fianco della Germania nazista. La vita di studio e preghiera nel seminario, tuttavia, procede in modo regolare. Rolando ha nel cuore un desiderio: diventare, come diceva, «sacerdote e missionario», per portare la bellezza incontrata in Cristo a tutti gli uomini, anche ai più poveri e ai più lontani. Dal primo giorno in seminario veste l’abito talare, che non lascerà più sino al martirio. Il fuoco giovane di vita che arde in lui ha ora uno scopo grande: l’amicizia con Gesù. È sempre «il più scatenato nei giochi», ma è diventato anche «il più assorto nella preghiera», come racconta un suo professore di seminario. «Non so se morirò da giovane o da vecchio. Importante è andare in Paradiso da Gesù», scrive un giorno sul suo quaderno.

Nel 1943, cade il fascismo. I tedeschi, da alleati, diventano nemici e occupano gran parte del Paese. Molti, però, si oppongono all’invasore straniero, mossi da un reale desiderio di libertà. Nascono così gruppi armati di partigiani. Tra il 1944 e il 1945 la guerra si abbatte con particolare violenza anche sull’Appennino emiliano, dove vive Rolando: bombardamenti, stragi, distruzioni, sangue. I nazisti fanno irruzione nel seminario di Marola e lo occupano per farne una base militare. Rolando, come gli altri seminaristi, torna a casa, a San Valentino, ma in paese trova una situazione profondamente cambiata.
In alcune formazioni partigiane, infatti, si è diffusa l’ideologia comunista con il progetto di fare della fine della guerra, ormai imminente, non la pace, ma l’inizio di una rivoluzione violenta per instaurare in Italia la dittatura del proletariato e cancellare Cristo dalla storia dell’uomo. Per questo i sacerdoti e i seminaristi sono considerati nemici da abbattere.

Nonostante il pericolo, Rolando continua a portare la sua testimonianza di fede: aggrega gli altri ragazzi, organizza per loro i giochi, li guida in chiesa, indossando sempre l’abito talare. Alla mamma che, quando torna dalla messa del mattino, gli dice: «Togliti la veste», lui risponde: «Mamma non posso. È il segno che sono di Gesù».
Il 10 aprile 1945, alcuni partigiani comunisti lo fanno prigioniero e lo portano in un casolare a Piane di Monchio (Modena), lo picchiano e lo umiliano. Il 13 aprile 1945, un venerdì, alle tre del pomeriggio, lo stesso giorno e la stessa ora della morte del Signore, i suoi persecutori lo tirano fuori dalla porcilaia, dove lo hanno rinchiuso, lo spogliano a forza della veste talare, tanto amata, poi lo trascinano in un bosco.
Molte volte ho pensato alla paura che come una lama si deve essere insinuata nel suo cuore di bambino, mentre inutilmente chiede pietà, mentre i partigiani estraggono il coltello per torturarlo e la pistola per ucciderlo. Eppure, anche in quel momento, Rolando riafferma a chi appartiene la sua vita. Come hanno raccontato i testimoni, in quell’ultimo istante chiede di poter pregare per il suo papà e per la sua mamma. Mentre prega in ginocchio, gli sparano, un colpo alla tempia e uno al cuore.

Nel buio di quel bosco tutto sembra finito, ma da quel seme deposto nella terra sbocciano grazie inaspettate. Il ricordo e la devozione per questo ragazzino rimangono vivi tra i familiari, gli amici e tutte le persone che lo avevano conosciuto. Finché nel 2001 un seminarista inglese legge sull’Osservatore Romano un articolo che racconta la storia di Rolando e ne rimane particolarmente colpito. Quando il figlio di una giovane coppia di amici, nato da pochi mesi, si ammala di leucemia e i medici disperano di salvarlo, scrive al parroco di San Valentino e chiede una reliquia del giovane martire. La reliquia, accompagnata da un coro di preghiere, viene posta sotto il guanciale del piccolo in ospedale, che sorprendentemente guarisce.
La notizia della grande grazia ricevuta, giunta via fax al parroco di San Valentino, si diffonde e rompe il silenzio sceso per oltre 50 anni sul sangue dei cristiani versato in terra emiliana, nel cosiddetto “triangolo della morte”, alla fine della Seconda Guerra mondiale.

Mosso da questa notizia, sono andato a San Valentino e ho scoperto il “tesoro nascosto” della testimonianza di fede di Rolando. Con un gruppo di amici abbiamo dato vita al Comitato Amici di Rolando Rivi e abbiamo avviato nel 2005, presso la Diocesi di Modena, la causa di beatificazione.
Il 27 marzo 2013 papa Francesco, tra i primi atti del suo Pontificato, riconosce Rolando martire della fede aprendo le porte alla beatificazione.
Non è la fine di un cammino, ma un nuovo inizio. Nell’incontro con le associazioni laicali e i movimenti, il 18 maggio 2013, papa Francesco ha detto: «La comunicazione della fede si può fare soltanto con la testimonianza, e questo è l’amore. (...) La Chiesa la portano avanti i Santi, che sono proprio coloro che danno questa testimonianza. (...) il mondo di oggi ha tanto bisogno di testimoni». Rolando è uno dei testimoni della fede di cui noi, la Chiesa e il mondo abbiamo tanto bisogno, perché anche guardando a lui il nostro cuore impari ad amare e a far amare Gesù, come lui lo ha amato e fatto amare.