Uno degli scatti che presentano la Lettera.

«Ho fotografato il seme buono»

La nuova Lettera pastorale dell'arcivescovo di Milano, Angelo Scola, presentata attraverso alcune testimonianze. Una giovane blogger la "documenta" con i suoi scatti. «Accettando questa proposta, ho reimparato a guardare…»
Alessandra Stoppa

«Ho ricevuto questa proposta una decina di giorni fa. E c’è chi subito mi ha detto che era folle accettare: illustrare con delle fotografie un testo del genere». Il testo in questione è Il campo è il mondo. Vie da percorrere incontro all’umano, la nuova Lettera pastorale dell’arcivescovo di Milano, Angelo Scola (in libreria dal 9 settembre, qui i contenuti), che sarà presentata oggi dal Cardinale e da alcune testimonianze. Tra cui quella di Leonora Giovanazzi, fotografa trentenne che lavora nella comunicazione digitale, chiamata da Scola per documentare la Lettera attraverso i suoi scatti. «Mi ha così spiazzata questa proposta. È stato uno stupore pazzesco. Ma solo per questo ho detto di sì, perché era una richiesta così incontrollata, che sono stata certa dell’origine. Non veniva da me, non veniva dal Cardinale, ma da Chi diversi anni fa mi ha dato il dono e la passione per la fotografia. Se mi rendo conto che è il Mistero che mi dà le cose, sono incondizionatamente libera di dire sì, e scoprire che dirlo mi rende felice».

Ha letto la Lettera ed è uscita di casa così, sabato mattina, per girare la città, sorpresa da «questa felicità, e dal sentirmi “usata” per come sono». Mentre andava, le sembrava di potersi finalmente sdebitare del grande dono della fotografia. «O almeno di iniziare a sdebitarmi. Invece sono stata ribaltata anche in questa posizione», racconta: «Non è stato un restituire, ma un ricevere». Che cosa? «Tutte queste cose, la Lettera, la presentazione, erano per me, perché io reimparassi a guardare». E aggiunge: «In un modo molto semplice. Attraverso dei fatti che sono successi».

La parte della Lettera da cui è stata più colpita è il capitolo in cui il Cardinale commenta la parabola della zizzania. Giudica il fatto che davanti alla realtà l’uomo, spesso, guarda solo la zizzania: dà per scontato che c’è il campo, che c’è il padrone del campo e che c’è il seme di grano buono. «Questo ha giudicato me. Andare a fotografare è diventato un cercare questo seme buono. E sono finita dentro a degli incontri». Come si legge nella Lettera: Gesù Cristo vivente si offre alla nostra libertà nella forma familiare di un incontro umano: la fede è riconoscerLo. Leonora aveva deciso di passare del tempo in Stazione Centrale, per un’idea preconcetta di immortalare i saluti, gli abbracci, gli arrivi, «pensavo di rappresentare più in profondità le relazioni umane». Invece, quando è andata nel bagno di un bar della Stazione, ha incontrato l’uomo che stava pulendo. «Era veramente contento di pulire: la faccia bella, grato di contare i mesi di lavoro fatti finora, mentre usava l’aria per le mani perché il pavimento si asciugasse più in fretta e lavava fischiettando». «Mi sono accorta di quanto della realtà io non vedo, nelle mie giornate. Bellezza, dolore, umanità, passione. Tutte cose che mi appartengono, e che se me le perdo non cresco».

Scola nella Lettera dice che, nell’incontro con Gesù, il Suo sguardo sulla realtà diventa nostro: Allora la nostra esistenza si trasforma, il nostro modo di pensare e di agire si rinnova, diventa il modo di pensare e di agire di Gesù, di Dio. «Cosa mi commuoveva davanti ai volti, ai momenti di persone che ho fotografato? Questa commozione mi accade quando guardo l’altro veramente per chi è: riconosco in lui il mio stesso bisogno di essere amata. Facendomi commuovere, Cristo mi si rivela nelle cose e nelle persone». Stasera mostrerà le sue foto nell’incontro di presentazione (leggi qui), immagini che per lei sono «memoria, sono delle prove, grazie a cui divento più certa che non mi invento nulla: che Lui c’è. E c’è lì dove mi mette».