Un Papa sulla frontiera

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John Waters

La lettera a Eugenio Scalfari, l’intervista a Civiltà Cattolica, poi di nuovo l’incontro con il fondatore di Repubblica. Jorge Mario Bergoglio non ha paura di parlare di tutto con tutti.
Non credenti compresi. Ma da dove gli viene questa libertà? Che cosa porta nella Chiesa? E che effetto ha su chi non crede? Lo abbiamo chiesto a “vicini” e “lontani”. Ecco le risposte


Ognuno di noi possiede una genialità unica, che quando è applicata al nostro lavoro, alle passioni, alle amicizie, alla vita, produce una novità che non può non essere rilevata. Spesso questo manca nella vita ufficiale dei leader politici - la volontà di mettere da parte forma e protocollo e di essere se stessi. Così, essi smettono di essere davvero guide, e finiscono per seguire schemi già prefissati, senza un vero coinvolgimento. Appiattendosi su ciò che già c’è, perdono il contatto con i loro seguaci, che cercano una traccia di vera umanità e non trovano nulla.
Abbiamo sperimentato la grazia di vedere che ognuno dei Papi che hanno guidato la Chiesa nello spazio delle ultime generazioni era di una pasta diversa dagli altri. Ognuno a suo modo è stato un leader di grandissima personalità, che ha aperto possibilità enormi di relazione. Ognuno di essi era, soprattutto, un uomo pienamente riconoscibile, che non poteva essere scambiato per nessun altro. Ognuno ha portato avanti l’insegnamento della Chiesa, ma ognuno lo ha fatto in una maniera sua propria. Ognuno ha reso testimonianza dello sguardo e dell’amore di Cristo attraverso la mediazione della propria personalità piuttosto che con l’aridità di prediche e discorsi.
Il passaggio tra papa Benedetto XVI e papa Francesco è stato inatteso e drammatico. Ma dopo sei mesi abbiamo recuperato il nostro equilibrio, e abbiamo altrettante ragioni di gratitudine e stupore. È accaduto uno strano miracolo; non abbiamo perso nulla e abbiamo guadagnato tantissimo in circostanze che non avrebbero mai lasciato immaginare.

Il centuplo. L’addio di papa Benedetto è stato una cosa dolorosa da accettare, e forse molti di noi non erano sicuri che tutto quello che stava accadendo non stesse per trasformarsi in una perdita.
Invece abbiamo guadagnato il centuplo. Benedetto resta; e come per un miracolo, una nuova forza è entrata nella Chiesa, un uragano d’amore che ogni giorno ci ridesta a una nuova promessa carica di sorpresa.
Dobbiamo solo contemplare la stupefacente figura di papa Francesco per capire il significato di tutto questo, per vedere lo straordinario svolgersi di un processo che è arrivato fino a noi attraverso la preghiera e l’ascolto del nostro amato papa Benedetto.
Papa Francesco ha costretto il mondo a fermarsi lungo la strada e a guardare nella sua direzione. A volte ciò è sfociato in fraintendimenti dovuti a superficialità, eppure sotto sotto cresce la sensazione di essere davanti a una figura di padre nuova, ma pur sempre padre, che ci dice quello che è vero.
Nella sua recente intervista - inattesa e ampia - a Civiltà Cattolica, il Santo Padre ha suscitato due tipi di eccitazione, distinti e con pochi punti di contatto. Il primo tipo riguarda quelli che in genere stanno fuori dalla Chiesa, gettandovi all’interno le loro aspre critiche. Molti di costoro si sono congratulati con il Papa per quelle che secondo loro sono iniziative sul piano della dottrina. Una diversa eccitazione proviene da quanti sono all’interno, che sono semplicemente affascinati dall’impatto della personalità di quest’uomo chiamato Bergoglio. Quanti amano la Chiesa sanno bene che il “cambiamento” proclamato nei media di tutto il mondo non è né auspicabile né necessario. Quello di cui c’è bisogno, come sempre, è un orecchio sintonizzato sulla frequenza del battito del cuore del mondo.
Non vi è alcun elemento di separazione o frattura tra i due Papi, ma una continuità che rivela un drammatico ma opportuno cambiamento di approccio. Benedetto XVI ha ultimato la sua grande opera, ed essa rimane negli innumerevoli testi che ha scritto e pubblicato nel suo Pontificato. Adesso è il tempo di prendere questi giudizi e di portarli al mondo, in una modalità che Benedetto - per molte diverse ragioni, fra le quali la sua età e la salute malferma - non si sentiva in grado di attuare.
Francesco offre le sue spiegazioni sotto forma di aneddoti ed esempi, chiarendo il loro significato con un linguaggio semplice che parla del proprio personale incontro ed esperienza, e che tocca immediatamente quel desiderio strutturale di racconto che è al fondo di ogni cuore umano.
La cosa che più rasserena di questo Papa non è il suo radicalismo né la sua tenerezza, ma la sua insistenza sul mettere in primo piano la sua esistenza in quanto uomo. Ciò emerge in molti passaggi dell’intervista, per esempio laddove il Papa parla del suo essere peccatore, del posto che ha il dubbio nella fede, del suo periodo quale insegnante quando inviava i racconti dei suoi studenti al grande scrittore argentino Jorge Luis Borges perché li valutasse, delle sue preferenze nel campo dell’arte e della musica: Manzoni, Mozart, Caravaggio, Dostoevskij, Hölderlin, Bach, Wagner. Insomma, un uomo che vuole che noi abbiamo a conoscerlo.

Curare le ferite. Non ci sono in verità immediate implicazioni dottrinali che emergano dall’intervista del Papa, ma molte stimolanti possibilità di un diverso genere di rapporto fra il Papa e la sua gente. L’occasione di fraintendimento, forse, è l’accento che il Papa mette su una cosa da cui don Giussani metteva in guardia molti anni fa: che le regole sono quasi una forma di blasfemia se Cristo non si rende visibile. «Io vedo con chiarezza», ha detto papa Francesco, «che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite... E bisogna cominciare dal basso». Il Papa, ribadisce lui stesso, non dice niente di più di quanto è già nel catechismo. Non ci propone di fare a meno delle regole, ma ci spinge a mettere davanti a esse un abbraccio più grande, e nel far questo mette in guardia chi ascolta riguardo alla presenza di qualcosa di più eccezionale di quanto uno possa immaginare o sognare.
Dio è reale, lo ripete: Dio è reale. «C’è infatti la tentazione di cercare Dio nel passato o nei futuribili. Dio è certamente nel passato, perché è nelle impronte che ha lasciato. Ed è anche nel futuro come promessa. Ma il Dio “concreto”, diciamo così, è oggi. Per questo le lamentele mai mai ci aiutano a trovare Dio. Le lamentele di oggi su come va il mondo “barbaro” finiscono a volte per far nascere dentro la Chiesa desideri di ordine inteso come pura conservazione, difesa. No: Dio va incontrato nell’oggi. Dio si manifesta in una rivelazione storica, nel tempo. Il tempo inizia i processi, lo spazio li cristallizza. Dio si trova nel tempo, nei processi in corso».

Aria salubre. Le parole che mi hanno maggiormente colpito dell’intervista del Papa sono quelle sull’ospedale da campo, una immagine vivida della novità che ci offre: «Le frontiere sono tante. Pensiamo alle suore che vivono negli ospedali: loro vivono nelle frontiere. Io sono vivo grazie a una di loro. Quando ho avuto il problema al polmone in ospedale, il medico mi diede penicillina e streptomicina in certe dosi. La suora che stava in corsia le triplicò perché aveva fiuto, sapeva cosa fare, perché stava con i malati tutto il giorno. Il medico, che era davvero bravo, viveva nel suo laboratorio, la suora viveva nella frontiera e dialogava con la frontiera tutti i giorni. Addomesticare le frontiere significa limitarsi a parlare da una posizione distante, chiudersi nei laboratori. Sono cose utili, ma la riflessione per noi deve sempre partire dall’esperienza».
Ogni giorno, come una infermiera fuori dell’ordinario, papa Francesco non fa che aprire finestre per permettere a quanti stanno fuori di guardare alla profondità del cuore umano della Chiesa istituzionale, che è stato messo in ombra tanto dal moralismo dogmatico all’interno quanto dalla sorda ostilità all’esterno. L’aria salubre ha già raggiunto i nostri polmoni.