È accaduto

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Davide Perillo

L’attesa. I canti. La festa. E poi l’irrompere di una presenza che ha scompaginato ogni attesa.?Lasciando ognuno degli ottantamila in Piazza con una domanda: che cosa mi è successo, lì?

È stata lì, con la testa appoggiata al petto del Papa, senza dire una parola. Non c’era bisogno. Sette, otto secondi in tutto, quando l’Udienza era già verso la fine e sullo schermo scorrevano le immagini di Francesco che salutava un gruppetto di carcerati, dietro il palco. Tra loro s’era infilata pure Maddalena, 24 anni e la tenerezza di chi ha avuto dal Signore un cromosoma in più. Lei che si china, lui che sorride e la tiene lì. Un pezzo di Vangelo in diretta. Uno dei tanti, in quella mattinata che ci ha segnato per sempre vita e storia.
Ottantamila e più persone in Piazza San Pietro, arrivate da una cinquantina di Paesi per l’Udienza che papa Francesco ha concesso a CL. Qualcuno sbarcato dall’altra parte del mondo, con un volo di 24 ore all’andata e altrettante al ritorno, ché il lavoro non fa sconti nemmeno a Perth. Molti, moltissimi altri, non potendo venire a Roma, dall’altra parte del mondo ci sono rimasti, in piedi all’alba per vedere la diretta tv mentre treni e pullman scaricano gente che sciama verso il Colonnato del Bernini.

Zacchei. Fa impressione vederli entrare uno per uno nella Piazza, affollata già dalla mattina presto: insieme, ma ognuno per sé. Chiamato per sé. Come ricorda di colpo l’introduzione di don Julián Carrón: «Che cosa sarebbe una mattina senza incontrarLo ancora, senza poterLo riconoscere presente? Che cosa sarebbe la vita senza di Te, Cristo? Sarebbe davvero insopportabile». E poi quel nome, «Maria!», detto da Gesù «con una tale intensità da far vibrare tutta l’umanità» della Maddalena: «Non c’è un altro Cristo che quello che è accaduto a Maria. Non c’è un’altra Maria che quella definita dalla chiamata di Cristo».
Ottantamila «Maria» diventano una voce sola, a recitare le Lodi in recto tono. «È lì che ho visto carnalmente cosa è CL», dirà agli amici Serena, una ragazzina arrivata da Como: «È impossibile vedere migliaia di persone insieme così». La stessa cosa che dice quasi tra sé un carabiniere, che pure alla Piazza piena è abituato: «Ma questi chi sono? Mai visto un silenzio del genere». E canti del genere: Al mattino. La strada. Un’Ave Maria in cinese che mette i brividi, Aconteceu, il coro... Sessant’anni di storia scorsi in pochi minuti. E attraversati, d’un tratto, dalla voce roca di don Giussani, che compare sugli schermi: «Gesù si voltò. E vedendo che lo seguivano, disse: che cosa cercate?». Giovanni e Andrea. L’incontro. Il cuore del cristianesimo. «Ragazzi, senza troppe sottigliezze, questo è accaduto!».
Accade di nuovo, otto minuti dopo. Il canto si spegne a metà, travolto dalle urla di gioia: il Papa è già in Piazza, prima del previsto. Un giro e mezzo, fino a via della Conciliazione. Festa. Saluti. Carezze ai bambini e mani che si sporgono dalle transenne. Dieci, cento Zacchei in piedi sulle sedie, mentre la piazza ha ripreso a cantare: Ho un amico grande grande, Sou feliz Senhor...Fino a Zamba de mi esperanza, il regalo argentino per il Papa arrivato «dalla fine del mondo».

In carne e ossa. Guardi la Piazza dal sagrato e vedi in carne e ossa le parole di saluto che Carrón sta indirizzando a Francesco. Uomini e donne tesi a «vivere il rinnovarsi di quell’Avvenimento unico che, attraversando i secoli, ci raggiunge oggi in questa Piazza, facendoci sperimentare la bellezza e la gioia di essere cristiani». Cuori pieni del «bisogno che la grazia ricevuta rifiorisca sempre nuova nelle nostre vite e questo solo può accadere mantenendo il legame con Pietro, che don Giussani ha inoculato nel nostro sangue». Un popolo venuto a mendicare «col desiderio di imparare, per essere aiutati a vivere con sempre maggiore fedeltà e passione il carisma ricevuto».
Ognuno può dire se e come il Papa ha risposto a questa domanda. Può dirlo per sé guardandosi, osservandosi lì, nel contraccolpo delle sue parole. «Tutto, nella nostra vita, oggi come al tempo di Gesù, incomincia con un incontro. Un incontro con quest’Uomo, il falegname di Nazareth, un uomo come tutti e allo stesso tempo diverso». «Il luogo privilegiato dell’incontro è la carezza della misericordia di Gesù Cristo verso il mio peccato». E poi: «La morale cristiana è la risposta commossa di fronte a una misericordia sorprendente, imprevedibile, addirittura “ingiusta” secondo i criteri umani, di Uno che mi conosce, conosce i miei tradimenti e mi vuole bene lo stesso, mi stima, mi abbraccia, mi chiama di nuovo, spera in me, attende da me». E ancora: «Il carisma originario non ha perso la sua freschezza e vitalità. Però, ricordate che il centro non è il carisma, il centro è uno solo, è Gesù, Gesù Cristo! (...) Don Giussani non vi perdonerebbe mai che perdeste la libertà e vi trasformaste in guide da museo o adoratori di ceneri. Tenete vivo il fuoco della memoria di quel primo incontro e siate liberi!». Fino a quel mandato («potete essere braccia, mani, piedi, mente e cuore di una Chiesa “in uscita”») che a molti ricorda l’invito missionario di Giovanni Paolo II, riassunto da Giussani nel famoso «dobbiamo svuotare lo Stivale!». O a quelle citazioni finali dello stesso don Giussani che riportano lì, al cuore del carisma: «La passione del fatto cristiano come tale nei suoi elementi originali, e basta».

L’imprevisto. Il testo completo lo trovate più avanti, al centro del giornale. Da staccare, leggere e rileggere anche quando penseremo di averlo già fatto. Ma quello che è accaduto - o non è accaduto - lì, ognuno lo sa bene, in cuor suo. Sa se ha visto o no «un padre che ti guarda negli occhi e si immedesima nella tua storia fino a sapere esattamente di che cosa hai bisogno per vivere», come dice Emanuele, dell’hinterland di Milano. O se è tornato a casa col cuore pieno e, assieme, «chiedendo perdono per quanto desidero poco la mia felicità», come scrive Marcie, di Crosby (Stati Uniti). O, semplicemente, se gli è accaduto quello che dirà lo stesso Carrón nel pomeriggio: «Abbiamo vissuto di nuovo l’esperienza dell’incontro con Cristo». Qualcosa di grande e imprevisto, di atteso eppure impensabile.
Persino i saluti a fine Udienza lo sono, mentre dalla Piazza sembra non volersi muovere nessuno e il Papa stringe la mano, uno per uno, a persone che non avresti mai immaginato di vedere lì. Il primo della fila, per dire, è Rowan Williams: è l’ex primate della Chiesa di Inghilterra (vedi l’intervista a pagina 17). Poco più in là, con un neonato in braccio che gli ha allungato qualcuno attraverso le transenne, c’è Aleksandr Filonenko, filosofo ortodosso. Poi toccherà a Wael Farouq, egiziano e musulmano. A Ning, protestante arrivata da Taiwan. E, dopo Vescovi e prelati, ai carcerati di Padova e Napoli, agli stranieri arrivati da lontano (Francesco scende dal sagrato apposta per salutarli, sottobraccio a Carrón), ai malati... Lo cercano, lo abbracciano. Semplicemente contenti di essere lì, davanti a lui. Come Maddalena che appoggia il capo sul suo petto. Perché «cosa sarebbe una mattina senza incontrarLo ancora?».