Il cardinale Giacomo Biffi.

«Un legame da allora e, spero, per l'eternità»

È morto sabato 11 luglio a 87 anni il Cardinale ex arcivescovo di Bologna. Qui, il ricordo degli anni in seminario dell'amico don Giussani, compagno a Venegono, da "Avvenire" del 19 giugno 1994
Luigi Giussani

I miei primissimi ricordi del cardinale Biffi datano agli anni del seminario di Venegono Superiore, quando lui e io fuggivamo dai tradizionali luoghi di ritrovo dei chierici e ci «rifugiavamo» nella stanza di monsignor Galbiati a studiare russo (il cardinale Biffi frequentava allora il liceo, io Teologia). Col suo solito umorismo l'Arcivescovo di Bologna ricorda che a questo deve, forse, il suo primo incarico di professore. Una volta, infatti, fummo sorpresi - era proibitissimo andare negli appartamenti dei professori - da quel vecchio e grande rettore che è stato monsignor Bettazzi. Col suo passo un po' pesante il Rettore passò davanti alla stanza mentre il grammofono gracchiava la lezione di russo, si interessò alla cosa ed esclamò: «Guarda un po'! Tu studi russo». Umoristicamente il cardinal Biffi attribuisce a ciò l'aver avuto assegnato, come proprio compito in seminario, quello di insegnare il francese. «Se sai il russo - pensò monsignor Bettazzi - vuol dire che sai anche tutte le altre lingue».

Il ricordo più personalmente toccante che ho della mia vita con Giacomo Biffi è questo. In seminario, tra alcuni ragazzi della Teologia, insieme al povero monsignor Manfredini avevamo creato un gruppo di appassionati a studiare la figura di Cristo: ci chiamavamo "Studium Christi". Al nostro gruppo, peraltro molto contestato dai compagni di seminario, partecipavano, con salacia ed impeto, il povero monsignor Lattanzio e proprio il cardinal Biffi. Con una piccola rivista che usciva una volta al mese pretendevamo di segnalare o individuare il modo per scoprire il mistero di Cristo in tutti i fenomeni che si proponevano ai nostri occhi. Con reminiscenze russe, rifluite dal nostro poco sapere quella lingua, ci chiamavamo i «folli di Cristo». Questa passione, e l'espressione senza pretese di noi comunque pieni di fede nel cuore, costituisce ciò che da allora mi legò alla persona del cardinal Biffi, spero per l'eternità.

Della vita sacerdotale del cardinal Biffi posso dire che essa è innanzitutto segnata dalla profondità della sua indagine teologica e dalla chiarezza (oltre che dall'arguzia) e persuasività del suo insegnamento in tale campo. La congiunzione della serietà incisiva e di umorismo affascinante sono i due estremi dell'orizzonte umano di Giacomo Biffi.

Quello che però legherà il suo nome per tutta la storia al cuore stesso della diocesi che ne vide la nascita umana e la nascita della fede, la diocesi di Milano, è l'opera - gigantesca dal punto di vista del lavoro e perfetta dal punto di vista della memoria dello spirito cristiano autentico -, di ricreazione che egli, con monsignor Inos Biffi e dietro i suggerimenti del cardinale Giovanni Colombo, portò a termine di tutto il testo della liturgia ambrosiana. Ha saputo far rinascere, dandogli la forza di presenza, il genio cristiano di sant'Ambrogio. Nel santo Vescovo di Milano la precisa intuizione dell'intelligenza della fede sempre si raccordava ai bisogni di tenerezza e di affetto che fanno del patrono della Chiesa milanese la figura anche umanamente più grande del suo secolo: così egli parla del Dio che si riposò il settimo giorno «perché aveva l'uomo cui perdonare». Mi pare che quel verso finale dell'Esamerone sia la chiave di volta per riconoscere l'anima del cardinale Biffi.

(da Avvenire, 19 giugno 1994)