La Veglia per il Sinodo sulla Famiglia.

«Una candela accesa nel buio che ci circonda»

Sabato, alla vigilia dell'apertura dei lavori dell'assemblea dei Vescovi, Piazza San Pietro ha accompagnato il Papa nella preghiera. Tra testimonianze e interventi, le attese e le speranze, ma anche le certezze, di tante famiglie
Giorgio Paolucci

Quando arriva Francesco, Piazza San Pietro è piena. È una veglia “formato famiglia”, sabato 3 ottobre, vigilia dell’apertura di un Sinodo molto atteso e su cui gravano interrogativi, attese e speranze talvolta contrapposte. Ci sono padri, madri e figli di ogni età, ma anche nonni, arrivati da tutta Italia rispondendo all’appello lanciato dalla Conferenza episcopale italiana. Si leggono brani della Scrittura e interventi del Papa, si canta, si prega, si ascolta.

In piazza c’è anche la “famiglia ecclesiale”, nel segno di una unità che valorizza diversi accenti e sensibilità. I leader di associazioni e movimenti offrono i loro contributi: Matteo Truffelli (Azione cattolica), Salvatore Martinez (Rinnovamento nello Spirito), Kiko Arguello (Neocatecumenali). Maria Voce, presidente dei Focolari, evoca il desiderio di prendersi cura di tutte le famiglie, soprattutto nelle loro ferite e debolezze. «Come non riconoscere Gesù Crocifisso nelle tante famiglie afflitte da povertà morali e materiali, da divisioni, fallimenti e tradimenti, dalla guerra, dalla perdita della speranza di un futuro? Eppure Gesù ci ha dato la prova che, proprio queste circostanze - in cui sembra che Dio si sia ritirato abbandonando l’umanità al proprio destino - si trasformano in tappe di un cammino di resurrezione, se ci lasciamo accompagnare da Lui».

Quello di Julián Carrón per Comunione e Liberazione è l’intervento più breve: ringraziamo Dio che continua a generare famiglie, e riconosciamo che la Bellezza è un segno che rimanda a un "oltre". «Se non incontrano ciò a cui il segno rimanda, il luogo dove si può trovare il compimento della promessa che l’altro ha suscitato, gli sposi sono condannati a essere consumati da una pretesa dalla quale non riescono a liberarsi e il loro desiderio di infinito è destinato a rimanere insoddisfatto». E ancora, «le nostre famiglie potranno raggiungere la loro pienezza perdonandosi a vicenda, affrontare tutte le sfide, aprirsi agli altri, se Lo ospitano a casa».

Le testimonianze di sposi e promessi sposi raccontano le modalità con cui questa ospitalità si realizza, e dicono quanto l’affidamento a un Amore più grande rende capaci di convivere con le ferite che lacerano la vita quotidiana. Francesco e Lucia Masi, sposati da trentacinque anni, cinque figli e quattro nipoti, commuovono la piazza. Lei è afflitta da una malattia autoimmune che limita fortemente i suoi movimenti; racconta la disperazione, la rabbia, il pianto che hanno accompagnato la sua sofferenza. «Poi Gesù mi ha attirato a sé. Questa carne e questa vita, la donna che sono diventata nel matrimonio, questa carne sola, indivisa e indivisibile, entrerà nello sguardo di Dio».

Quando prende la parola il Papa, la piazza offre una visione suggestiva con migliaia di candele accese in mano ai partecipanti. E lui parte proprio da questa suggestione visiva: «A che giova accendere una piccola candela nel buio che ci circonda? Non sarebbe ben altro ciò di cui c’è bisogno per diradare l’oscurità? Ma si possono poi vincere le tenebre?». La mente corre alle sfide che mariti e mogli, padri e madri, affrontano dentro e fuori le mura di casa, le stesse su cui i padri sinodali radunati stasera sul sagrato a fianco del Papa discuteranno nei prossimi giorni. Una volta quando si diceva “famiglia” era tutto chiaro: un padre, una madre, dei figli. Ora le cose sono molto più complicate, tutto è diventato liquido, incerto, nebuloso. Nel crollo delle evidenze, la famiglia è una delle principali vittime. Legami coniugali fragili, identità sessuali messe in discussione, pretese di genitorialità che pur di essere soddisfatte ricorrono a pratiche in cui i meccanismi naturali vengono sovvertiti. E poi i dolori e le fatiche del vivere quotidiano.

Che fare per non rimanere prigioniero dello smarrimento e dell’impotenza? Non ci sono formule magiche, Francesco ricorda che ai padri sinodali è chiesto di «ascoltare e confrontarsi mantenendo fisso lo sguardo di Gesù, parola ultima e criterio di interpretazione di tutto». Serve una nuova ripartenza, che guardi all’esperienza che Gesù ha fatto per trent’anni con Maria e Giuseppe: «Ripartiamo da Nazaret per un Sinodo che, più che parlare di famiglia, sappia mettersi alla sua scuola, nella disponibilità a riconoscerne sempre la dignità, la consistenza e il valore, nonostante le tante fatiche e contraddizioni che possono segnarla».

Quelle migliaia di candele accese dal popolo di Piazza San Pietro dicono che c’è ancora un desiderio vero di amore che anima tanta gente, un desiderio di guardarsi avendo come orizzonte il “per sempre”. Non perché provvisti di particolari virtù o animati da buoni sentimenti, ma perché certi che c’è un Altro che può compiere questo desiderio. Allora il limite non è più un’obiezione, allora non si è più schiavi del buio, scandisce Francesco: «Questa Chiesa può rischiarare davvero la notte dell’uomo, additargli con credibilità la meta e condividerne i passi, proprio perché lei per prima vive l’esperienza di essere incessantemente rigenerata nel cuore misericordioso del Padre».