Il cardinale Angelo Bagnasco.

Bagnasco: «Il pericolo per la Chiesa? La tiepidezza spirituale»

Si è chiuso oggi il Convegno ecclesiale nazionale promosso dalla Cei nel capoluogo toscano. Parla il Presidente dei Vescovi italiani. Dalle parole del Papa alle cronache degli ultimi tempi, un'evidenza: «Siamo chiamati a una continua conversione»
Paolo Rodari

A chiusura del Convegno ecclesiale della Conferenza episcopale italiana a Firenze ha preso la parola il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei. Egli, ripercorrendo l’intervento di papa Francesco di martedì scorso, ha ricordato come lo scopo del vivere e dell’esistere della Chiesa è da sempre uno: «Seguire e imitare Gesù, rendendolo presente agli occhi del nostro mondo». Per fare ciò, come Chiesa, ha detto Bagnasco, «siamo chiamati a vivere in uno stato di continua missione». Un compito da cui il presidente dei Vescovi italiani ha tratto cinque sottolineature: anzitutto «uscire, andare». Perché «non basta essere accoglienti: dobbiamo per primi muoverci verso l’altro, perché il prossimo da amare non è colui che ci chiede aiuto, ma colui del quale ci siamo fatti prossimi». Quindi «annunciare la persona e le parole del Signore, secondo le modalità più adatte perché, senza l’annuncio esplicito, l’incontro e la testimonianza rimangono sterili o quantomeno incompleti». La terza tappa è la missione: «Abitare, termine con il quale ci richiamiamo a una presenza dei credenti sul territorio e nella società, secondo un impegno concreto di cittadinanza, in base alle possibilità di ognuno». La comunità e i credenti sono poi chiamati «al compito di educare per rendere gli atti buoni non un elemento sporadico, ma virtù, abitudini della persona, modi di agire e di pensare stabili, patrimonio in cui la persona si riconosce». Tutti questi passaggi, infine, sono tesi «a trasfigurare le persone e le relazioni, interpersonali e sociali».

Tutto ciò è possibile camminando insieme, che significa assumere «uno stile sinodale». Questo stile «richiede precisi atteggiamenti, che dicono anzitutto il nostro modo di porci di fronte al volto dell’altro e indicano, nella prospettiva della relazione e dell’incontro, la strada di una continua umanizzazione». Uno stile sinodale esige anche «un metodo, all’insegna della concretezza, del confrontarsi insieme sulle questioni che animano le nostre comunità». Per dare concretezza al discernimento, «uno stile sinodale deve sapersi dare obiettivi verso i quali tendere: di qui l’importanza di riprendere in mano l’Esortazione apostolica Evangelii gaudium».

Dopo l’intervento conclusivo, Bagnasco ha tenuto una lunga conferenza stampa, preceduta da un’introduzione nella quale ha ricordato come vi sia stato «un lungo cammino di preparazione al Convegno, che è partito dal comitato preparatorio e che è sceso e si è incarnato nelle diverse diocesi». «Il Convegno non è un “fungo” improvviso», ha detto, «ma il frutto di un grande cammino preparatorio e vogliamo che non si concluda e non finisca ma continui nelle diocesi con momenti che decideremo insieme. E nel discorso che ha fatto al recente Sinodo, il Papa ha parlato della necessità di adottare uno stile Sinodale: questo stile si esprime anzitutto a livello diocesano, poi a livello regionale, e poi nazionale fino alla Chiesa universale. Anche questi nostro Convegno è stato preparato con questo metodo del camminare insieme. Ci sono stati 2.200 volontari che hanno lavorato. Non è una forma di esibizione ricordare il lavoro dei volontari, ma un rendere onore a queste persone che ci permettono di ricordare come il popolo italiano è questo, il sentire profondo della nostra gente è su questo versante, non dobbiamo dimenticarlo. Il fondo della nostra storia è la bontà, l’eroismo delle nostre famiglie, della gente sola, dei giovani. Tanta gente che non fa notizia, ma che quotidianamente fa storia». Poi, Bagnasco ha risposto ad alcune domande.

Eminenza, è venuta fuori al Convegno la necessità dell’adozione di uno stile sinodale. Basterà mettere gli atti online a disposizione di tutti e poi lasciare che siano le singole diocesi a fare proprio questo stile?
Stile sinodale non vuol dire una centralizzazione. Perché una centralizzazione della Cei sarebbe contro lo stile sinodale. Il camminare insieme è piuttosto convenire assieme, paragonarci rispetto agli obiettivi datici. Nel Convegno si sono creati ambienti e parole di riferimento, a cominciare dalle parole del Papa. Tutto ciò ha costituito un amalgama con le voci di tutti i delegati. Stamattina abbiamo tentato un abbozzo di sintesi parlando di una missionarietà nella quale la famiglia e la scuola sono decisive per l’evangelizzazione e per l’attenzione ai poveri che sono grande presenza educativa. Alla luce di questi obiettivi le Diocesi, rileggendo l’Evangelii gaudium, cercheranno di tradurre tutto ciò in concreto. Tutto è nell’orizzonte del decennio che è quello educativo, l’orizzonte educativo.

Quale il pericolo maggiore per la Chiesa, gli attacchi esterni o gli interni come gli scandali ecclesiastici?
Oggi il pericolo maggiore per la Chiesa è la mia tiepidezza spirituale. È questo il peggiore nemico per la Chiesa e non altro. Ciò ci richiama a una continua conversione personale, perché se non cerco di convertire il mio cuore, di non renderlo sclerotico, sono il peggiore per la Chiesa e per la comunità cristiana.

È stato scritto che in una scuola elementare di Firenze è stata cancellata la visita alla mostra di Chagall «per non urtare la sensibilità dei non cattolici». Cosa pensa?
Quello che conta è ciò che diceva san Paolo: «Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri». Il vero, insomma, è vero da qualunque parte. Credo che se teniamo presente questo criterio questi intoppi non si potranno più creare.

A riguardo dell’educazione dei giovani. Una via da valorizzare potrebbe essere l’ora di religione a scuola?
Educare è una missione difficilissima, ma straordinariamente bella. Perché vedere una pianta che cresce e germoglia è un miracolo. Educare, ricorda Romano Guardini, ridestare alla vita, chiamare alla vita, chiamare alla libertà - crediamo tutti di essere liberi ma una riflessione in merito potremmo farla - vuol dire accendere la luce, introdurre nella vita tutta intera. La vita è questo paesaggio straordinario dove qualcuno deve in qualche modo introdurmi, iniziarmi. Il compito educativo mette in causa gli educatori. La prima domanda che ogni educatore deve farsi di fronte a un gruppo, a una persona, non è che cosa devo fare, ma è: chi sono io? Questa è la domanda che un educatore a qualunque livello dovrebbe porsi. Chi sono io? Perché se devo accendere la luce, ma non sono acceso, non accendo. Se devo insegnare la libertà, ma non sono un uomo libero, insegnerò necessariamente una libertà dimezzata. Se devo risvegliare l’amore, insegnare ad amare, ma sono incapace ad amare perché sono sterile, autoreferenziale, cosa dirò sull’amore? La prima domanda è: chi sono io? La seconda: cosa posso fare? Gli insegnanti di religione partecipano a questa missione educativa “a latere” dei genitori. E anch’essi, come tutti, devono porsi questa domanda.

Cosa significa che la Chiesa è madre?
La Chiesa è madre perché nasce dalla misericordia di Dio che in Cristo si è rivelata. Cristo è il volto della misericordia, ha detto Francesco, e da questa misericordia è nata la Chiesa attraverso le vicende della Pasqua. Ci sono due aspetti della misericordia legati a due parole ebraiche: fedeltà e viscere o grembo materno. Entrambe sono usate per parlare di misericordia. Allora misericordia è l’amore di Dio con due facce, il volto della fedeltà (Dio è fedele all’uomo in qualunque situazione e ciò crea sicurezza e fiducia) e il volto dell’amore viscerale, della tenerezza, che cura e rigenera i suoi figli.

Le vicende dell’abate di Montecassino, accusato di aver sottratto soldi destinati alle opere di carità la preoccupano anche in riferimento all’8 per mille?
Le ombre di Montecassino sono gravi e gravissime, e devono essere dette e non nascoste. Sull’8 per mille invito però ad avere un’informazione corretta, tenendo conto di tutto il bene che la Chiesa italiana compie ogni giorno con questi fondi. E a tal proposito cito i 6 milioni di pasti ai poveri che ogni anno vengono offerti agli indigenti, i 115mila organismi ecclesiastici che sono all’opera ogni giorno in aiuto dei poveri e dei bisognosi, i 500mila poveri che ogni giorno si rivolgono alla Caritas e ai suoi centri di ascolto. Sulla base anche di questi dati, ognuno poi può tirare le proprie conseguenze.

Spesso il valore delle persone è legato all’efficienza. Una recente sentenza ha stabilito che non è più reato la selezione degli embrioni affetti da malattie genetiche. La Cei prenderà delle posizioni?
Purtroppo questa visione culturale di un liberismo fanatico e di un capitalismo estremo continua. Però c’è anche chi nelle proprie case, coi propri malati e vecchi, continua a essere eroico. Purtroppo questa cultura va avanti, una cultura per cui la persona vale per quanto produce. Noi dobbiamo però reagire, abbiamo il dovere di reagire. Il Papa e noi con lui: questa visione della persona che “cosifica” l’uomo e gli toglie la dignità di essere qualcuno non possiamo accettarla e dobbiamo reagire con esempi e con prassi buone, con la nostra parola. Dire: questo è disumano. Questa cultura non rende una società umana ma più disumana.

Abitare ed educare, sono temi legati all’immigrazione. Si parla della presenza dell’Isis anche in Italia. Il Papa vuole costruire ponti, ma possiamo correre il rischio che vi siano degli infiltrati?
Chi può escludere a priori che non vi siano infiltrati? E proprio per questo ecco che le autorità preposte devono fare sempre più e sempre meglio il loro compito di verifica, di garanzia rispetto a quello che il Concilio Vaticano II chiamava l’ordine sociale, la sicurezza sociale, la serietà dei propri cittadini. Questa possibilità chiama in causa l’attenzione che lo Stato deve avere per il bene dei propri cittadini.

È importante la formazione dei formatori: si pensa già a percorsi nuovi?
I formatori chi sono? Ad esempio coloro che aiutano i sacerdoti a preparare le giovani coppie al matrimonio, gli educatori delle associazioni, e anche coloro che nelle parrocchie hanno compiti pastorali, gli amministratori dei consigli degli affari economici… Tutte queste persone devono avere una particolare attenzione alla loro formazione non tecnica ma spirituale ed ecclesiale. Uno, infatti, può essere un ottimo contabile ma se non conosce la Chiesa e non la ama, la sua specifica competenza potrebbe essere usata non del tutto bene. Dunque, la formazione è sempre in chiave spirituale ed ecclesiale.

Il Papa vuole Vescovi che siano pastori. Lei nel suo discorso ha parlato di popolo e pastore, vorrei una riflessione in merito.
L’Italia ha 225 diocesi su un territorio molto piccolo. E ha 25mila parrocchie. E ha 40mila sacerdoti. Do queste cifre perché vanno rapportate ad altre situazioni molto diverse. Tutto ciò fa parte della storia del nostro Paese. Tutto ciò esprime la grande vicinanza pastorale della Chiesa alla gente. Il Papa si rende conto della particolare fisionomia della Chiesa d’Italia già a livello territoriale, e tutti riconosciamo che questa è una grazia di Dio. Infatti, quando un vescovo non ha un sacerdote per provvedere a una parrocchia cerca di accorpare. Però di solito la gente protesta perché vuole il parroco in parrocchia. Quando si è cercato di accorpare qualche diocesi è sceso in campo anche il sindaco, il consiglio municipale, il rettore dell’università… non si voleva l’accorpamento. È solo una questione di prestigio questa resistenza? No, è anche il fatto che la gente non vuole sentirsi depauperata di una presenza.