La storia di una vita

Quattro anni di lavoro, tra fonti inedite e nuove ricostruzioni. Marta Busani, dottore di ricerca in Storia contemporanea, ha studiato la vicenda di Gioventù Studentesca. E la sua originalità
Alessandra Stoppa

«Soprattutto un fenomeno sottende l’arco vibrante della vita umana, un fenomeno soprattutto è l’anima comune di ogni interesse umano, un fenomeno è la molla di ogni problema: è il fenomeno del desiderio. Il desiderio che ci spinge alla soluzione dei problemi, il desiderio che è l’espressione della nostra vita di uomini. In ultima analisi, è l’attrattiva profonda con cui Dio ci chiama a sé».
Così don Luigi Giussani parlava del desiderio nei primi anni della storia del movimento. Era il 1955. La centralità, nella sua proposta educativa, di quello che più tardi chiamerà senso religioso è uno degli aspetti più singolari del fondatore di CL, che emerge dal volume Gioventù Studentesca. Storia di un movimento cattolico dalla ricostruzione alla contestazione (in uscita per i tipi di Studium). «Si tratta di un tentativo di approfondire la vicenda storica di GS nel contesto sociale ed ecclesiale di quegli anni, la cui conoscenza mi pare imprescindibile per comprenderne i tratti fondamentali», spiega l’autrice, Marta Busani, dottore di ricerca in Storia contemporanea all’Università Cattolica di Milano.
Il libro è il frutto di quattro anni di lavoro, per mettere in sinergia una mole poderosa di documentazione archivistica, per lo più inedita, e di fonti a stampa come periodici, quotidiani e opuscoli. Non è uno studio sul pensiero di Giussani, ma una ricerca che sorprende il sacerdote e i giessini in azione.

Che cosa emerge dai documenti sull’origine di GS?
Spesso, quando si parla di Gioventù Studentesca, si ha l’idea di una realtà che fin dall’inizio si è concepita come un movimento ecclesiale tout court. In realtà non sembra che questo rientri nell’orizzonte di don Giussani quando GS inizia a muovere i primi passi. Semmai tra i suoi modelli di riferimento ci sono i movimenti di ambiente dell’Azione Cattolica belga e francese. In sostanza, senza voler mettere in discussione il modello parrocchiale dell’AC italiana, don Giussani manifesta il desiderio di incontrare gli uomini là dove sono. Si accorge infatti che, a fronte di un’élite cattolica molto formata, c’è tutto un mondo giovanile non più toccato dalla Chiesa.

Come si sviluppa l’esperienza di GS?
Il primo dato fondamentale è proprio che si sviluppa, nel tempo: GS si evolve. La mia impressione, infatti, è che Giussani non abbia mai avuto uno sguardo programmatico sul suo movimento. A differenza di alcuni tentativi fatti in precedenza da altri, lui non progetta a tavolino un movimento cattolico. Certamente vuole animare una presenza cristiana nella scuola, ma le forme e i modi in cui ciò avviene si costruiscono nel dialogo tra lui e gli studenti. Avendo sempre come orizzonte il contesto sociale e culturale dell’epoca, in rapida evoluzione.

Che cos’altro caratterizza il suo tentativo?
Io credo una certa discontinuità rispetto ad un’impostazione prevalente nel cattolicesimo italiano degli anni Cinquanta, caratterizzata dall’insistenza dell’associazionismo cattolico sulla dimensione organizzativa, progettuale e numerica. La proposta di Giussani è, invece, centrata sulla persona, sul soggetto. Il che, peraltro, è all’origine delle critiche di quanti - sia nel clero sia nel laicato - individuano in GS il rischio di una fede viziata da un certo “esistenzialismo”.

Può farci un esempio?
Pensiamo al tema del desiderio, per citare un caso significativo. Per Giussani il desiderio è il motore che muove il soggetto, e che accomuna per questo tutti gli uomini. Ne parla per la prima volta nel 1955, quando scrive Risposte cristiane ai problemi dei giovani, un testo di riferimento per i dirigenti dell’AC. Secondo lui, è il desiderio ciò che fonda la possibilità di dialogo tra cristianesimo e modernità. Questa tematica, che nella Chiesa di quegli anni viene spesso associata al problema del modernismo condannato da Pio X nell’enciclica Pascendi (1907), è uno degli aspetti del pensiero di Giussani che più modella la vita di GS, rendendola un movimento che non rifiuta la modernità, ma si confronta costantemente con essa sul terreno delle esigenze umane più profonde. Don Giussani, benché sia stato a volte sbrigativamente associato ai settori più tradizionalisti del mondo cattolico, si situa a mio avviso nell’alveo dei più significativi fermenti di rinnovamento della Chiesa negli anni che precedono il Concilio.

Come si traduce questo nella vita di GS?
Quando inizia GS, Giussani si confronta a più riprese con il pensiero laico e radicale, assai presente nelle scuole milanesi, in particolare con le tesi del filosofo Guido Calogero, che mettono al centro il tema del dialogo. «Dialogo» non è una parola molto in voga nel mondo cattolico di quegli anni (anche se ci sono importanti eccezioni), perché non è stata ancora “sdoganata” dal Concilio Vaticano II. Giussani invece la utilizza molto, soprattutto all’inizio, tanto da arrivare a definire il raggio (gli incontri settimanali dei giessini nelle scuole, ndr.) come «dialogo». È un tema che tornerà centrale nella GS degli anni Sessanta.

Cosa intende Giussani per dialogo?
In un primo tentativo di chiarire che cos’è GS, Giussani dice che i cardini del movimento sono la «carità» e il «dialogo». Il pensiero laicista sostiene che il dialogo è dialettica, mentre lui gli dà un’accezione nuova. In una lezione ai “capi-raggio” di GS dice: «Il dialogo è vita. Non dialettica, scontro più o meno lucido di idee e di misure mentali. È mutuo comunicare noi stessi. L’accento non è sulle idee, ma sulla persona, come tale, sulla libertà. È vita, di cui le idee sono una parte».

Ma a partire da quest’idea di dialogo come imposta il rapporto con il mondo della scuola?
Io sono partita da un’immagine che mi arrivava da una parte della storiografia italiana: GS come un movimento caratterizzato dalla ricerca dell’egemonia. Dai documenti che ho potuto consultare emerge, tuttavia, un quadro molto differente. Giussani ha sempre messo in guardia i giessini dalla tentazione dell’egemonia. Non a caso, una delle critiche più dure che gli rivolge la Gioventù femminile di Azione Cattolica a Milano riguarda il rifiuto del sacerdote di far partecipare in massa gli studenti di GS alle Associazioni di istituto, cosa che avrebbe permesso ai cattolici di governarle.

Da cosa nasce questa decisione?
Giussani sostiene che, in una scuola, non ci debba essere una sola associazione di istituto a carattere formativo e ricreativo che pretenda di rappresentare tutti gli studenti e di organizzarne il tempo libero. Considera più costruttivo che a scuola possano vivere ed esprimersi tutte le associazioni e i movimenti giovanili. È la difesa di uno spazio di libertà e di espressione per tutti: una battaglia per il pluralismo. Che in pochi, anche tra i cattolici, sembrano capire.

Diceva che il tema del dialogo ritorna negli anni Sessanta, anni decisivi anche per GS.
È vero, e questo avviene soprattutto per effetto del Concilio. Ma GS si trova in contrasto su questo tema con le posizioni espresse dalla Fuci (Federazione Universitaria Cattolica Italiana) che, in nome della collaborazione con le altre forze universitarie, a giudizio dei giessini sembrano prefigurare un’idea di dialogo che annulla le differenze. Negli stessi anni, all’interno di GS, l’insistenza sul dialogo si traduce nell’apertura di prospettive missionarie e nel coinvolgimento in iniziative ecumeniche. Non mancano tuttavia aspetti di criticità, che Giussani rileva in più di un’occasione.

Quali?
A partire dal 1962 Giussani inizia a denunciare la crisi di novità che investe molti responsabili laici di GS, che a suo giudizio vivono ormai il movimento solo come la riproposizione meccanica di un metodo. Nel loro complesso i responsabili di GS, in forza dell’apertura a cui sono stati educati, cominciano a fare proprie diverse istanze condivise dal mondo giovanile cattolico: il desiderio di contribuire allo sviluppo del mondo e al miglioramento sociale, e nello stesso tempo l’urgenza percepita di inserirsi da protagonisti nel dibattito culturale in corso. Da qui alcuni di loro, nel 1965, arrivano a proporre di trasformare GS, partendo dalla constatazione che il movimento ha raggiunto dimensioni tali da rendere necessaria l’elaborazione di un proprio discorso culturale e di una conseguente piattaforma di azione sociale. Giussani rifiuta questa idea, che a suo parere mina alle radici lo scopo stesso per cui GS è nata: la personalizzazione della fede. Ribadisce che GS è una comunità cristiana e non un movimento di idee.

Nel libro riporta un passo in cui Giussani delinea le due condizioni imprescindibili per la trasformazione della società: la «religiosità» e l’«accettazione della legge dell’evoluzione», in quanto la vita dell’uomo comporta un lento sviluppo nella storia.
Il passo è tratto da una lezione del 1965. Quando don Giussani vede tanti orientarsi verso l’attivismo sociale, inizia a parlare in modo più sistematico della persona e dell’autocoscienza. Teniamo presente che siamo alle soglie del ’68: le istanze rivoluzionarie si stanno diffondendo anche tra i cattolici. Il giudizio di Giussani al riguardo è particolarmente netto, lui riconosce dietro ogni ipotesi rivoluzionaria una forma di violenza e un rifiuto della legge dello sviluppo umano, che si dispiega nel tempo secondo una gradualità. Allo stesso tempo, però, don Giussani re-inventa l’idea stessa di rivoluzione. Per la Chiesa, sostiene, l’uomo ha un valore inalienabile: solo questo può veramente trasformare il mondo. Dice nella stessa lezione: «Questa è la vera rivoluzione, questa è la vera resistenza della storia, (...) questa rivoluzione di voi stessi. Perché è la persona il valore assoluto. (...) Non esiste l’umanità, non esiste la collettività, non esiste il progresso e l’umanità, ma esisti tu, esiste l’uomo, l’uomo sei tu, è la persona».