Papa Francesco nella basilica della Vergine di Guadalupe.

Il mendicante, la Vergine e la storia

La messa nella Basilica, l'incontro coi Vescovi e quello con le istituzioni. E oltre un milione di persone che hanno atteso Francesco nella Capitale. Non solo per vederlo, ma per rimanere anche pochi istanti davanti al suo sguardo
Oliverio Gonzalez

Solo guardando la "Morenita" si può comprendere pienamente il Messico. Questi primi due giorni del viaggio di papa Francesco in Messico possono essere riassunti con la parola “avvenimento”. E, come in ogni avvenimento, abbiamo ascoltato parole, visto gesti e partecipato a silenzi pieni di presenza.

Nella sua omelia durante la messa celebrata nella Basilica di Guadalupe di fronte a 35mila persone, ai Vescovi messicani e al Presidente della Repubblica, Enrique Peña Nieto, Francesco ha invitato tutti «nel silenzio, in questo rimanere a contemplarla, a sentire ancora una volta che ci ripete: “Che c’è, figlio mio, il piccolo di tutti? Che cosa rattrista il tuo cuore? Non ci sono forse qui io, io che ho l’onore di essere tua madre?”. Lei ci dice che ha “l’onore” di essere nostra madre. Questo ci dà la certezza che le lacrime di coloro che soffrono non sono sterili. Sono una preghiera silenziosa che sale fino al cielo e che in Maria trova sempre posto sotto il suo manto. In lei e con lei, Dio si fa fratello e compagno di strada, porta con noi le croci per non lasciarci schiacciare da nostri dolori. “Non sono forse tua madre? Non sono qui? Non lasciarti vincere dai tuoi dolori, dalle tue tristezze”, ci dice. Oggi di nuovo torna ad inviarci, come Juanito; oggi di nuovo torna a ripeterci: “Sii mio messaggero, sii mio inviato per costruire tanti nuovi santuari, accompagnare tante vite, asciugare tante lacrime”».

Terminata l'omelia, le migliaia di persone presenti hanno accompagnato in silenzio il Santo Padre, rimasto seduto di fronte alla Vergine per qualche minuto. Un momento di raccoglimento che si è ripetuto alla fine della celebrazione.

Al mattino il Papa aveva detto ai Vescovi del Paese, riuniti nella Cattedrale di Città del Messico, che «solo guardando la “Morenita” il Messico può essere pienamente compreso», e questo lo ha testimoniato per primo lui con il suo guardare la Vergine, un abbraccio pieno di tenerezza alla realtà messicana.

Lo sguardo sul Messico di Francesco è apparso fin dall'inizio come uno sguardo di tenerezza. Come ha detto ai Vescovi, «la Vergine Morenita ci insegna che l’unica forza capace di conquistare il cuore degli uomini è la tenerezza di Dio. Ciò che incanta e attrae, ciò che piega e vince, ciò che apre e scioglie dalle catene non è la forza degli strumenti o la durezza della legge, bensì la debolezza onnipotente dell’amore divino, che è la forza irresistibile della sua dolcezza e la promessa irreversibile della sua misericordia».

Nel suo primo discorso al Palazzo Nazionale, che per la prima volta nella storia del Messico moderno ha visto un Pontefice davanti al Presidente e al suo Governo, il Santo Padre ha ricordato la grande ricchezza di questa Nazione e la sua capacità di superare i tanti momenti difficili della sua storia: «Per questo motivo ai responsabili della vita sociale, culturale e politica, compete in modo speciale il lavorare per offrire a tutti i cittadini l’opportunità di essere degni protagonisti del loro destino, nella famiglia e in tutti gli ambiti nei quali si sviluppa la socialità umana, aiutandoli a trovare un vero accesso ai beni materiali e spirituali indispensabili». Come una casa, il lavoro, la giustizia, la sicurezza… «Questo non è soltanto una questione di leggi che richiedono aggiornamenti e migliorie, pur necessarie, ma di una urgente formazione della responsabilità personale di ciascuno nel pieno rispetto dell’altro nella causa comune di promuovere lo sviluppo della Nazione. È un compito che coinvolge tutto il popolo messicano nelle sue varie istanze, sia pubbliche sia private, collettive come individuali».

Un discorso, quello del Papa al Presidente, in cui ha garantito la disponibilità e la collaborazione della Chiesa, come obbedienza al comando di Nostra Signora di Guadalupe, che come san Juan Diego, «chiese solamente una “casetta sacra”. I nostri popoli latinoamericani capiscono bene il linguaggio diminutivo – una “casetta” sacra – e molto volentieri lo usano. Forse hanno bisogno del diminutivo perché altrimenti si sentirebbero perduti. Si sono adattati a sentirsi sminuiti e si sono abituati a vivere nella modestia. La Chiesa, quando si raduna in una maestosa Cattedrale, non potrà fare a meno di comprendersi come una “piccola casa”, in cui i suoi figli possono sentirsi a proprio agio. Davanti a Dio si può rimanere solo se si è piccoli, se si è orfani, se si è mendicanti. Il protagonista della storia di salvezza è il mendicante. “Casetta” familiare e al tempo stesso “sacra”, perché la prossimità si riempie della grandezza onnipotente. Siamo custodi di questo mistero!».

Solo così si spiegano oltre un milione di persone, almeno così dice il Governo, che si sono riversate nelle strade di Città del Messico non solo per salutare il Papa, ma per stare anche anche solo per pochi istanti di fronte al suo sguardo, lo stesso sguardo di Cristo e di sua madre Maria di Guadalupe che ripete oggi a tutti i messicani, come a san Juan Diego: «Non temere; non sono qui io, io, che sono tua madre?».