Ho sete di te

Madre Teresa di Calcutta sarà proclamata santa. Con padre Brian Kolodiejchuk, postulatore della causa di canonizzazione, ripercorriamo la sua vita. L’imponenza dei frutti e l’intimità della sua fede. Anche nei momenti di buio (da Tracce, luglio 2
Paola Bergamini

Dieci settembre 1946. Suor Teresa è sul treno che si inerpica sulla montagna verso Darjeeling, ai piedi dell’Himalaya. Sta andando all’annuale ritiro delle Suore di Loreto. Ha 36 anni. È felice. La sua vita è piena. Dalle alunne del collegio dove insegna a Calcutta, alle consorelle, tutti le vogliono bene. Poi, all’improvviso, quella voce dentro al suo cuore, ma allo stesso tempo fuori da lei che le dice: «Ho sete di te, del tuo amore».
È la voce di Gesù. Non ha dubbi. Su quel treno, Cristo le chiede di lasciare tutto, anche il suo ordine, per servire i più poveri tra i poveri, di portarLo dentro di loro, nei “buchi” oscuri dell’esistenza umana più degradata. Quel giorno sono nate le Missionarie della Carità, l’ordine fondato da Madre Teresa di Calcutta che il prossimo 4 settembre sarà innalzata agli altari.
Durante quell’incontro mistico, quel Gesù, per cui aveva lasciato a diciotto anni Skopje, in Macedonia, dove viveva con la famiglia, entrando come missionaria nell’ordine delle Suore di Loreto (prima in Irlanda e poi in India), si fa presenza viva. «Fu una chiamata nella chiamata. La Madre lo chiamò “il giorno dell’ispirazione”», spiega padre Brian Kolodiejchuk, postulatore della causa di canonizzazione e sacerdote dei padri Missionari della Carità, uno dei rami maschili fondato nel 1984 da Madre Teresa all’interno dell’ordine. Con lui, che sarà uno dei relatori dell’incontro su Madre Teresa al prossimo Meeting di Rimini, ripercorriamo la vita, ma soprattutto la profondità spirituale di questa santa dei nostri giorni.
Nei sei mesi successivi a quella data, i dialoghi fra lo “Sposo” e Teresa proseguono anche attraverso una serie di visioni interiori. Gesù le rivela come saziare la Sua sete: dare vita a un ordine per portarLo, per annunciare il Suo amore tra i malati, i bambini di strada, i moribondi tra i più poveri dei poveri. Solo per questo. E aggiunge che tutto ciò per lei comporterà sacrifici, fatiche e sofferenze. Teresa è sicura che a parlarle è Gesù. Anni dopo dirà in proposito: «Sono più certa di questa chiamata del fatto che sono viva», ma ha paura di non farcela, di non essere in grado. E la Voce, come lei la chiamerà a posteriori, le chiede: «Rifiuterai?». «Nel 1942, con il permesso del suo confessore, aveva fatto un voto privato: dare a Dio qualsiasi cosa Lui le avesse chiesto, non rifiutarGli nulla», spiega padre Brian. Ed ora Lui, amandola, le stava chiedendo tutto.
Di quelle esperienze mistiche Madre Teresa parla solo al suo direttore spirituale, il gesuita padre Celeste Van Exem, e poi all’arcivescovo di Calcutta, monsignor Ferdinand Périer. «Solo dopo la sua morte, per la raccolta dei documenti della causa di beatificazione, le conversazioni con Gesù sono venute alla luce. Questo perché lei non voleva attirare l’attenzione su di sé. Voleva che al centro ci fosse Cristo: era Sua l’opera, lei era stata “una matita nelle Sue mani”».
Ai due prelati suor Teresa chiede l’autorizzazione ad iniziare la sua missione lasciando l’ordine di Loreto. Ferma nella decisione, è anche pronta alla totale obbedienza. Prega e con tenacia, attraverso lettere e colloqui, continua a chiedere. Nel 1948 dalla Santa Sede arriva l’autorizzazione. L’Arcivescovo di Calcutta le aveva scritto: «Sono profondamente convinto che se non accordassi il mio consenso intralcerei in lei la realizzazione della volontà di Dio».

Cinque dita. A dicembre di quello stesso anno, avvolta in un sari bianco bordato d’azzurro, con in tasca cinque rupie e la corona del rosario, inizia il suo lavoro nei bassifondi di Calcutta. In breve tempo, alcune giovani, tra cui sue ex alunne, la seguono. Il piano di Dio inizia a realizzarsi. Il 7 ottobre 1950 nasce la Congregazione delle Missionarie della Carità. Alle suore, che via via si aggiungono, ripete che per stare con i poveri devono ricordare le cinque parole di Gesù: «You did it to me» (Lo hai fatto a me) e mostrando la mano dice: «Una parola per ogni dito». Solo questo.
Ma i “buchi neri” non sono solo a Calcutta. In breve tempo, l’opera di Madre Teresa esce dai confini indiani e abbraccia il mondo. Tra i malati di Aids a New York, i barboni di Roma, i poveri dell’Africa e del Sud America, gli orfani delle guerre in Medioriente, apre case perfino nei Paesi ancora sotto la dittatura comunista. I potenti della terra si inchinano davanti a questa piccola suora dalla pelle raggrinzita, fino al punto di conferirle, nel 1979, il Premio Nobel per la pace.
Quando muore, il 5 settembre 1997, ha aperto 594 case in centoventi nazioni. «Ogni fondazione è ogni volta un altro 10 settembre, perché è opera Sua», aveva detto.

Quei sei mesi. Ma la Voce le aveva parlato di sacrificio, di sofferenza, di fatica. E non sono solo quelle materiali, a quelle la Provvidenza ha sempre risposto. È qualcosa di più profondo, del suo rapporto con Cristo. È il buio di cui si è parlato dopo la sua morte, quando sono stati pubblicati i suoi scritti, dove descrive l’aridità spirituale che aveva provato. Spiega padre Brian: «Dal giorno dell’ispirazione per sei mesi lei vive un periodo di unione con Gesù fortissimo. Poi, il deserto. Per cinquant’anni, a parte una breve parentesi nel 1958, Lui, il suo primo e unico Amore, non le parla più. Madre Teresa non si sente più amata, si sente rifiutata, abbandonata da Dio e arriva fino a sperimentare la tentazione del dubbio. Ma avverte contemporaneamente anche un desiderio fortissimo di Dio. E non comprende la ragione di questa sofferenza. Non comprende subito che Dio le sta chiedendo di più». Più di quello che già stava facendo? «Sì. Lei era stata colpita dall’invocazione di Gesù: “Ho sete”, che per lei voleva dire: “Ho sete di amore e di anime”. È il paradosso del Dio cristiano che ha bisogno dell’amore degli uomini, che si incarna per incontrarli e salvarli e che in cambio riceve la croce. Madre Teresa saziava questa sete di Gesù amandoLo e servendoLo nelle sembianze sfigurate dei più poveri. Amando loro, amava Lui». E non bastava? «No. Noi siamo abituati a pensare alle sofferenze fisiche di Gesù, non a quelle spirituali, al suo sentirsi abbandonato, rifiutato, alla paura di ciò che doveva affrontare. Ha sudato sangue e gridato: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”. Grazie anche all’aiuto del confessore, Madre Teresa capisce che Gesù le chiede di condividere la sua sofferenza spirituale nell’Orto del Getsemani e sulla croce». È questo il significato dell’oscurità? «Come tanti santi hanno ricevuto nella loro carne i segni della Passione, così Madre Teresa ha ricevuto nella sua anima la sofferenza spirituale di Gesù. E quando lo ha capito ha scritto: “Sono giunta ad amare l’oscurità perché credo, ora, che essa sia una parte, una piccolissima parte dell’oscurità e del dolore di Gesù sulla terra. Oggi ho provato davvero una gioia profonda: Gesù che non può più attraversare la Sua agonia, lo vuole fare in me. Più che mai abbandono me stessa a Lui. Sì, più che mai sarò a Sua disposizione”».

Epoche e santi. Era la prima, fino a quando fisicamente ha potuto, ad entrare in cappella alle quattro e quaranta del mattino. La preghiera a volte quasi “meccanica”, l’adorazione e l’Eucarestia sono la sua àncora, ciò che la tiene legata a Dio e le permette di vivere in modo gioioso nonostante il tormento interiore. E poi c’è la sofferenza dei poveri. «Ho sete di te e di anime», aveva detto la Voce. «Questo per lei significava “consumarsi per la salvezza e la santificazione dei più poveri tra i poveri”. E in questo ha sperimentato un buio che direi “apostolico”. Non c’è solo la povertà materiale. La santa di Calcutta avverte nel mondo occidentale una povertà spirituale. Cioè il non sentirsi amati, voluti, desiderati. È un buio esistenziale. Questo è il nuovo “buco” nero. Nell’oscurità Madre Teresa sperimenta questo vuoto. E può condividere con Gesù questa sofferenza profonda». Si dice che per ogni epoca Dio dà i suoi santi. «Forse è meglio dire che i santi sperimentano il dolore di Dio nell’epoca in cui vivono. Lo portano per noi. È l’esperienza dei mistici».