«Tutto diventa luminoso»

La passione per l'ortodossia, i viaggi oltre Cortina, l’amicizia con Giussani. Fino ai frutti di oggi. Padre Romano Scalfi è morto il giorno di Natale con nel cuore “l’attesa di Simeone”. Intervista a don Francesco Braschi
Luca Fiore

Amava l’oro delle icone e l’incenso della liturgia bizantina. Univa la spiritualità all’azione. Ha attraversato la Cortina di ferro per contrabbandare Bibbie e amicizia. Fu uno dei maggiori diffusori del pensiero del dissenso sovietico in Occidente, il samizdat. Si trovò faccia a faccia con il Kgb. Fu amico del martire Aleksandr Men’ e di tanti altri protagonisti del Novecento. Era dolce, paziente, ma capace di battaglie pubbliche - dovette difendersi dall’accusa di essere sostenuto dalla Cia -, incompreso, talvolta, anche da parte del mondo cattolico. Pochi lo sanno, ma gli ultimi dieci anni li ha passati soprattutto a confessare gente comune nel suo paese d’adozione (Seriate, Bergamo). Come un vero starets.
Padre Romano Scalfi, nato a Tione (Trento) nel 1923, è morto il giorno di Natale. Accanto a lui i collaboratori con cui ha percorso tanti anni dell’avventura di Russia Cristiana, fondata da lui nel 1957: Adriano e Marta Dell’Asta, Giovanna Parravicini, le Memores Domini e molti altri. Come successore, pochi anni fa, aveva scelto don Francesco Braschi, direttore della classe di Slavistica alla Biblioteca Ambrosiana. La barba lunga è la stessa, ma la storia è diversa. Chiediamo a lui il ricordo di padre Romano che, nel suo testamento spirituale, ha lasciato questa preghiera: «Chiedo agli amici di Russia Cristiana di amare la Russia nonostante tutto».

Perché ha aggiunto quel «nonostante tutto»?
La Russia è un paradosso: ti affascina e ti fa faticare. Basta un niente perché quella che pareva un’apertura si trasformi in chiusura. O che riaccada, inatteso, un incontro, senza timore l’uno dell’altro. Davvero abbiamo bisogno di imparare dalla tradizione ortodossa. Ma quando i russi si staccano da quella loro radice, si trovano ad affrontare un vuoto esistenziale che è come più “perentorio” di quello che sperimentiamo noi: perché sono meno capaci di nasconderlo.

In che senso?
In Occidente si è tentato di affermare i valori fondamentali su cui si basa la cultura cristiana, svincolandoli proprio dalla loro radice di fede. In Russia, il processo di costruzione di una visione cristiana ha avuto caratteristiche differenti, è partito da basi diverse e ha avuto a disposizione meno tempo. Per questo, quando in quelle terre si dimentica Cristo, emergono subito la violenza e la barbarie. La Russia è come un quadro dalle tinte molto forti e definite, e, in un certo senso, permette di distinguere più nettamente i colori e i contorni della realtà. Se la osservi con gli occhi di Cristo, tutto diventa luminoso. Ma se elimini quello sguardo, prevalgono l’ideologia più tremenda e la violenza. Amare la Russia «nonostante tutto», allora, significa essere pronti a stare davanti a questa drammaticità, ma anche a riconoscere come in essa - al riaccadere del riconoscimento di Cristo - abbiamo esempi di fede e di capacità di giudizio sulla realtà altrove inimmaginabili.

Nel suo intervento alla fine dei funerali ha detto che Russia Cristiana e CL sono due carismi coessenziali. Che cosa voleva dire?
Padre Romano raccontava che nei primi anni della sua attività ebbe proprio da don Giussani una correzione di rotta fondamentale. L’ecumenismo, gli disse Giussani, non si fa solo o soprattutto con le conferenze, ma attraverso un’esperienza, una compagnia dove si sperimenta cosa sia l’unità. Scalfi dice: da lì è nata Russia Cristiana. Per questo penso che il carisma di CL sia coessenziale per noi. E non a caso quella correzione venne proprio da don Giussani che, fin dal seminario, aveva una grande passione per la Chiesa e la teologia orientali.

Padre Romano Scalfi tra Aleksandr Filonenko e Giovanna Parravicini

Agli inizi degli anni Settanta, Scalfi aderì anche formalmente a CL.
In un certo senso possiamo dire che la sua opera anche all’interno del movimento di CL è stata quella di promuovere e arricchire di contenuti e di passione l’attenzione verso la Russia e l’Oriente cristiano, che è poi fiorita in molte forme. Tra tutte, la creatura prediletta di padre Scalfi, desiderata e amata da don Giussani, è stata la Biblioteca dello Spirito a Mosca: un luogo di incontro, di reale amicizia, di scambio e comunicazione di esperienza cristiana. Oserei dire che padre Scalfi e Russia Cristiana hanno molto influito nel dare forma alla proiezione di CL in Russia, diventando come la circostanza che ha permesso a don Giussani di andare in Russia. E anche oggi, quando non tutta l’attività del movimento nei Paesi ortodossi coincide con l’opera iniziata da padre Scalfi, quello che sta accadendo in Russia, in Bielorussia e in Ucraina con gli ortodossi che si abbeverano al carisma di CL e diventano amici del movimento, deve moltissimo ai rapporti intessuti negli anni da Russia Cristiana. Il cui lavoro ha portato, misteriosamente, a una fioritura avvenuta anche attraverso altri. Anche in questo vediamo proseguire il sogno condiviso in amicizia tra padre Scalfi e don Giussani.

Come padre Romano concepiva il rapporto tra lavoro culturale ed esperienza ecclesiale?
Padre Scalfi portava con insistenza, anche nei suoi ultimi mesi, l’esempio del samizdat come fenomeno culturale capace di unificare tutta la persona e di darle una visione unitaria anche della sua dimensione sociale: nel rispetto per la verità, per la persona, nella scelta di non essere “contro” nessuno, ma a favore della positività di un io che si afferma desiderando affermare, nello stesso tempo, l’altro. Lui costruiva la comunità cristiana con il suo essere sacerdote: da qui, dal rapporto con Cristo nasceva l’unità della sua persona e quella di chi lo accostava. Tutte le nostre attività, dai convegni ai corsi di iconografia, esistono perché sia incontrabile un’esperienza di Chiesa. Quello che colpisce quanti (russi compresi), anche non credenti, passano da Seriate è vedere insieme la serietà del lavoro culturale e una reale vita di fraternità. Questo ha fatto la differenza rispetto ad altre esperienze simili. È l’esistenza di una comunità cristiana che ha permesso al lavoro sulla Russia di non ripiegarsi su se stesso.

Padre Romano è stato paragonato a uno starets. Perché?
Gli esempi sono tanti. Mi ha colpito il racconto di una madre di famiglia. In un momento di malattia, figli piccoli, marito a suo dire poco comprensivo, va da Scalfi e si sfoga. Lui la guarda e con dolcezza le dice: «E se fosse il momento di iniziare ad amare senza riserva e senza contraccambio?». A questa donna, dopo un’iniziale ribellione, queste parole hanno cambiato la vita e permesso di ritrovare il rapporto col marito. Non per caso lui, sacerdote diocesano a cui spettava il “don”, è sempre stato chiamato da tutti “padre”.

A tratti la vita di padre Romano ha avuto il sapore della spy story. Eppure, con la fine della Guerra Fredda, Russia Cristiana non ha cessato la sua missione.
È stato un cambiamento nella continuità. Padre Romano ripeteva sempre che l’ecumenismo è l’offerta sincera e gratuita di un’amicizia in Cristo. È questo ciò che continua.

Oggi questi amici di che cosa hanno bisogno?
Di vedere chi siamo. I corsi di iconografia, i viaggi, gli stage per studenti russi che vengono offerti tanto a Seriate quanto, con il supporto di famiglie di Russia Cristiana, a Milano presso l’Ambrosiana, il sostegno alla presenza al Meeting di artisti, uomini di cultura, ecclesiastici, studenti russi... Sono tutti tentativi di riproporre l’incontro con l’altro come vero punto sorgivo di crescita per l’io.

Come ha vissuto padre Scalfi l’incontro di Cuba tra papa Francesco e il patriarca Kirill?
Con domanda, stupore e gratitudine. Quando arrivò l’annuncio dell’incontro vi fu qualche domanda sulle sue motivazioni, ma poi prevalse la disponibilità a riconoscere che un fatto era accaduto, e che questo era segno di un’iniziativa più grande delle costruzioni diplomatiche. Anche quando alcuni - sia cattolici che ortodossi - minimizzavano l’importanza dell’incontro o addirittura lo si contestava, lui ripeteva: «Però c’è stato».

L’opera di Russia Cristiana nasce come aiuto alla Chiesa perseguitata oltre Cortina. Cosa insegna questa esperienza rispetto a quanto sta accadendo in Medioriente?
Si andava in Russia per incontrare, condividere e imparare. E, possibilmente, per operare insieme. Non per imporre un nostro modello o visione. Ci si andava riconoscendo la grandezza della testimonianza dei martiri e dei perseguitati, e lasciandosi interrogare da essa, riproponendola con insistenza in Occidente perché certi che fosse una ricchezza di cui avevamo (e abbiamo) bisogno. Forse questa è la chiave per un approccio realmente cristiano a quanto accade oggi.

In padre Scalfi c’era anche un aspetto di dedizione totale. Lui ha speso la vita per la Russia.
La dedizione totale era legata, lui stesso diceva, al fatto di sentire che la sua vocazione sacerdotale si fondeva con la chiamata alla Russia. Era il suo cammino verso la santità.

Come ha vissuto i suoi ultimi momenti?
Negli ultimi tempi padre Scalfi era diventato tutt’uno con la sua attesa di Cristo. Lui desiderava questo incontro. È morto il giorno di Natale. Ai suoi funerali, con un colpo di genio, il vescovo di Bergamo, monsignor Franscesco Beschi, lo ha paragonato a Simeone: l’uomo giusto che attende il Messia, che si congeda dalla vita solo dopo aver preso in braccio Gesù Bambino.

Da oggi cosa sarà Russia Cristiana?
Il tentativo di rispondere alla chiamata di padre Romano ad amare la Russia “nonostante tutto”. Con le modalità che le circostanze del presente ci indicheranno.