Francesco e il grande imam di al Azhar

Wael Farouq: «Il Papa al Cairo è un'occasione per la riforma dell'islam»

Attentati e avvertimenti non fermano Francesco, che il 28 e il 29 aprile sarà in Egitto. Perché è un viaggio decisivo? Le persecuzioni dei cristiani, le divisioni tra le Chiese, le relazioni con l'Occidente. Parla Wael Farouq, intellettuale egiziano
Luca Fiore

Che Egitto è quello che accoglie papa Francesco, in un viaggio da seguire passo per passo? È quello in cui per dargli il benvenuto il terrore islamista manda i kamikaze a farsi esplodere nelle chiese. Ma è anche quello dove le moschee accolgono i cristiani feriti e dove musulmani indignati corrono negli ospedali per donare il sangue. È un Paese dove i parenti delle vittime perdonano i carnefici. E dove le autorità musulmane, come Ahmad Al-Tayyib, il grande imam di al Azhar, l’università islamica più importante del mondo sunnita, condanna gli atti terroristici.
Papa Francesco non ha lasciato passare un giorno dagli attentati della Domenica delle Palme per confermare che in Egitto ci andrà lo stesso. Non ha temuto la guerra in Centrafrica e non teme quella in Sud Sudan. Gli avvertimenti di Daesh non bastano a fargli cambiare idea sul Cairo. E il motto della visita si è trasformato in una specie di sfida: “Il Papa della pace nell’Egitto della pace”.

«Ci sono diversi motivi per cui questo viaggio è importantissimo», spiega Wael Farouq, egiziano, musulmano, professore di Arabo all'Università Cattolica di Milano: «La prima è che in Egitto ci sono 500mila cattolici che sono una minoranza di una minoranza. I cristiani egiziani, copti, sono circa 15 milioni, ma sono per la maggior parte ortodossi. I cattolici vivono ai margini della società e per loro sarà la visita della vita, sarà un evento, potranno dire: “Il Papa è passato di qui”, “Il Papa è venuto a trovarmi”. Sarà un forte incoraggiamento, soprattutto in questo momento di gravi difficoltà». Ma visitare i cattolici in Egitto, spiega Farouq, significa anche incontrare la più grande comunità presente in Medioriente: «Mezzo milione di fedeli è una percentuale piccola rispetto agli cento milioni di abitanti dell’Egitto, ma si tratta di un numero molto grande se pensiamo alla presenza nella regione: Israele, Palestina, Libano. Si tratta di un gesto di attenzione e di servizio verso il suo popolo presente in questi Paesi a maggioranza musulmana».

Che nei giorni scorsi il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I, abbia annunciato che accompagnerà Francesco al Cairo, dice molto dell’importanza della visita dal punto di vista ecumenico. «Le minoranze religiose vivono in Medioriente un momento particolarmente difficile», continua: «Non mi riferisco solo, come è davanti agli occhi di tutti, alla persecuzione dei cristiani e al tentativo di cacciarli dalle loro terre. Esiste un problema di rapporti interno ai cristiani. I cristiani in Medioriente sono divisi: che Francesco vada in Egitto e dia un segno di amicizia alla Chiesa copta ortodossa è motivo di speranza per tutta la regione. È straordinario che Bartolomeo I abbia chiesto di partecipare alla visita di Francesco: insieme possono mostrare l’amicizia tra loro e con il papa copto Tawadros II. È un segnale importante in sé, per il benessere della società e poi perché l’unità tra le Chiese e tra i cristiani di diversa confessione può aiutare ad affrontare la persecuzione in atto. Chi perseguita i cristiani in Medioriente non fa differenza tra cattolici e ortodossi, ma spesso tra loro esiste una diffidenza che impedisce l’aiuto reciproco».

Wael Farouq incontra papa Francesco

Ma non c’è solo questo. La visita del Papa è una provocazione per la società egiziana in quanto tale, segnata da differenze e da fratture. Da ferite in attesa di essere sanate, ma che potrebbero non rimarginarsi. «La diversità è preziosa in un contesto a maggioranza musulmana. Francesco mostrerà al mondo che ricchezza è la diversità. La coesistenza di diverse componenti della società non è un valore solo per i cristiani, che sono la componente più debole perché minoritaria, ma anche per i musulmani. Le società in un cui è valorizzata la differenza hanno maggior possibilità di fiorire. Dove non è così, prevale la logica della violenza». Vivere la differenza dell’altro come un’opportunità invece che una minaccia può trasformare la convivenza in profondità. «La conoscenza e il rispetto dell’altro, del diverso, fa bene anche all’esperienza religiosa. L’incontro, l’amicizia, il rispetto tra cristiani e musulmani nutre l’esperienza religiosa di entrambi, perché permette a ciascuno di verificare la propria tradizione».

C’è poi, secondo Farouq, un discorso culturale e politico che riguarda le difficili relazioni tra Egitto e Occidente: «Andare oggi al Cairo significa dare un segnale di fiducia in un momento in cui le relazioni politiche sono dominate da stereotipi reciproci. Questa visita può aiutare almeno ad attenuare questo clima di diffidenza». Non si tratta di far finta che non ci siano i problemi, spiega il professore, ma incontrarsi, parlarsi permette di vedere la situazione da un altro lato. «La presenza del Papa ricorderà a tutti che l’Egitto è un luogo importante per le tre grandi religioni, l’ebraismo, il cristianesimo e l’islam. L’Egitto ha dato accoglienza a Giuseppe e ai figli di Giacobbe. In Egitto è riparata la Sacra famiglia in fuga da Erode. Questi fatti permettono di tornare a uno sguardo spirituale sulle vicende della storia. Concepire in modo diverso, più profondo, le relazioni umane è decisivo, soprattutto nel contesto di un Paese che vive una delicata transizione».



E il rapporto tra Chiesa cattolica e islam? La visita all’Università di al Azhar pone fine, certo, alle difficoltà nate in occasione dei fraintendimenti del discorso di Ratisbona di Benedetto XVI, ma rilancia le relazioni in un contesto in cui anche il presidente egiziano al Sisi ha chiesto all’autorità un contributo alla riforma interna dell’islam. «Dal punto di vista del pensiero e della dottrina al Azhar è il centro più autorevole del mondo musulmano sunnita. È il luogo a cui tutti i musulmani sunniti guardano. Ma la classe intellettuale musulmana deve trovare la sua strada per uscire dalla crisi in cui si trova. Ed è una crisi dell’uso della ragione, come giustamente indicava papa Ratzinger. La testimonianza di fede e i gesti di amicizia e di pace di papa Francesco non possono che essere d’aiuto. Indicano la strada da percorrere».