La statua della Madonna di Fatima

Saraiva Martins: perché Fatima ci parla anche oggi

A cento anni dalle apparizioni, il Papa canonizza Francesco e Giacinta. Il cardinale portoghese ex prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi spiega la «straordinaria eroicità» dei pastorelli (da Tracce, maggio 2017)
Stefano Maria Paci

«Di Fatima e dei tre pastorelli che videro la Madonna ho sentito parlare sin da bambino, fa parte del Dna di noi portoghesi, ricordo ancora l’emozione della prima volta che mi ci hanno portato. Mai avrei pensato che un giorno sarei diventato in qualche misura uno dei protagonisti di questa vicenda, che avrei contribuito a far salire sugli altari Francesco e Giacinta, che avrei conosciuto e incontrato regolarmente suor Lucia, e che poi avrei chiesto al Papa di aprire in anticipo il processo di beatificazione dell’ultima veggente di Fatima».
Lo dice con un sorriso, quasi schermendosi, il cardinale José Saraiva Martins, 85 anni portati benissimo, incontrandomi nell’appartamento di proprietà del Vaticano immediatamente a ridosso di Piazza San Pietro. Conosco da anni sua Eminenza, nel corso del tempo mi ha fatto molte confidenze, mi ha fatto anche entrare con le telecamere per la prima volta al mondo nell’Archivio della Congregazione per le Cause dei Santi di cui è stato Prefetto per dieci anni, permettendo di filmare i segni tangibili rimasti sulla terra dei miracoli che accadono in giro per il pianeta, come i chicchi di riso che, nel 1949 in Spagna, si sono moltiplicati nelle pentole della mensa per i poveri sotto gli occhi di centinaia di testimoni quasi fosse un rinnovarsi del miracolo dei pani e dei pesci; le radiografie della donna di religione indù improvvisamente guarita per intercessione di Madre Teresa; i grossi volumi in cui sono raccolte le strabilianti testimonianze su Padre Pio.
E oggi, con il Cardinale portoghese, parliamo dei cento anni dalle Apparizioni della Madonna a Fatima, ricorrenza che porta per la prima volta papa Francesco nel Santuario, meta di pellegrinaggio ogni anno di milioni di persone. E se il 13 maggio del 2000 fu Giovanni Paolo II a beatificare due dei tre pastorelli, Giacinta e Francesco, e fece rivelare la terza parte del segreto di Fatima, questo 13 maggio è Bergoglio a proclamarli santi. Morti giovanissimi, i corpi di Giacinta e Francesco sono sepolti nella Basilica. Accanto a loro, adesso riposa anche Lucia.

Eminenza, una volta un suo collega Cardinale mi ha detto: «Secondo me bambini così piccoli non dovrebbero essere portati agli onori degli altari. Da bambini siamo tutti santi». Cosa ne pensa?
Un tempo era vietato beatificare, e quindi canonizzare, dei bambini, perché non li si riteneva capaci di «praticare in grado eroico le virtù cristiane», primo requisito per poi salire alla gloria degli altari. Ma per me questo non era un principio accettabile, e Giacinta e Francesco sono stati i primi bambini nella storia della Chiesa ad essere beatificati. Loro sono stati di una “eroicità cristiana” straordinaria, che vorrei trovare in molti adulti. Cercavano di terrorizzarli, per fargli dire che quello che avevano visto era una fantasia da bambini. Non cedettero mai, nemmeno di fronte a minacce di morte fatte dalle autorità che li avevano arrestati. Gli avevano persino detto che Lucia era stata uccisa nell’olio bollente, e che loro avrebbero fatto la stessa fine. Ma non cedettero.

È passato un secolo da quelle apparizioni. Come può essere utile, all’uomo di oggi, proclamare santi dei bambini vissuti allora?
Possono essere modelli moderni del modo di vivere la fede - non solo capirla, ma viverla. Hanno messo in pratica, concretamente nella loro vita, tutto quello che gli ha detto la Madonna. Hanno aderito con gioia a quello che hanno incontrato. Sono stati capaci di stupirsi.

Fatima è un “luogo” pieno di misteri. Il sole che gira di fronte a centinaia di persone, una fonte miracolosa, un messaggio che fa discutere ancora oggi. Si è parlato molto del terzo segreto di Fatima (in realtà, la terza parte di un unico segreto). Giovanni Paolo II l’ha reso noto proprio sul sagrato del Santuario, ma c’è chi sostiene che non sia stato rivelato integralmente, e che una parte resti ancora nascosta. Lei cosa ne pensa?
Penso sia una sciocchezza. Che sia stato rivelato tutto quello che c’era da rivelare. Non c’è più nessun mistero, e non si può pensare che i Papi che hanno detto essere tutto rivelato abbiano deciso di mentire su questo.

Dopo la caduta del Muro di Berlino e i primi segni di cedimento del regime sovietico, feci pervenire un’affermazione di Giovanni Paolo II a suor Lucia. L’ultima veggente mi disse: «Si è evitata una Terza Guerra mondiale». Parole che mi stupirono.
Capisco la sua reazione, ma è vero. È verissimo. Le condizioni per una Terza Guerra mondiale c’erano tutte. Sicuramente. E si è evitata. Se non pregate verrà una Terza Guerra mondiale, aveva fatto sapere la Madonna. La si è evitata. Grazie alle preghiere.

Nel terzo segreto si parla anche di un Vescovo vestito di bianco che muore assassinato. Giovanni Paolo II l’ha identificato con se stesso, anche se lui non è morto. «Una mano ha sparato, un’altra ha deviato la pallottola», disse.
Ed è andato espressamente a Fatima per offrire alla Madonna la pallottola che doveva ucciderlo. Io ero seduto accanto a lui, quando, nel Santuario, ha offerto quella pallottola alla Vergine, per ringraziarla di averlo salvato. Eravamo in una stanza, la statua della Madonna di Fatima era sul tavolo, di fronte a lui, e io ero a fianco del Papa. Wojtyla appoggiò la pallottola sul tavolo, e con il dito la faceva avanzare, lentamente, a piccoli scatti, verso la Madonna. Stava vivendo quel momento intensamente. Fino a che gliel’ha messa davanti.

Come se fosse in dialogo con la Madonna...
Sì, un dialogo di gratitudine. Ora quella pallottola è incastonata nella corona della statua della Madonna di Fatima.



I due pastorelli vengono proclamati santi, di suor Lucia è invece in corso il processo di beatificazione. Lei l’ha conosciuta molto bene, è stato uno dei pochi che poteva avvicinarla.
Le vacanze abitualmente le trascorro in Portogallo, e le suore del convento di clausura di Coimbra, dove viveva suor Lucia, mi invitavano ogni 15 agosto per celebrare messa da loro per la festa dell’Assunta. Prima o dopo la celebrazione, facevamo un incontro con le suore e naturalmente c’era anche lei. Lucia era una persona molto semplice, ma molto intelligente. Prudente, saggia, con una memoria impressionante, e anche molto concreta. Tanto che, la cosa può sorprendere, quando le suore decisero di fondare un altro convento, perché erano diventate troppe, scelsero proprio lei per andare a parlare e seguire gli architetti nella costruzione del nuovo edificio. Compito non facile. Si pensa che i santi vivano una vita astratta, persi nello spirituale. Be’, non è mai così. Sono persone concretissime. Lucia non viveva nelle nuvole. Ed era dotata anche di grande umorismo.

Anche il processo di beatificazione di Lucia iniziò quando lei era Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.
Secondo la legge canonica, un processo di beatificazione può iniziare solo cinque anni dopo la morte. Ma quando ne erano passati solo due dalla morte di suor Lucia, ho pensato fosse bene abbreviare i tempi. Allora sono andato da papa Benedetto XVI e gli ho detto: «Santità, anticipare di alcuni anni il processo, è la maggior Grazia che lei può fare alla Chiesa portoghese e alla Chiesa universale». E Ratzinger ha risposto: «Va bene, allora facciamo così». Speravo che i tre pastorelli potessero essere canonizzati insieme, ma non è stato possibile.

A cento anni di distanza, cosa resta di Fatima?
Il suo messaggio è ancora attuale, attualissimo. Si riferisce ai problemi concreti, esistenziali, che viviamo ogni giorno nella Chiesa e nella società. Innanzitutto la fede, che purtroppo sta sparendo. C’è una crisi di fede, oggi, nel mondo, che penetra anche nei cattolici, penetra nella Chiesa. Vivere il messaggio di Fatima significa convertirsi e avvicinarsi sempre più a Dio e ai fratelli. Poi, è un appello alla pace. Di cosa parlano quotidianamente i giornali? Attentati, stragi, distruzioni. Le religioni sono diventate motivo di separazione e morte. Dio è invece fonte di pace. Ma soprattutto, il fondamento del messaggio di Fatima è la speranza. Senza speranza la vita non ha senso. Tanti giovani, oggi, non sanno più quale sia il senso della vita. Non se ne parla tanto, ma molti si suicidano. Senza la speranza non si può vivere. Non si può essere felici, senza conoscere il senso, il fine della vita. A Fatima la Madonna ha detto invece che la vita con Gesù è una vita veramente vissuta, libera, e la si affronta con gioia e con entusiasmo. Che straordinaria bellezza, il cristianesimo.

* Vaticanista di SkyTg24